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 2010  marzo 18 Giovedì calendario

RAI, UN PO’ DI CORAGGIO

Se solo la dirigenza Rai avesse un po’ di coraggio, stasera manderebbe in onda «Annozero», domani «Ballarò» e poi tutti i programmi che si occupano di politica. Per un sussulto di dignità, per orgoglio aziendale, per mettere la parola fine a una piccola tragedia che nasconde una grande farsa o viceversa.
Da questa triste vicenda – dalla serrata dei talk alle intercettazioni – l’immagine della Rai esce ammaccata. Quella che fino a poco tempo fa veniva indicata come la prima industria culturale del Paese appare ora come una nave alla deriva. Da qualunque punto la si osservi: da destra pensano che ci sia un serio problema di governance, che il direttore generale Mauro Masi sia incapace di farsi rispettare (per mettere la mordacchia a Michele Santoro, il dg si augura che il conduttore faccia la «pipì fuori dal vaso»); da sinistra chiedono le dimissioni di Masi per come ha gestito lo stop ai talk show e soprattutto per la rimozione del direttore di Raitre Paolo Ruffini.
Ieri, i consiglieri di maggioranza del Cda della Rai hanno respinto la richiesta di dimissioni avanzata nei confronti del dg, ribadendo che «è immotivata e del tutto inaccettabile». Sarà, ma la figura di Masi ne esce fortemente indebolita. Nello stesso giorno in cui nega di aver ricevuto pressioni dal premier, appaiono intercettazioni (pubblicate anche dal «Giornale») che lo vedono a colloquio con Giancarlo Innocenzi (commissario dell’Agcom) per risolvere il «problema Santoro». Masi sostiene che la Rai resta leader negli ascolti ma basta controllare i dati Auditel nei giorni in cui non sono andati in onda «Annozero» e «Ballarò» e ci si accorge che, il giovedì, Raidue è passata da una media del 14% a una del 9,3% di share e che, il martedì, Raitre è passata da una media dell’11,5% al 6,22% di share. E poi il balletto di responsabilità tra la Vigilanza e il Cda della Rai sembra una sceneggiata al limite del ridicolo. Viene quasi da rimpiangere il lessico con cui la lottizzazione filtrava opinioni a servizio dei partiti cercando almeno di salvare le forme. Erano ipocriti, è vero, ma qui sono ipocriti e inetti. Il «si faccia subito chiarezza» lanciato ieri dal presidente Paolo Garimberti suona più come un grido di dolore che come un invito a lavare i panni sporchi.
L’abuso metodico delle intercettazioni telefoniche e la loro sistematica diffusione a mezzo stampa sono insostenibili, ma ormai la frittata è fatta. Se è vero, come dice qualcuno, che le conversazioni sono penalmente irrilevanti (anche se intervenire su un’Autorità di Garanzia è un atto di assoluta gravità), il ritratto che ne esce è sconfortante. Il premier è ossessionato da alcuni fantasmi e pur essendo un grande esperto di comunicazione dimentica che le trasmissioni di Santoro e Floris spostano pochissimi voti. Dimentica che, nell’epoca di Internet, l’informazione viaggia per mille altri canali. Dimentica che la separatezza fra controllori e controllati è l’abc della democrazia. L’unico che ne esce dignitosamente è il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò: non si è lasciato mettere i piedi in testa. Il resto è un paesaggio di rovine padronali.
Aldo Grasso