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 2008  luglio 24 Giovedì calendario

CASO ORLANDI, UNA QUESTIONE DI SOLDI

(apertura del Foglio del 13 marzo 2010) -

Dopo 27 anni, per il caso Emanuela Orlandi ci sono tre indagati: Sergio Virtù detto ”il macellaio”, 49 anni, presunto autista del boss della Magliana Enrico De Pedis detto ”Renatino”; Angelo Cassani detto ”Ciletto”, 49 anni e Gianfranco Cerboni detto ”Giggetto”, 47. Tutti accusati di sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte dell’ostaggio e dal fatto che fosse minorenne [1]

Emanuela Orlandi, nata il 14 gennaio 1968, quarta figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, Ercole Orlandi (morto nel 2004), fu rapita il 22 giugno 1983. Daniele Mastrogiacomo: «Lungo la strada che la porta dal Vaticano, dove viveva con il padre, la madre, una sorella e un fratello, alla scuola di musica di Sant’Apollinare, viene avvicinata da qualcuno a bordo di una Bmw verde. Le viene proposto un lavoro: distribuire dei volantini per conto di una nota industria di cosmetici. Emanuela è attirata dall’offerta. Accetta, anche perché il lavoro è semplice e ben retribuito: 375 mila lire per qualche pomeriggio da passare in mezzo a sfilate di moda e indossatrici. Ma prima vuole chiedere il permesso ai genitori. Chiama a casa, risponde la sorella che la dissuade. l’ultimo contatto che ha con la famiglia». [2]

Per gli inquirenti, Cerboni e Cassani, legati al boss Giorgio Paradisi, avrebbero pedinato Emanuela Orlandi (e non solo lei, ma anche altre adolescenti cittadine vaticane) per alcune settimane prima del rapimento (De Pedis li avrebbe scelti per rimanere nell’ombra): alcuni testimoni avrebbero riconosciuto le facce dei due indagati. Ad inchiodarli, anche le testimonianze di diversi collaboratori di giustizia. [1]

Sergio Virtù è stato intercettato al telefono mentre parlava con un’amica ungherese del sequestro di Emanuela Orlandi: «L’ho fatto per soldi, e non mi pento». Nonostante la sua voce registrata, ”il macellaio” nega tutto, sostenendo che quando parlava di soldi si riferiva ad altre vicende. Per gli inquirenti, però, è lui l’artefice di quella misteriosa scomparsa. [3]

Anche Cassani e Cerboni negano tutto, persino i loro soprannomi. Soprattutto Cassani. Ma la polizia ha ritrovato una sua lettera, scritta vent’anni fa dal carcere, in cui si firmava «Ciletto er chillerino». [3]

’Renatino”, morto ammazzato nel ”90, è stato inumato nella stessa chiesa di Sant’Apollinare da cui Emanuela uscì quella sera (il Vaticano s’è giustificato dicendo che il boss faceva tanta beneficenza). Nel 2005 una telefonata anonima alla trasmissione tv Chi l’ha visto? rivelò: «Se volete saperne di più su Emanuela Orlandi, guardate nella tomba di De Pedis». [4]

L’indagine che ha portato ai tre indagati parte dalle dichiarazioni di Sabrina Minardi, prima moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano ed ex compagna del boss Renatino. Costei nel 2006 raccontò alla polizia che la Orlandi fu rapita su ordine di monsignor Marcinkus e che furono proprio Giggetto e Ciletto, il 22 giugno dell’83, a caricarla su una Bmw verde per portarla fino al laghetto dell’Eur, dove l’avrebbero consegnata a De Pedis e a Virtù. Poi Emanuela fu portata a Torvaianica dove rimase nascosta per un mese. Fino a luglio, quando la famiglia della Minardi doveva trasferirsi nella villetta delle vacanze. E allora sarebbero stati ancora Giggetto e Ciletto ad accompagnare l’ostaggio nell’appartamento romano del Gianicolo di Daniela Mobili, amica di Danilo Abbruciati, altro boss della banda della Magliana. Emanuela Orlandi sarebbe rimasta in casa di Daniela un altro mese. Poi Sergio Virtù, con la sua Bmw «color cipolla», l’avrebbe accompagnata in un bar del Gianicolo per riconsegnarla a Sabrina Minardi. L’ultimo passaggio è a due passi dal Vaticano, quando la donna di De Pedis lascia Emanuela nelle mani di un «monsignore». Alla fine, sempre seconda la Minardi, la ragazza sarebbe stata uccisa: il corpo, rinchiuso dentro un sacco e gettato in una betoniera a Torvaianica. [5]

A proposito di Marcinkus, detto ”il banchiere di Dio” perché dal 1971 all’89 fu alla guida dello Ior, l’Istituto per le opere di religione (poi ”esiliato” in Arizona, è morto nel febbraio 2006), la Minardi raccontò che lo forniva di ragazzine: «A lui piacevano più signorine (minorenni, no!)». [6]

Il racconto della Minardi è pieno di inesattezze e elementi di scarsa credibilità, e ormai gli investigatori l’hanno relegato a spunto d’indagine. [3]

