Federico Fubini, Corriere della Sera 14/03/2010, 14 marzo 2010
IL GRANDE AZZARDO
Stressato dalle tensioni sulla Grecia, logorato da anni di tempeste finanziarie, sfiancato dai milioni di miglia aeree, Jean-Claude Trichet confessa volentieri una debolezza: ama Dante. Quando può, il presidente della Banca centrale europea apre la Divina Commedia e si rilassa. Forse ha l’ impressione che lì dentro si parli di qualcosa di diverso. Non i soliti derivati, la speculazione, i presunti logaritmi perfetti che promettevano con algebrica certezza di rendere ricco qualcuno e invece hanno piombato nel caos i loro autori e molti milioni di altri ignari.
Dante in effetti è un’ altra cosa. Il problema è che prima o poi anche Trichet arriverà al penultimo canto del Paradiso, e lì rischia di trovare un cenno funesto a tutto il resto della sua esistenza. Lì si parla, fugacemente ma in modo chiaro, di Sissa («più che ’ l doppiar de li scacchi s’ inmilla»). una figura a suo modo contemporanea il gran visir che inventò gli scacchi e al re indiano Shiram chiese una ricompensa in apparenza modesta: un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due per la seconda, quattro per la terza, otto per la quarta e così via sempre raddoppiando. Il re, al quale parve un dono tutto sommato accettabile, assentì. Ma sui sessantaquattro quadrati della tavola da gioco, fanno mille miliardi di tonnellate di grano e Shiram si accorse ben presto che i raccolti di tutto l’ impero non sarebbero bastati per pagare Sissa.
Tremila anni dopo, siamo ancora lì. C’ è sempre qualche sovrano che comprende in ritardo il costo esorbitante delle sue promesse. Oggi però è sospinto dall’ illusione che il segreto della sua ricchezza futura si nasconda in una formula matematica: talmente bella e pura che non può essere sbagliata, no? Così i computer delle banche si riempiono di modelli che promettono di ridurre le reazioni umane alle ferree leggi della meccanica. Ma in fondo, nella loro illusione di controllare l’ avvenire, questi uomini della finanza non sono poi così diversi da noi. Ognuna delle loro azioni individuali appare razionale, ma moltiplicata per miliardi di volte può diventare folle e distruttiva: quando scegliamo di inquinare con i gas di scarico delle nostre auto, o al supermarket con sacchetti di plastica che galleggeranno per millenni negli oceani, noi cittadini «normali» non ci comportiamo allo stesso modo?
Un classico sovrano contemporaneo è Aig, American International Group, e fino al 15 settembre 2008 era il primo gruppo assicurativo al mondo. Due giorni più tardi fu salvato dalla Federal Reserve a pochi minuti dalla bancarotta, per un conto finale a carico del contribuente americano di 187 miliardi di dollari. Nelle casse di Aig non c’ era più neanche un chicco di grano, li aveva già promessi tutti nell’ illusione che sarebbe stata poca cosa. Sissa, ai nostri giorni, ha invece l’ aspetto modesto e riflessivo di un "visir" di Wall Street chiamato John Paulson. Di recente qualcuno lo ha visto aggirarsi dalle parti di Atene, accompagnato dai soliti banchieri di Goldman Sachs. Dal 2004 al 2008 invece John Paulson andò ogni mattina in ufficio a Midtown Manhattan in autobus, dove gestiva un hedge fund da tre miliardi di dollari, mentre il chief operating officer di Lehman Brothers, Joe Gregory, per un tragitto simile da Long Island prendeva l’ elicottero o a volte l’ acquaplano. Paulson ha accumulato il più grande guadagno della storia nei mesi in cui Aig e Lehman facevano il crac più grande della storia.
Il segreto sta in titoli di finanza derivata chiamati dagli addetti ai lavori credit default swaps, o Cds, che hanno la stessa apparenza fallace del dono di Sissa. Oggi, secondo i governi europei, stanno aiutando pochi profittatori a distruggere quel che resta (finanziariamente) della Grecia. Chi li detesta, sostiene che consacrano il principio dell’ irresponsabilità e dell’ azzardo e hanno avuto un ruolo nella recessione più grave delle nostre vite. Chi li ama, ne apprezza la capacità di amplificare i profitti e spalmare, cioè trasferire su terzi, i rischi. Secondo i primi, siamo in ciò che John Maynard Keynes descrisse come un caso in cui «lo sviluppo di un Paese diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò». I secondi, convinti di poter calcolare i rischi sui derivati con i loro modelli, risponderebbero forse come Albert Einstein di fronte alla dimostrazione (per assurdo) che la sua teoria della gravitazione è errata: «Mi dispiacerebbe per il nostro caro Signore, perché la teoria è corretta».
