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 2010  marzo 11 Giovedì calendario

TESORO

Il Signore delle Pietre vive a Trieste, ma il suo regno si estende idealmente alle Americhe, gran parte dell’Asia e giù fino in Australia. Però quel che più colpisce, quando si è ammessi a visitare la sua collezione unica di minerali "abnormi" (come li definisce lui stesso, Primo Rovis) è la singolare mistura di solidità imprenditoriale, competenza scientifica e carica mistica, non disgiunta da suggestioni letterarie, che sembra emanare dal complesso delle sue "creature". E da una in particolare, un pezzo unico custodito nel profondo del caveau di una banca triestina: una Candela naturale - valore presunto sui cento milioni di euro - che si dice destinata a Mozah, regina del Qatar e moglie dello sceicco (oltre che amica personale di Carla Sarkozy). Ed eccola, la Candela, una concrezione stranissima di ametista e cuore d’agata, scoperta anni fa in una località del Brasile, all’interno di una drusa da mezza tonnellata dello stesso materiale. Era rimasta a dormire per centotrenta milioni d’anni, nell’era del Cretacico, dopo essersi formata quasi per un "tocco divino" ("arte di Dio" è un’altra definizione mistica di Rovis) all’interno del basalto. Alta meno di venti centimetri, delicatissima e slanciata, presenta alla sommità uno stoppino che sembra messo lì apposta dalla mano esperta di uno scultore, e invece rivela semplicemente la firma della natura, o di chi l’ha creata.
Ma perché destinarla proprio alla regina Mozah? Primo Rovis risponde citando la tradizione e la mistica orientale, persiana in particolare, che accosta da sempre candela e farfalla come simboli dell’amore destinato a consumarsi durante la notte nella cera disciolta: "La candela sa perché la farfalla sacrifica la sua vita", cantava per esempio Tohidi-e-Shirazi nel diciannovesimo secolo. Ma anche se alla fine la sua Candela prenderà la strada del Qatar, gli rimarrà pur sempre il "Picasso" - anch’esso custodito nel caveau - ovvero un’agata che per qualche capriccio naturale sembra davvero un volto tracciato e colorato dal maestro, con occhi e naso asimmetrici e un cuore al posto della bocca.
E, poi, naturalmente, c’è da scoprire il resto della sua raccolta, imponente, nonostante una parte sia stata donata alla Sapienza, a Roma, e un’altra, enorme, sia già imballata per partire alla volta del museo dell’università statale Lomonosov a Mosca. Attraverso le sue bellezze "abnormi", custodite in gran parte all’interno di due magazzini, nei pressi della Stazione centrale di Trieste, si può ricostruire anzitutto la carriera incredibile dello stesso Rovis, discendente da una famiglia carnica ma nato in Istria, dove da piccolo, orfano, ha percorso le strade sterrate, armato di un martellino per sminuzzare e spargervi la ghiaia.
UNA FORTUNA PARTITA DA 11 LIRE
Dalle undici lire che riceveva per ogni metro cubo di materiale, alla fortuna mondiale come imprenditore del caffè: questa l’avventura di un profugo istriano destinato a vedersi celebrare come "uomo del secolo" da parte del Centro del commercio del caffè di Rio de Janeiro. Poi, ricavata una fortuna dalla vendita dell’impero commerciale, eccolo trasformarsi in collezionista globale e Signore delle Pietre. stato visitando le miniere del Rio Grande do Sul e del Minas Gerais che Rovis ha avuto il primo contatto ravvicinato con le meraviglie del sottosuolo. Oggi, a ottantotto anni portati come niente, quasi la fiamma intcriore della mineralogia bastasse a sostenerlo. Primo Rovis spalanca i cancelli del suo deposito, di norma riservato solo ad amici e intenditori. Aggirarsi laggiù è un po’ come farsi una passeggiata - dal vero, però - fra le meraviglie virtuali del pianeta Pandora (quello del film Avatai): fra canoe di ametista, matrici primordiali di agata circolare dentro cui sembrano ribollire cristalli spugnosi, quarzi trasparenti con effetti da lanterna magica, pareti di gesso trasparente, tronchi d’alberi giganteschi del Triassico, con inclusioni di opale, vecchi 220 milioni d’anni, geodi di agata a forma di tartaruga, candidi fiorellini impalpabili di calcite, banchi di finti coralli nati dal quarzo, strane bocche ripiene di polpa rosa su cui sono posate fantastiche farfalle gialle, sezioni di agata multicolori, sfere di minerali che sembrano comporre il sistema planetario di una galassia remota. Ci si ferma davanti a quella che si presenta come una carta geografica della Svizzera, invece è la sezione di un albero pietrifico dell’Arizona, del peso di quattro tonnellate e mezzo; si contempla, provando una specie di vertigine temporale, una sequoia nera antidiluviana punteggiata da cristalli e rocca, si ritorna infine al punto di partenza in cerca di qualche guida non soltanto scientifica. E si trova Claudio Magris, amico di Rovis e protettore delle esuberanti un po’ folli genialità mitteleuropee, noi esclusa quella dello scrittore Adalbert Stiter, di casa a Trieste e autore di singolari romanzi, ciascuno dei quali dedicato al valore simbolico di una particolare pietra; o naturalmente di Thomas Mann o Hermann Broch che nei loro capolavori risalgono alla potenza primordiale del "primo regno", quello minerale. «Che come si vede non è affatto morto», ricorda Magris, «perché cresce e si sviluppa, secondo piani imprevedibili e sorprendenti».