Lauretta Colonnelli, Corriere della Sera 5/3/2010, 5 marzo 2010
L’ARTE NATURA
Pare difficile credere che ci sia ancora qualcosa di nuovo da dire sugli impressionisti, dopo l’infinità di mostre organizzate in tutta Italia negli ultimi anni. Eppure il punto di vista adottato dagli organizzatori della mostra «Da Corot a Monet. La sinfonia della natura», che si inaugura oggi al Complesso del Vittoriano (aperta al pubblico dal 6 marzo al 29 giugno), riesce a trasmettere informazioni di cui non tutti sono a conoscenza. La rassegna, che comprende 170 opere, tra dipinti, opere su carta e fotografie d’epoca, si apre con una selezione di opere a contrasto: da un lato i paesaggisti classicheggianti, dall’altro gli artisti della Scuola di Barbizon, da Corot a Rousseau, da Dupré a Daubigny, che intorno al 1830 cominciarono a disegnare «en plein air». E si chiude con lo splendido ciclo delle Ninfee di Monet, conservato all’Orangerie di Parigi. In mezzo, le opere di quasi tutti gli impressionisti. Stephen Eisenman, che cura la rassegna, vuole dimostrare che furono i primi «artisti ecologici» della storia. E lo fa mettendoli a confronto con gli scienziati che teorizzavano «l’economia della natura», ovvero la visione della terra come un insieme di sistemi umani e naturali, con tutte le parti ugualmente vitali e vincolate l’una all’altra.
In mostra Da sin. in alto Frédéric Bazille «Veduta di un villaggio»; Alfred Sisley «Sentiero da By al Bois des Roches-Courtaut» e Claude Monet «Ninfee, armonie in blu»
Perciò i dipinti di Courbet sono appesi accanto ad alcune copie della rivista scientifica «La Nature», fondata nel 1873 da Gustave Tissandier, che riprendeva e diffondeva i concetti chiave del pensiero ecologico moderno teorizzati per la prima volta nel 1866 dal prussiano Ernst Haeckel. Tissandier era affascinato dall’acqua come entità concreta e metaforica, dalle sue capacità distruttive e «riproduttive». Affermava che le onde «infliggono ferite» alla delicata epidermide della terra, ma al tempo stesso depositano sedimenti che creano nuova carne: «Se, come dicono alcuni, il ferro è lo scheletro della terra, allora l’acqua ne è il sangue: il flusso e riflusso incessante, l’evaporazione e il ritorno infinito corrispondono al battito del cuore umano e alla sua linfa vitale». Ed ecco Courbet dipingere quadri come « La Mosa a Freyr» e «L’onda»: nel primo il fiume è simile a un’arteria che scava la roccia e nel secondo le onde pronte a infrangersi sulla riva sembrano vere e proprie rappresentazioni delle potenti forze di erosione e sedimentazione descritte da Tissandier.
Un altro scienziato affascinato dall’acqua fu il geografo radicale Elisée Reclus. Anche di lui si possono esaminare in mostra alcune pubblicazioni. In «Storia di un ruscello» descrisse i cicli dell’acqua definendoli un simbolo dell’interazione tra natura e società e annunciando il sogno anarchico di cooperazione e aiuto reciproco: «I popoli si mischieranno con altri popoli come i ruscelli con i ruscelli e i fiumi con i fiumi; prima o poi formeranno una sola e unica nazione, così come tutte le acque di un unico bacino finiscono per confluire inseparabilmente in un unico fiume». La sua teoria, che l’umanità costituisse un unico organismo destinato a progredire verso l’emancipazione, influenzò profondamente il pensiero degli anarchici e dei pittori Camille Pissarro e Alfred Sisley. Soprattutto quest’ultimo dedicò tutta la sua carriera a rappresentare i cicli della natura e il potere dell’idrologia. Tra gli esempi in mostra, «L’inondazione a Port-Marly», «L’inondazione a Moret», «La Senna a St.Mammès», che raffigurano in maniera vivida ciò che Tissandier e Reclus avevano descritto a parole, ovvero che le piene sempre più frequenti dei fiumi francesi erano una conseguenza degli abusi dell’uomo che distruggeva foreste per lasciare spazio all’agricoltura. Ma anche il fatto che le comunità sono in grado di adattarsi ai cicli della natura e persino alle calamità provocate dalle azioni sconsiderate dell’uomo. Da osservare attentamente il modo in cui Sisley dipinge l’acqua del fiume nella tela «La Senna a St. Mammès»: con pennellate lunghe, simili ad anguille, che trascolorano dal nero all’azzurro all’arancio. Tuttavia nell’angolo in basso a sinistra si notano lumeggiature eseguite con una vena pointillista tre o quattro anni prima che Seurat e Signac inventassero la tecnica e il critico Félix Fénéon ne desse una definizione.