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 2010  marzo 24 Mercoledì calendario

VI DICO PERCHE’ I COLPEVOLI SONO OLINDO E ROSA"

Parla Giuseppe Castagna. Oggi, 24 marzo 2010, pag. 26

Gentile direttore. non avendo nulla da nascondere, come le avevo anticipato, le comunico alcune puntualizzazioni o risposte ai dubbi sollevati nell’articolo, a mio avviso infamante, del giornalista Edoardo Montollli (il 17 marzo Oggi aveva pubblicato un articolo di Edoardo Montolli "E se Rosa e Olindo fossero innocenti?"). Premetto solo che nelle prime, non ricordo se quattro o cinque udienze del proceso, non potei entrare in aula. Ero fra i testimoni richiesti dalla difesa, aspettavo con trepidazione di essere ascoltato, così da poter seguire anch’io il processo. Ebbene, proprio la difesa che adesso lamenta il fatto di non avermi potuto interrogare, mi stralciò insieme ad altri dalla lista dei testimoni, preferendo ascoltarne altri.
La questione del movente.
Montolli, oltre ad avere ipotizzato fantasiose vie di fughe alternative o riscontrato incongruenze nei verbali o rilevato che mancano indagini nei confronti della mia famiglia, butta lì un cenno di movente: l’assicurazione sulla vita di Raffaella. Evidenziando la data 18 marzo 2006, sospetta perchè pochi mesi prima della strage. Ecco però la verità.
A inizio 2006 a una cara amica di famiglia fu diagnosticato un tumore. Per motivi economici e per la mancanza di una assicurazione sulla salute, non potè accedere a strutture sanitarie efficienti. La cosa ci fece riflettere e ci spinse a stipulare un’assicurazione sulla salute per ogni componente della famiglia, compresa Raffaella e Youssef. Su consiglio dell’assicuratore io, Pietro e Raffaella stipulammo contemporaneamente un’assicurazione sulla vita (i miei genitori ne erano già in possesso). Non tutti sanno che il piccolo Youssef dipendeva principalmente dai miei genitori sia da un punto di vista economico che educativo, considerata la totale inaffidabilità del padre (Azouz Marzouk, con precedenti penali e carcere per spaccio di droga, ndr) e il lavoro della madre. Per questo motivo i miei genitori, in accordo con Raffaella, decisero di mettere se stessi come beneficiari: qualsiasi cosa le fosse successa, avvrebbero avuto a disposizione una somma che li avrebbe aiutati a provvedere al piccolo Youssef, senza dovere fare i conti con ulteriori beneficiari minori o poco affidabili. Tra l’altro, le rate venivano pagate da mio padre. Tutte queste assicurazioni sono state stipulate nel medesimo giorno, 18 marzo 2006, per ogni componente della famiglia. Montolli si chiede che fine hanno fatto quei soldi: non credo sia mio dovere spiegarlo in questa sede, ma non ci saranno problemi qualora ce lo chiedessero nelle sedi opportune.
Ma il movente dovrebbero essere i soldi? Per 100 mila euro mio fratello o noi tutti insieme, compreso nostro padre, avremmo ucciso la mamma, Raffaella e Youssef? O i soldi dell’assicurazione sono serviti per pagare una falsa testimonianza o per sviare le indagini? Oppure il movente va cercato nei cattivi rapporti fra Raffaella e la famiglia? Non è un segreto che nessuno di noi condividesse le scelte di Raffaella: chi sarebbe contento e tranquillo se la propria figlia o sorella si sposasse con uno spacciatore? In realtà, ognuno in famiglia cercava di avere il proprio ruolo, i miei genitori le stavano vicino in ogni modo, la accompagnarono addirittura più volte in carcere a visitare Azouz. L’8 dicembre 2006, tre giorni prima della strage, Raffaella era a pranzo da miei genitori, ogni giorrno il piccolo era accudito dalla mamma, Youssef giocava con i miei filgli, a me e a Pietro ci chiamava zii. Io e Pietro non le parlavamo, è vero, ma solo per ricordarle il dissenso della famiglia: in realtà aspettavamo e speravamo che tornasse e saremmo stati ben felici di aiutarla, ma solo dopo aver fatto certe scelte, che reputavamo e reputiamo fossero per il suo bene e il bene del bambino. Come fa notare anche Montolli, non avevamo interessi economici in comune con Raffaella. In più, da lì a poco sarebbe andata a vivere in Tunisia. Insomma, ognuno di noi fratelli faceva la propria vita senza interferire con quella degli altri, e non avevamo e non abbiamo problemi economci. In poche parole: dov’è il movente?
A che ora è rientrato Pietro con la Panda?
