Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 11 Giovedì calendario

L’ET CONQUISTATA

Comincia con un gruppo di sei statue in argilla, recuperate nel 1767 a Roma presso Porta Latina da un cavatore di pozzolana, la mostra «L’età della conquista», che si inaugura domani ai Musei Capitolini alla presenza di Giorgio Napolitano. «Un gruppo praticamente inedito, perché per stranissime vicende queste statue non hanno mai catturato l’attenzione degli studiosi, mancavano persino le foto», spiega Eugenio La Rocca, per quindici anni a capo della soprintendenza archeologica capitolina e ora ideatore e curatore, insieme a Claudio Parisi Presicce, della mostra. La Rocca, che ci fa cortesemente da guida in una visita in anteprima all’esposizione (un centinaio di opere suddivise su tre piani dei Capitolini), racconta che le sculture, arrivate in prestito dal British Museum di Londra, sono invece pezzi di importanza enorme, «perché testimoniano quel periodo di passaggio tra la fase arcaica dell’arte romana e la fase di ellenizzazione avvenuta verso la prima metà del II secolo a. C.». Appartengono a un’epoca in cui Roma era una città in cui il marmo era ancora sconosciuto, anche perché si sarebbe dovuto importarlo a costi altissimi dalla Grecia dato che le cave di Luni, l’odierna Carrara, non erano state scoperte.

Una città «misera e con costumi ridicoli», come ebbero a dire i cortigiani di Filippo V ilMacedone (sconfitto dai Romani nel 197 a.C.), stupiti di scoprire che i nuovi dominatori del Mediterraneo avessero una capitale in cui perfino i templi erano costruiti in legno ed argilla e le statue degli dei non superavano il metro di altezza. Come la statua di Minerva in trono, che fa parte di questo gruppo fittile ed è comunque straordinaria, soprattutto per la maestria con la quale sono eseguite le pieghe ricche e movimentate del lungo chitone. Il passaggio dell’arte romana verso quella ellenica (che è poi il tema della mostra) si comincia a vedere con la conclusione delle guerre puniche, quando i generali vincitori, da Marcello a Lucio Mummio, rientrano a Roma esibendo nel corso della processione trionfale statue e dipinti di una qualità formale mai vista prima. E portandosi al seguito un gran numero di artigiani greci, architetti e artisti destinati amutare per sempre l’immagine stessa della città. «Perciò Marcello ottenne maggior fama presso il popolo per avere abbellito la città con opere che procuravano piacere alla vista, ed erano espressione di bellezza e di fascino greco», scriverà Plutarco.

Un passaggio che in mostra è sottolineato dalle sculture esposte nella sala degli Orazi e Curiazi, con una serie di statue di culto del II secolo a.C., alcune ritrovate in Italia, altre provenienti dal Museo archeologico nazionale di Atene. «Sono state messe a confronto - fa notare La Rocca - per far vedere che sono tutte della stessa famiglia». Sono infatti sculture colossali, per lo più teste, di divinità maschili e femminili. «Facevano parte di un insieme scenografico spesso impressionante per impatto - spiega La Rocca - anche perché spesso raggiungevano tra i sei e gli otto metri di altezza. Molte erano realizzate secondo la tecnica detta acrolitica: la testa e gli arti erano eseguiti in marmo e il resto del corpo applicando su una impalcatura di legno un prezioso rivestimento di stoffe, di lamine di metallo, o di lastre di marmo sottilissime, lavorate in superficie».

Verso la metà del I sec. a.C., quando si cominciano a usare alla grande le cave del marmo di Luni, anche i cittadini importanti vogliono farsi ritrarre dagli scultori. Nudi, perché la nudità è simbolo di eroismo. In mostra ce ne sono tre. Quella che ha la testa intera racconta una curiosa singolarità delle statue onorarie dei cittadini romani. La scultura mostra infatti un corpo muscoloso e intatto da giovane guerriero, mentre la testa è quella di un uomo di oltre quarant’anni, con un’estesa calvizie e i tratti del viso segnati dall’età. «Con una inconcepibile differenza tra la bellezza ideale del corpo e la testa realistica. Avveniva anche in Grecia, ma i Greci sapevano come collegare le due parti. I romani impareranno con l’Impero». Lo scopriremo con la prossima mostra, «L’età dell’equlibrio», in programma per il 2011.