La polizia ha sempre tenuto d’occhio la pista della banda della Magliana. Due ore dopo la scomparsa, la famiglia Orlandi era già al distretto di polizia per la denuncia. Natalina Orlandi, sorella di Emanuela: «Ci convocarono il giorno dopo e ci trovammo davanti a un identikit che era stato disegnato con il contributo decisivo del vigile urbano in servizio vicino al Senato. Aveva visto mia sorella mentre parlava con un uomo a bordo di una Bmw. Quando è apparso il profilo, il poliziotto ha avuto un sussulto. Ha esclamato: ”Ma questo è De Pedis”». [7] Giulio Gangi, agente operativo dei servizi segreti civili, partito dal fatto che di Bmw ”verde tundra” ce n’erano pochissime arrivò forse a un passo dalla soluzione del caso. Massimo Martinelli: «Un meccanico del quartiere Vescovio ne aveva riparata una appena pochi giorni prima; non aveva guasti meccanici ma un danno di carrozzeria. Precisamente un finestrino rotto, quello anteriore lato passeggero. Ed era stato frantumato dall’interno verso l’esterno, come se qualcuno avesse dato un colpo violento per fuggire». Gangi rintracciò la bionda che aveva portato la macchina, ma poco dopo fu chiamato dal suo caposezione che lo invitò a non seguire più quella vicenda. [8]

Una pista lungamente propagandata è stata quella dei Lupi grigi, movimento nazionalista turco. I Lupi avrebbero rapito Emanuela per ottenere il rilascio di Alì Agca, l’uomo che aveva sparato a papa Wojtyla nel 1981. Una pista totalmente smentita dai magistrati nel 1997 (sentenza del giudice Adele Rando). [7]

Poco tempo fa Alì Agca ha detto alla famiglia che Emanuela Orlandi è viva, che sarebbe da qualche parte in Europa. [9]

La ragazza fu rapita per scambiare la sua liberazione con quella di Alì Agcà? «Ma quando mai!» E invece? «Soldi, sempre i soldi. La banda aveva prestato cifre da capogiro a Roberto Calvi, soldi girati al Vaticano. Soldi che dovevano prima o poi tornare a casa» [...] Si sbilanci a dire chi rapì Emanuela Orlandi e se, oggi, Sabrina Minardi dice cose verosimili. «In parte sì. Emanuela Orlandi fu sequestrata da Enrico De Pedis. Le trattative per il rilascio furono gestite ad alto livello. Molto alto». Però andò tutto a scatafascio. «Per me De Pedis ammazzò la Orlandi e provò ad andare avanti lo stesso con le trattative. Però a un certo punto il Vaticano capì come poteva essere andata e scattò il panico». E in tutto questo c’entra anche il fatto che De Pedis sia sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare? «Ottenne questo durante le trattative. De Pedis era religiosissimo. Sì, ammazzava la gente, ma era religioso» (il boss della banda della Magliana Antonio Mancini, detto ”accattone”, a Enrico Gregori) [10]

Nicola Cavaliere, ex vicecapo della polizia, oggi vicedirettore dei servizi segreti Aisi: «Alcuni elementi di questa vicenda già in passato ci avevano portato sulle tracce della banda della Magliana e di De Pedis. Anzi, per quel che mi riguarda, non ho mai considerato ipotesi diverse […] Molte linee convergevano verso quella di un ricatto nei confronti della Santa Sede, perché dopo l’uccisione di Roberto Calvi ai creditori ”illegali” dell’Ambrosiano si poneva un problema non secondario: chi sarà adesso a saldare il debito? Ma era una certezza difficile da dimostrare allora e anche oggi». [11]
«Se la banda della Magliana rapì la figlia quindicenne del messo papale, non fu per salvare Alì Agca, della cui sorte non s’interessavano affatto, ma per recuperare il malloppo. E se il nome del vescovo Paul Marcinkus fu tirato in ballo, attenzione, non era perché fosse il mandante del rapimento, ma semmai il ricattato. La vita di Emanuela fu messa in palio in cambio dei soldi custoditi allo Ior. Soldi però che lo stesso vescovo non aveva più perché nel frattempo finiti chissà dove. Forse in Polonia a sostenere la lotta di Solidarnosc. Forse in Sudamerica, a sostenere le missioni cattoliche. Forse sperperati in operazioni finanziare sbagliate. Chissà» (Francesco Grignetti). [11]

«Che il movente fosse molto prosaico, lo pensa anche il giudice Rosario Priore, che non s’è mai occupato direttamente del sequestro, ma di misteri vaticani se ne intende perché ha indagato per tredici anni sull’attentato al Papa. Intanto sbalordisce la cifra in ballo: ”Erano – dice Priore – 15 o 20 miliardi di lire, per i quali, diciamo così, c’era una istanza di restituzione della banda della Magliana [...] Probabilmente la banda voleva rientrare in possesso delle somme che non erano state restituite. probabile, quindi, vista la cittadinanza della Orlandi, che il sequestro fosse un ricatto al Vaticano”. Si spiegherebbero così tante cose: gli appelli sempre più accorati del Papa, la linea telefonica riservata presso il cardinale Casaroli, la cortina fumogena delle telefonate a casa Orlandi o al loro avvocato. Il nome di Marcinkus venne fuori, in alcune di quelle telefonate, e probabilmente era un’allusione al vero destinatario di tante ”attenzioni”. Ma poi la trattativa, se trattativa ci fu, fallì. Il boss Renatino De Pedis capì che non sarebbe riuscito a recuperare i suoi soldi. E da quel momento il destino di Emanuela fu segnato». [11]