Nel tardo pomeriggio di quel maledetto giorno, l’11 dicembre 2006, discussi con mio padre mentre attaccavamo gli adesivi sulla Panda Van nuova dell’azienda. La discussione verteva sull’eventualità che non potessimo passare Natale tutti insieme, in famiglia. Erano le 18.30: me lo ricordo perchè si fermarono alcuni dipendenti a guardare la macchina mentre uscivano dal lavoro. Io ero piuttosto risentito e mio padre mi disse: "Dai Beppe, quando la mamma rientra scendiamo noi da voi a bere un caffè e ne parliamo".
Tornai in ufficio e intorno alle 19.15-9.30 incrociai mia madre sulle scale mentre rientrava dal cortile. Penso fosse uscita a caricare qualcehe cosa sulla macchina, probabilmente biancheria di Raffaella o non so che cosa, prima di tornare in casa a prendere Youssef per riportarlo dalla madre. Lì le rivolsi le ultime parole: "Ciao mamma, ci vediamo dopo".
Quella sera dunque ero sul divano della mia cucina, che ha le finestre sul cortile dove arrivano le macchine, con l’orecchio teso nell’attesa del rientro di mia mamma. Sentii il rumore del cancello che si apriva, mi alzai e vidi la Panda che entrava. Erano le 20.00-20.05. Non sapevo che anche quella sera la Panda la stava usando Pietro. Con mia moglie iniziai a domandarmi il motivo per cui non scendessero come mio padre aveva detto, cominciando a ipotizzare che, essendo piuttosto delicato il motivo della visita, non sapevano come incontrarci e spiegarci i motivi per cui quel Natale non lo avrebbero passato con noi e i nostri bimbi senza creare problemi. Per questo motivo non ci permettemmo di salire noi da loro con i bambini, non volevamo creare imbarazzo. Poi pensammo anche che probabilmente c’era qualche altro problema, tipo Raffaella che vuole andare a vivere in Tunisia, ecc.
Perchè Pietro in quei giorni usava la Panda della mamma?
Perchè il suo Range Rover era dal meccanico e, a causa dei suoi problemi di schiena gli era scomodo utilizzare la lancia K di mio padre, che ha una posizione di guida più bassa del Range Rover e della Panda: quindi chiese a mia madre di fare cambio di macchina.
Con chi era Pietro quella sera?
Mi ero messo il cuore in pace, quella sera non avremmo affrontato la discussione sul Natale, ne avremmo parlato il giorno dopo. Ricordo il film che davano su Sky, Indovina chi, con Ashton Kutcher, remake del più famoso Indovina chi viene a cena. Intorno alle 10.00 fui raggiunto telefonicamente da mio padre: mi disse che la mamma non era ancora rientrata. Io mi preoccupai, perchè ero sicuro di aver visto la Panda della mamma entrare, e pensai subito che lei fosse stata male, temevo di trovarla accasciata vicino alla macchina in cortile. Ma mio padre mi smentì subito e mi disse che la mamma era uscita con la Lancia K. Aggiunse che voleva provare ad andare a casa della Raffaella perchè sia lei che a mamma non rispondevano al telefono. Di lì a poco mi raggiunse di nuovo telefonicamente avvisandomi della terribile tragedia che era accaduta e mi disse di avvisare anche Pietro. Io lo chiamai subito, lui non ci poteva credere e piangendo mi disse: "Beppe, ti prego, dimmi che è un brutto scherzo". Fortunatamente i bambini erano già a letto. Pietro mi raggiunse in casa mia con un suo e nostro caro amico. che rimase con mia moglie Susy, disperata, mentre io e Pietro raggiungevamo nostro padre in Via Diaz a bordo della mia macchina, all’epoca una Lancia Phedra.
Che fine ha fatto la Panda.
Ognuno per i suoi motivi, reagisce alla morte di un proprio caro in diversi modi. C’è chi prepara la tavola anche per il caro estinto e c’è chi, come noi, soffre nel vedere qualsiasi cosa ne accentui la mancanza. Ad esempio i giocattoli e i vestitini del piccolo Youssef che si trovavano a casa dei miei finirono pochi giorni dopo alla Nostra Famiglia di Bosisio Parini. E la Panda della mamma, che era ferma in cortile, la donammo una decina di giorni dopo alle suore di Albese con Cassano, dove la zia di mio padre, suor Gina, passò gli ultimi anni della sua vita. Non è stato effettivamente ancora fatto il trapasso, quando lo faremo sarà mia premura renderlo noto a Montolli.
Perchè il comandante Gallorini avvisò mio padre dei traffici di Azouz prima che sposasse Raffaella, pur conoscendolo solo di vista?
