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 2010  marzo 16 Martedì calendario

La Persia segreta della prima missione italiana Palazzi imperiali e giardini segreti, dignitari in costumi di seta e vedute del deserto: sono le immagini che i fotografi italiani Luigi Pesce e Antonio Giannuzzi, Luigi Montabone e Alberto Pietrobon scattarono in Persia tra il 1848 e il 1864

La Persia segreta della prima missione italiana Palazzi imperiali e giardini segreti, dignitari in costumi di seta e vedute del deserto: sono le immagini che i fotografi italiani Luigi Pesce e Antonio Giannuzzi, Luigi Montabone e Alberto Pietrobon scattarono in Persia tra il 1848 e il 1864. Sono in mostra fino al 5 aprile presso la Calcografia. «Venne poi il turno del signor Montabone. Lo Shah, sentendo come fosse distinto fotografo, espresse il desiderio di vedere i suoi lavori e di farsi egli medesimo ritrarre». I ricordi sono di Filippo De Filippi, che nel 1862 fece parte del folto gruppo di scienziati chiamati dal ministro plenipotenziario Marcello Cerruti a seguirlo nella prima missione del giovanissimo Regno d’Italia in Persia. Alla missione partecipava anche il fotografo piemontese Luigi Montabone, il quale non lasciò cadere l’invito di Naseroddin Shah, appartenente alla dinastia qajara, che aveva conquistato il potere nel 1795. Montabone, accompagnato dal suo assistente veneziano Alberto Pietrobon, a Teheran lavorò velocemente. Il giorno in cui la delegazione italiana venne accolta in udienza reale era il 20 agosto 1862, un mercoledì. Montabone e Pietrobon eseguono i ritratti dello Shah e poi si danno a fotografare la corte, le guarnigioni, la reggia. Il lunedì successivo, i componenti della missione diplomatica preparavano già i bagagli per il rientro in Italia. Dimenticate per quasi un secolo, le immagini scattate in quei cinque giorni, sono ora riapparse nella mostra «La Persia Qajar. Fotografi italiani in Iran 1848-1864», curata da Maria Francesca Bonetti e Alberto Prandi, che hanno raccolto un centinaio di quelle immagini ritrovate presso vari musei italiani e stranieri e in collezioni private. Una mostra appassionante, che trascina lo spettatore indietro nel tempo, in un’epoca di 150 anni fa, ma che sembra addirittura fuori da ogni calendario. Le sontuose moschee, il palazzo imperiale che si specchia nel lago, i saloni con le pareti di legno traforato e con i mobili intarsiati di pietre preziose, i giardini segreti dentro le mura. E poi i dignitari nei loro costumi di seta, esaltati dalla coloritura miniata con cui i fotografi ritoccarono i ritratti, il deserto che si intravede quasi sempre intorno ai monumenti, alcuni scorci di Teheran come visioni prodotte da un sogno. Così come sembrano usciti da un incantamento gli scatti di Luigi Pesce e Antonio Giannuzzi, che in Persia c’erano arrivati quattordici anni prima di Montabone. E non in missione diplomatica, ma come fuoriusciti in seguito ai moti risorgimentali del 1848. Quando la delegazione italiana arrivò a Teheran loro vivevano lì già da tre lustri, lavorando come istruttori militari al servizio dello Shah. E non vedevano l’ora di tornare in patria, come testimonia De Filippi, che nei famosi cinque giorni della missione incontrò i due fuoriusciti, e, tornato in Italia ricorderà come «alle occupazioni, non punto gravose, del loro officio, altre aggiungono per elezione. Il colonnello Pesce, abilissimo fotografo, ha radunato un prezioso album di vedute della Persia, molte delle quali rappresentanti grandiosi monumenti dell’antica Persepoli. Possano queste poche righe giungere loro come un saluto, ravvivar la memoria dei pochi giorni passati insieme nelle oasi del Schemran, e la speranza di rivederci presto sotto il cielo della comune patria». Speranza vana per Luigi Pesce, che il 23 marzo del 1861 aveva anche inviato a Cavour un album delle sue fotografie insieme alla richiesta di riammissione in patria. Album le cui tracce sono state inseguite dai curatori della mostra e che è stato associato a quello conservato in una collezione romana, apparso sul mercato londinese nel 1981 e attualmente conservato al Metropolitan Museum di New York. Pesce e Giannuzzi restarono dunque a Teheran, in attesa di un permesso per rientrare e si occuparono della liquidazione dei beni lasciati in loco dai delegati della missione. Subito dopo Pesce fu colpito alla malattia che lo avrebbe portato alla morte, il 27 novembre del 1864. Con la sua scomparsa si esaurisce anche il contributo dei fotografi italiani in Persia, ma non la loro influenza. Pesce e Giannuzzi sembrano essere stati i primi a far conoscere in Iran la tecnica della calotipia, con la quale documentarono paesaggi e monumenti. Montabone, con il suo ruolo di fotografo ufficiale della missione, ispirò iltitolo di «Akkas-bashi» (fotografo di corte), che lo Shah assegnò nel 1863 ad Agha Riza Khan, suo servitore e fedele assistente che, primo vero fotografo locale, inaugurò il nuovo corso della fotografia persiana.