Corretta o no, con i Cds funziona più o meno così: chi ne compra uno sulla Grecia, o su un pugno di subprime americani, o su Lehman, acquista una polizza d’ assicurazione nel caso queste entità facciano insolvenza sui loro debiti. A vendere (in privato) questa "protezione" sono banche, o compagnie assicurative, o fondi d’ investimento ai quali non viene mai chiesto di mostrare le proprie riserve in caso debbano davvero coprire i danni. Ovvio che più il rischio è considerato elevato, più la polizza è cara: all’ inizio del 2009, assicurare un milione di dollari di debiti di General Motors costava 800 mila dollari. Ma siccome quasi nessuno o pochi nel 2005, nel 2006 e ancora nel 2007 si aspettavano il crollo immobiliare americano, comprare Cds sui subprime costava come il primo chicco di grano della scacchiera del visir: diecimila dollari per milione, l’ 1%.
Convinta di non dover mai pagare i danni però riscuotendo sempre i premi, Aig vendette a tutti vagoni pieni di Cds; John Paulson ne comprò il più possibile da chiunque e al culmine di quel periodo arrivò ad accumulare oltre un miliardo di dollari per ogni mattinata di lavoro. Mai nessuno aveva guadagnato tanto così in fretta: era come se si fosse assicurato sulle case di milioni di persone colpite da una catastrofe che solo lui e pochi altri avevano visto arrivare. Paulson aveva comprato dati reali su sei milioni di mutui e li aveva fatti analizzare tutti al suo partner, l’ italiano Paolo Pellegrini. Invece i modelli di calcolo dei quants, i fisici o i matematici che Wall Street continua a reclutare a migliaia, non avevano razionalmente messo in conto quei default a catena, né i crolli rapidi e verticali dei prezzi. Avevano previsto spostamenti "browniani": come danzano con corti scatti sempre uguali, a casaccio, i microscopici grani di polline sospesi nell’ acqua osservati nel 1827 dal botanico scozzese Robert Brown.
Ma il polline di Brown non conosce il potere del panico. Per scoprire davvero i rischi in quei milioni di titoli immobiliari, l’ assicuratore avrebbe dovuto leggere circa 30 mila pagine per ogni titolo: dentro ognuno c’ erano migliaia di famiglie, posti perduti, divorzi, figli all’ università. Ma Aig contava sui suoi modelli, basati sulla meccanica di Newton, proprio come se la società fosse un oggetto della fisica. Finì che più Paulson guadagnava, più Aig e altri collassavano, più il panico si diffondeva (per la natura privata dei Cds, nessuno sapeva chi dovesse quanti soldi a chi altro), più il credito bancario si bloccava, più le imprese fallivano, più la disoccupazione saliva. Sale ancora.
Paulson si era assicurato su milioni di vite che non erano la sua: non aveva mai avuto un mutuo in portafoglio. Gli addetti le chiamano «scommesse nude». Quel che poteva perdere, era una frazione di quel che alla fine ha guadagnato.
Assurdo no? Per il senso comune, sì. Il senso comune però spingerebbe a credere che questi derivati dirompenti dopo la catastrofe sarebbero diminuiti. Per un certo tempo è successo. Il volume globale dei Cds nella prima metà dell’ anno scorso è sceso del 20% circa, fino a una somma che rappresenta un po’ più della metà del prodotto interno lordo della Terra. Ma a riguardare i dati oggi si trovano alcune sorprese. Sul debito di Stati come la Spagna, la Grecia, la Gran Bretagna, il Giappone e persino sugli Stati Uniti, il volume delle scommesse di chi compra e vende derivati di assicurazione è raddoppiato o anche più. Sull’ Italia, sulla Germania o sulla Francia è salito di circa il 30%.
Nota Fabio Scacciavillani, un economista con un PhD dell’ Università di Chicago dei Nobel Milton Friedman e Robert Lucas, che non ha senso assicurare il debito degli Stati Uniti: i titoli americani sono le fondamenta della finanza mondiale, se il Tesoro Usa dichiarasse insolvenza nessuno più sarebbe in grado di pagare nessuno. Sarebbe un default del mondo con se stesso. Quei derivati non hanno valore, eppure qualcuno ne vende e ne compra sempre di più. Nel mondo esistono persone che si stanno assicurando sulle vite dei nostri Stati; e spesso lo fanno «a nudo», senza avere un solo Bund o Btp. Chi vende queste polizze, ignorando se potrà mai onorarle, è deciso a incassare quel 2 o 3 o 4% per ogni milione che «protegge»: per lui è come investire in un titolo di Stato, ma senza tirar fuori i soldi per comprarlo. Il fallimento non è nel suo radar, perché non rientra nel novero degli eventi razionali.