Quando a inizio 2003 mio padre fu chiamato dal comandante Gallorini per informarlo sui traffici del futuro marito di sua figlia, la cosa non mi stupì assolutamente. Perchè? Pensai che a un comandante dei Carabinieri non facesse molto piacere che uno spacciatore sistemasse i suoi problemi di permesso di soggiorno sposandosi con un’italiana. Probabilmente, anche se non conosceva di persona mio padre, un minimo di stima doveva nutrirla nei suoi confronti, vuoi per l’impegno politico a livello locale in passato, vuoi per l’impegno a livello sociale. Oppure, più semplicemente, le confidenze che mio padre aveva fatto a parenti e amici in qualche modo erano giunte al comandante Gallorini, che fu quindi sollecitato a muoversi in qualche modo. Tra l’altro, dei traffici di Azouz eravamo già a conoscenza da alcuni giorni: come si dice, il paese è piccolo e la gente mormora.
Il caso Ben Brahim Chemcoum
E’ affidabile come testimone una persona che era oggetto di un provvedimento di espulsione? Con il vizio di fornire generalità e nazionalità diverse (algerino, egiziano, marocchino) ogni volta che veniva fermato. Si capisce chiaramente che chi gli dà credito non conosce la zona. Lui dice di aver sentito urlare "aiutatemi" dalla fontanella vicino ai portici. I portici, ipotizzando l’angolo più vicino alla corte di via Diaz, si trovano a 150 metri in linea d’aria: mi riesce difficile credere che lui abbia sentito "aiutatemi" da così distante, tenendo conto anche degli edifici che ci sono fra i portici e la corte, e tenendo conto soprattutto le condizioni della vittima.
Fuga dal tetto???
Secondo Motolli, gli inquirenti, in particolare il comandante Gallorini, non hanno tenuto conto di eventuali fughe dal tetto, unico modo per scappare se ci si attiene alla testi di Montolli e quindi della difesa. A mio avviso, avendo ben presente la corte e la casa, credo sia impossibile scappare dal tetto, a meno che non si sia dotati di superpoteri o di doti circensi, e comunque quando si calpesta un tetto fatto di coppi, tra l’altro scappando, cerdo sia impossibile non rompere o spostare almeno una tegola o più tegole. Se proprio ve lo devo dire, non ci vedo mio fartello, con i suoi problemi alla schiena e con i suoi 120 chili, correre su un tetto.
La verità
C’è un movente, seppur banale, ma c’è. Ci sono le testimonianze dei vicini di casa, dei vigili urbani intervenuti durante i litigi, le ripetute minacce, gli inseguimenti. Ci sono le confessioni dei due assassini, che coincidono tra loro. Il "signor" Olindo ha confessato in altre occasioni, o sotto forma di pizzini sulla sua Bibbia o tramite una lettera al prete che aveva celebrato il suo matrimonio o vantandosi con il vicino di cella o tramite la perizia psichiatrica. Stessa cosa la "signora" Rosa: tutti abbiamo presente le immagini della perizia psichiatrica. C’è la macchia di sangue sul battitacco della macchina di Olindo, che coincide esattamente con la confessione da lui rilasciata in cui afferma di essersi accorto nel bagno del McDonald di Como di avere le calze sporche di sangue e di essersele lì tolte e di averle buttate prima di tornare a Erba. Macchia di sangue contenente il Dna della signora Valeria Cherubini (la quarta vittima, ndr), non contaminato da acqua (dei Vigili del fuoco) e quindi derivante direttamente dalla scena del crimine. C’è la testimonianza del signor Frigerio (il marito della Cherubini, l’unico sopravvissuto, ndr), che ha ricnonosciuto Olindo sia in aula sia, a differenza di quanto dicono la difesa e Montolli, durante il primo colloquio avvenuto quattro giorni dopo la strage, la cui registrazione è stata fatta sentire dalla Corte nell’udienza del 2 aprile 2008 tramite un semplice I-Pod. Tutti in aula hanno sentito chiaramente e senza ombra di dubbio: "Perchè è stato è stato l’Olindo, l’avevo visto...l’ho capito perchè erano dentro, perchè è stato l’Olindo, al cento per cento".
Conclusione
Non posso credere che ci sia qualcuno che abbia assistito al processo o abbia letto le carte processuali o abbia seguito abbastanza attentamente la vicenda e che ugualmente possa essere convinto dell’innocenza di Rosa e Olindo. Non so neanche il motivo reale per cui si continuano a portare avanti certe tesi. Avremmo compreso una linea difensiva tesa a dimostrare un’eventuale incapacità di intendere e volere. Avremmo sofferto meno noi, e forse anche gli assassini.