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 2010  marzo 18 Giovedì calendario

L’ADDIO DI UNICREDIT E LA PARTITA GENERALI

L’atto era dovuto. La vendita del pacchetto Generali faceva parte dei rimedi pro-concorrenziali dettati dall’Antitrust dopo l’acquisizione di Capitalia. Ma tempi e compratori appaiono meno scontati. Unicredit poteva attendere fino a giugno. Poteva cioè lasciar passare l’assemblea delle Generali dove, per gli impegni presi con l’Autorità, quelle azioni non avrebbero votato. Accelerare ha l’effetto di restituire a quei titoli il diritto di voto, e di evitare ribassi alla scadenza.
Ora, con questo pacchetto, il tandem Ferak-Fondazione Crt dispone di un 4% che lo pone al terzo posto nell’azionariato Generali, distante da Mediobanca, ma subito dopo Bankitalia e poco sopra la coppia Caltagirone-Monte dei Paschi. Ferak raduna industriali veri e abili finanzieri della ricca periferia, ma legati alle capitali: Giorgio Drago è cresciuto in Mediobanca; Enrico Marchi ha collaborato alle cartolarizzazioni di Capitalia e poi ha conquistato l’aeroporto di Venezia con l’appoggio delle Generali. La Fondazione torinese in Unicredit esprime il vicepresidente Fabrizio Palenzona, uomo di mai rinnegate lealtà maranghiane e di ampie relazioni, dunque non arruolabile tra i seguaci di Alessandro Profumo, e tuttavia capace di sostenere il presidente Dieter Rampl e lo stesso Profumo nei passaggi cruciali per la banca.
Sembrerebbe un’eterogenesi dei fini. Il pacchetto Generali era stato rastrellato in sintonia con Capitalia e Monte dei Paschi nella campagna contro Vincenzo Maranghi, allora dominus di Mediobanca. Non si è rivelato un grande affare: Unicredit denuncia una perdita di 67 milioni su un prezzo d’acquisto ridotto in ragione dei dividendi incassati. Ma quell’operazione ebbe successo politico e, qualche anno dopo, portò Cesare Geronzi da Capitalia in piazzetta Cuccia. Ora quello stesso pacchetto torna in gioco a sostegno del management di Trieste, da sempre designato dai colleghi di Mediobanca, tutti di ceppo maranghiano.
Dal 2003, in effetti, molta acqua è passata sotto i ponti. E tra Profumo e Geronzi è sceso il gelo. Nell’autunno della Lehman, che sembrava travolgere Unicredit, Profumo non nascose un larvato pentimento su Capitalia. Poi non ha approfondito, ancorché alla prova dei fatti alcuni attivi della banca romana si siano rivelati meno validi di quanto fossero apparsi alla fusione. Per esempio, gli immobili ceduti e ricomprati da Capitalia sulla base di stime della Pirelli Re sempre superiori alle reali possibilità di dismissione e le obbligazioni trovate in Capitalia a fronte dei crediti cartolarizzati nel 1999-2001 che hanno comportato svalutazioni per oltre 700 milioni in aggiunta a quelle per oltre 300 milioni fatte da Matteo Arpe, il manager che aveva condotto alle stelle il titolo Capitalia ed era contrario alla fusione. D’altra parte, la crisi dei mercati finanziari ha messo alla frusta, e per cifre maggiori (3,2 miliardi nel 2008), l’investment banking dove la banca milanese era più esposta.
Ma la vera ragione del contrasto deriva dalla convinzione, diffusa in Unicredit, di un tentativo di emarginazione in Mediobanca, approfittando delle difficoltà della congiuntura. Ieri, tuttavia, la presentazione dei conti è andata bene. Il miglioramento appare sensibile nella gestione ordinaria, grazie al recupero della caduta finanziaria del 2008 e al taglio dei costi operativi. La recessione, certo, provoca ingenti perdite su crediti, 8 miliardi, tali da abbattere l’utile sotto i livelli dell’ anno precedente, ancorché un po’ al di sopra delle previsioni. Questi risultati, da confrontare con quelli di Intesa Sanpaolo, possono essere spesi politicamente per dimostrare rigore gestionale e vicinanza ai clienti in difficoltà. Resta l’esigenza di difendere la qualità degli affidamenti, respingendo le pressioni della politica, e di avvicinarsi di più alla clientela. Il progetto di unificare le banche italiane del gruppo in un «bancone» suddiviso in sette aree territoriali ha rinnovato le tensioni tra Profumo, forte del successo dell’aumento di capitale, e i soci eccellenti, memori dell’intervento d’emergenza di un anno prima. Lunedì sera, quando l’amministratore delegato ha reagito alle proposte di mediazione del presidente prospettando la conta in consiglio, la rottura sembrava sul punto di consumarsi. Ma il comitato strategico del giorno dopo ha stemperato la tensione rinviando le decisioni al 13 aprile. D’altra parte, se martedì Profumo ha riflettuto sulle richieste dei soci (va bene il «bancone» purché abbia un country manager, meno di quanto la Compagnia di Sanpaolo aveva preteso in Intesa), e non ha insistito, ieri i soci hanno preso atto che il titolo è stato il migliore di piazza degli Affari. E ieri, sarà un caso, Profumo ha rivendicato il ruolo di Unicredit come primo azionista in Mediobanca.
Massimo Mucchetti