Prima di fare i moralisti, è meglio ammettere che la tentazione c’ è. E viene da lontano. Non è solo che un mese fa con cento milioni di dollari, materiale da breakfast per certi hedge fund, si faceva salire il premio sulle polizze Cds Grecia dello 0,3%, segnalando così al resto del mercato uno scenario d’ insolvenza più probabile, in modo che la Borsa di Atene cadesse del 2-3% e quindi lucrare sul calo avendolo procurato e dunque previsto. No. Questa è cucina, dietro ci sono una filosofia e uomini degni del Nobel. Digitate in Google le parole «Black-Scholes» e vi usciranno 1.190.000 voci; una s’ intitola «Black-Scholes the Easy Way», un Bignami con alcune pagine di equazioni; in altre dottori in fisica vi offriranno ripetizioni per tariffe non da poco. Nel 1973, dopo molti rifiuti da parte di varie riviste scientifiche, Myron Scholes del Mit di Boston e Fischer Black, un matematico di Chicago, pubblicarono un articolo che applicava i metodi della meccanica newtoniana per calcolare il prezzo di un derivato sulla base dell’ azione al quale si riferisce. L’ idea era che, come nella fisica, esistesse nella finanza un «equilibrio generale» entro il quale formulare previsioni. In parallelo, Robert Merton pubblicava uno studio dal contenuto simile. Sono stati i contributi che più hanno cambiato la finanza globale: da allora l’ uso delle opzioni e di altri derivati è esploso, proprio per la fiducia degli investitori di poterne valutare i prezzi in base a dei modelli. Con un algoritmo sul futuro, con Black-Scholes-Merton, si poteva fissare un valore presente. Nel ’ 97 Merton e Scholes sarebbero stati premiati con il Nobel (Black era morto due anni prima). Nel ’ 98 LTCM, l’ hedge fund per il quale lavoravano, fu salvato per un soffio in un dramma premonitore.
Una sintesi di poche parole non rende giustizia alle loro teorie, ma loro stessi usano paragoni come la camminata dell’ ubriaco o il diffondersi del fumo nell’ aria: se il prezzo di un’ azione si muove come questi eventi, in uno spazio vago ma prevedibile, è a partire da lì che si può calcolare il prezzo di un’ opzione che ne deriva. Sistemi simili furono sviluppati negli anni 80 a Goldman Sachs da Black e Emanuel Derman, un altro PhD di fisica. Ora il problema è che l’ ubriaco è caduto nel tombino, il suo movimento "browniano" ha subìto uno strappo. Le vicende umane si ribellano a un inquadramento entro l’ «equilibrio generale» della meccanica. Quando ho avuto modo di chiedere a Robert Merton che cosa ne pensasse, il Nobel per un istante è parso sollevato. Merton è un uomo simpatico, mette molta brillantina nei capelli rossi, gira sempre vestito in un gessato da banchiere, ma ha un sorriso da bambino. figlio di un celebre studioso di scienze sociali, un altro Robert Merton, che teorizzò il valore della "devianza" nei comportamenti: l’ opposto dei modelli sulle opzioni. Merton figlio mi disse che aveva appena avuto un magnifico atterraggio governato dal computer di bordo, ma se il pilota glielo avesse detto prima, lui si sarebbe «inutilmente preoccupato». Continuò: «Vede, se mi danno una Ferrari e vado fuori strada, non è colpa della Ferrari: è colpa mia perché non la so guidare». Con tutta la loro presunta aridità, questi quants si esprimono quasi solo per metafore. A Wall Street oggi si discute di «pratiche nude» (parlando di Cds, non di politica italiana), «tagli di capelli sulla scala mobile», cigni neri, polline, ubriachi. Dick Fuld di Lehman propose di «strappare il cuore» a uno speculatore sui suoi Cds «e mangiarlo davanti a lui prima che muoia». Emanuel Derman, il fisico che estese Black-Scholes a titoli della famiglia dei Cds, dopo l’ 11 settembre ha lasciato Goldman per insegnare alla Columbia. Oggi è così affascinato da queste invenzioni lessicali che ci sta scrivendo un libro. «Penso ci siano così tante metafore, perché non c’ è una buona teoria - mi ha scritto Derman in un’ email dopo aver sondato bene le mie intenzioni -. Quando hai una teoria, neanche tanto buona, non hai bisogno di analogie. Newton, Einstein o Fermi descrivevano il mondo nel modo in cui è. In finanza abbiamo una ricchezza di metafore, perché siamo poveri di teorie. un campo difficile, forse impossibile». Derman ha continuato: «I Cds non sono un diritto umano, possiamo vivere senza». Poi si è scusato per una metafora sfuggitagli nello scrivere e ha aggiunto: «La gente confonde queste metafore con la realtà: è il peccato originale, l’ idolatria. Spero che questo le sia di aiuto».
Federico Fubini