Antonio Ghirindelli, Il tempo 16/3/2010, 16 marzo 2010
DIRETTORI TV PRESSATI E LOTTIZZATI. SEMPRE
Ai miei tempi, negli anni Ottanta del secolo scorso, per i posti direttivi alla Rai si usava la lottizzazione, una pratica cosi definita dal povero e grande Alberto Ronchey e che oggi viene criminalizzata come la spartizione di un bottino. Non nascondo che il sistema presentava anche risvolti comici.
Per esempio, quando un dirigente centrale di un partito litigava col segretario, il suo rappresentante nel telegiornale o nella rete, veniva privato della segretaria; se insisteva, perdeva l’ufficio, ma fortunatamente lo stipendio non veniva intaccato. Ma in sé il criterio non aveva nulla di peccaminoso giacché, dopo la riforma degli anni Cinquanta, i tre telegiornali venivano spartiti fra i tre partiti principali del Paese e nel Parlamento: democristiani l’1, socialisti il 2,comunisti il 3, con direttori naturalmente mediati - si badi: mediati tra . direzione generale e partito. In altre parole, erano rappresentate tutte le culture politiche, ad eccezione dei fascisti, che erano «fuori dell’arco costituzionale», e con qualche difficoltà - questa si riprovevole - per liberali, repubblicani e radicali che venivano sporadicamente recuperati dai direttori più laici. Io, che avevano lavorato quattro anni come portavoce di Bottino Craxi, segretario del PSI e per diverso tempo presidente del Consiglio, fui indicato come direttore del TG2 dalla stesso Craxi a due mammasantissima del vertice Rai, che avevano bisogno di sostituire il collega Zatterin, anche lui arruolato sotto la bandiera del garofano. I due mammasantissima vennero più di una volta a casa mia e quando finalmente, su preghiera di Bettino, accettai l’incarico, mia moglie si vide arrivare uno stupendo mazzo di fiori, accompagnato da un messaggio struggente: «Grazie, cara, di averci dato il tuo Antonio». Devo confessare che, dopo aver cominciato a dirigere il mio telegiornale, mi sono pentito di aver fatto tanto il difficile perché quel lavoro è il più divertente e impegnativo che possa sognare un giornalista, sia pure vecchio e collaudato come me. Quando un redattore del "Corriere della Sera", molto spiritoso, mi chiese se era vero che amavo Craxi, risposi scherzando: "Non è il mio tipo" e poi, un po’ più seriamente, gli feci osservare che dirigevo giornali, sia pure non televisivi, quando Bettino portava ancora i calzoni alla zuava. Il Presidente non mi telefonò quasi e non per il mio spirito di indipendenza ma, più semplicemente, perché la pensavo come lui e, nella mia qualità di portavoce del governo, avevo imparato a capirlo prima che parlasse. Tuttavia, quando assunsi Giuliano Ferrara e, avendo scoperto che era un genio della TV, gli affidai una rubrica di commenti al cianuro per la mezzanotte, dal titolo Bretelle rosse" (copiato dalla sua goffa "mise"), il Presidente mi telefonò per chiedermi, testualmente: "Ma non ti pare che sia troppo grasso?". Lo rassicurai e ci congedammo con una risata. Alla scadenza del primo anno, mi cacciarono, mandandomi in pensione con una liquidazione da dattilografo, ma io fui egualmente soddisfatto perché avevo fatto un’esperienza indimenticabile ed ero diventato amico del Direttore Generale Biagio Agnes e del Direttore del TG3, un terribile comunista, Sandro Curzi, che mi dedicò una cordialissima intervista di congedo. Perché eravamo lottizzati e divisi da divergenze politicoideologiche inconciliabili, ma non era come adesso, non ci odiavamo, né ci passava per la mente di insultarci o di insinuare - in base ad intercettazioni telefoniche allora, se Dio vuole, inesistenti chissà quali nefandezze. La pensavano diversamente ma ci stimavamo e ci rispettavamo: non avrei mai deplorato Minzolini o Santoro, tutt’al più avrei spento l’apparecchio.