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 2010  marzo 18 Giovedì calendario

PIRANDELLO

L’unico ritratto di Luigi Pirandello dipinto dal figlio Fausto è stato donato ieri dal nipote Pierluigi alla Galleria nazionale d’arte moderna, dove si è inaugurata la mostra «Fausto Pirandello alle Quadriennali del 1935 e del 1939». Ed è lo stesso Pierluigi a raccontare come nacque quel piccolo dipinto che raffigura lo scrittore con il cappello in testa, gli occhi pungenti come spilli, il classico papillon e il pizzetto bianco. Era l’estate del 1936. Pirandello aveva vinto due anni prima il Premio Nobel. Durante l’estate del ”35 a Castiglioncello, dove era solito passare le vacanze, si ritrovò davanti all’ombrellone una fila di persone che lo assediavano proponendogli di scrivere romanzi a quattro mani. Così l’estate successiva, quella appunto del ”36, chiese a Fausto di cercare una casetta ad Anticoli Corrado, in un posto il più isolato possibile. E così fu.

«Avevo sette anni - ricorda Pierluigi-e non fu una vacanza facile. Mio padre si mise a fare il ritratto del nonno e il nonno decise di fare il mio. Ed erano di più le liti che le pennellate. Nella turbolenza delle discussioni li sentivo lanciarsi parole come "estetica", di cui non capivo il significato». Lo scrittore morirà nel dicembre di quello stesso anno. Tuttavia, dalle lettere (come quella che ieri Pierluigi ha letto in Galleria e che in parte pubblichiamo a fianco) e dai racconti dei testimoni, quell’anno fu in fondo il meno contrastato nei rapporti tra padre e figlio. Anche il ritratto rivela una certa tenerezza, nonostante «una punta, non sappiano quanto cosciente, di affettuosa irriverenza», come fa notare Maria Vittoria Marini Clarelli, soprintendente della Gnam. «Luigi è distante, quasi solenne, nel sapiente contrappunto di grigi e di bianchi, ma non si può non sorridere davanti all’evidente assonanza di forma tra il cappello e il paralume». Quella stessa estate Fausto iniziò a dipingere «La siccità», il grande olio su tavola che campeggia nella sala centrale della mostra. Luigi si sedeva al suo fianco a guardarlo lavorare e naturalmente continuavano le discussioni. Tanto che il pittore a un certo punto buttò via i pennelli e abbandonò il soggetto. Lo riprese solo all’inizio del 1937, dopo la scomparsa del padre, e immaginò un campo di granoturco ardente, con i falciatori rudi e forti, come erano sempre le sue figure, anche quelle di donne e bambini. Venne esposto alla Quadriennale del ”39, insieme a un’inquietante «Testa di bambola» che evoca due donne in manicomio, forse un riferimento alla triste vicenda della madre, impazzita dopo la perdita delle miniere di zolfo che i Pirandello avevano in gestione. Nella stessa sala c’erano «Giochi in terrazza», «Monti del Lazio», «La tenda rossa», Pastori», «I ranocchi». Quest’ultimo, con tre ragazzi che raccolgono rane e hanno corpi che sembrano fatti di fango su uno sfondo di melma verde, è in realtà solo una parte del quadro originario. «Fu acquistato subito dopo l’esposizione da Telesio Interlandi - ricorda Marini Clarelli - e le truppe inglesi, che nel 1944 gli requisirono il villino, lo tagliarono in due per sostituite i vetri rotti delle finestre. Questa è l’unica parte che si è salvata, l’altra si è persa». Accanto ai dipinti delle Quadriennali, Claudia Gian Ferrari, curatrice della mostra, ne ha aggiunti altri che appartengono agli stessi anni, per documentare con maggiore ampiezza quel «momento straordinario della carriera dell’artista».