MIchele Farina, Corriere della Sera 17/03/2010, 17 marzo 2010
CUBA E LE PROMESSE DI LIBERTA’ MANCATE - L’
«uomo che deve vivere» non è il dissidente Guillermo Fariñas in sciopero della fame. il titolo di un eccezionale kolossal che va in onda sulla tv cubana in questo tempo di sacrifici dovuti alla perenne crisi economica: in otto puntate, con la consulenza del ministero dell’ Interno e dell’ Università di Scienze politiche, mille tra attori e comparse mettono in scena «i 638 attentati falliti» contro l’ 83enne Fidel Castro. Dal sigaro esplosivo alla muta avvelenata. La prima puntata è andata in onda domenica scorsa. Qualche giorno prima, lunedì 1 marzo, il telegiornale aveva dedicato (cosa rara) un terzo della programmazione alla fine di Orlando Zapata Tamayo, il primo cubano in oltre quarant’ anni a morire (il 23 febbraio) per uno sciopero della fame. Un terzo del tg della sera: non per parlare di lui, ma per confutare la tesi secondo cui i medici non hanno fatto nulla per salvarlo. La tv cubana non aveva mai speso tempo per Orlando Zapata come per gli altri 75 detenuti - incarcerati nell’ «ondata repressiva» del 2003 (oltre 50 sono ancora in cella) - che Amnesty International nel suo ultimo rapporto definisce «prigionieri di coscienza» e che per lo Stato cubano sono invece soltanto «criminali comuni». Amnesty, che denuncia anche «gli effetti negativi» dell’ embargo Usa sul «pieno godimento dei diritti umani» sull’ isola, sostiene che il sistema giudiziario cubano «continua a essere usato come arma per intimidire i dissidenti politici». L’ organizzazione Human Rights Watch, con base a New York, è ancora più esplicita. Alla fine del 2009 ha pubblicato un rapporto di 100 pagine intitolato «New Castro, same Cuba», frutto di un’ inchiesta clandestina nel Paese. Nuovo Castro, la stessa Cuba. Le redini del potere sono passate da un fratello all’ altro, da Fidel a Raúl, di fatto già nel luglio 2006, formalmente all’ inizio del 2008. In questi anni il più giovane dei Fratelli Rivoluzione (compirà 79 anni a giugno) ha annunciato grandi rinnovamenti (e grandi sacrifici) per far ripartire la macchina ingrippata della società comunista. Adesso i cubani (stipendio medio 20 dollari al mese) possono entrare nei grandi hotel prima riservati agli stranieri, acquistare telefonini e dvd. Raúl ha promosso il taglio dei viaggi all’ estero dei funzionari di partito, una timida privatizzazione dell’ attività agricola (l’ 80% dei consumi è importato), la riforma delle pensioni (5 anni in più per tutti: gli uomini a casa a 65 anni, le donne a 60). L’ economia (crescita ufficiale dell’ 1,4% nel 2009) si basa fondamentalmente sul petrolio «regalato» dal Venezuela di Hugo Chavez, sulle rimesse dei cubani all’ estero e sul turismo (20% della bilancia commerciale, circa 2,5 milioni di visitatori all’ anno), anche se i dati di gennaio indicano che la stagione 2010 è partita male (meno 4,9% di arrivi rispetto all’ anno precedente). di febbraio l’ annuncio che il governo vuole tagliare l’ indennità di disoccupazione (60% dello stipendio) a migliaia di dipendenti che nella terminologia ufficiale non si possono chiamare «disoccupati» ma lavoratori «a disposizione». «Nessuno sarà abbandonato - ha detto il presidente Castro - ma non si può più andare avanti come prima: lo Stato non può sovvenzionare i lavoratori disponibili». Taglio alle sovvenzioni e largo alla proprietà privata? All’ Havana - ha raccontato il Financial Times - c’ è attesa per la possibile liberalizzazione del commercio: lo Stato potrebbe presto decidere di lasciare il controllo di migliaia di negozi ed esercizi commerciali (corrotti e in perdita). Un popolo di barbieri, panettieri, meccanici, baristi potrebbe ritrovare autonomia, e lo Stato potrebbe tassarne i guadagni. Una rivoluzione che sembra impossibile fintantoché il Líder Maximo continua a godere - come ha testimoniato il presidente brasiliano Lula che l’ ha incontrato due settimane fa - «di una salute eccellente». Secondo l’ americana Heritage Foundation l’ economia cubana continua a essere tra le meno libere al mondo (terzultima, davanti a Zimbabwe e Corea del Nord). I rinnovamenti promessi da Raúl sono rimasti in gran parte sulla carta. Ma è certo che Cuba dimostra di saper andare avanti «come prima» quando si tratta di diritti umani: secondo il rapporto di Human Rights Watch (Hrw) «anziché smantellare la macchina repressiva, il nuovo Castro l’ ha mantenuta in piena attività». Non solo «decine di prigionieri politici arrestati sotto Fidel Castro continuano a languire in prigione». Il governo «ha usato leggi draconiane e processi farsa per incarcerarne altri, per aver osato esercitare le loro libertà fondamentali». Prigionieri di coscienza o criminali comuni? In nome della legge, sulla carta non c’ è differenza. Hrw denuncia l’ utilizzo di un articolo del Codice penale cubano che permette allo Stato di imprigionare gli individui prima che abbiano commesso un crimine, in base al semplice sospetto circa la loro «pericolosità». Ed è «pericoloso» a Cuba ogni comportamento che contraddice la dottrina socialista. L’ agronomo Victor Arroyo sta scontando 26 anni di galera, il Corriere ha visitato la famiglia due anni fa: il segno della sua «pericolosità» era la piccola biblioteca privata (pochi scaffali dove trovavano posto pure i libri di Che Guevara) che Victor si era messo a gestire a casa della madre. D’ altra parte lo stesso articolo 62 della Costituzione cubana proibisce l’ esercizio di ogni diritto che sia contrario ai «fini dello Stato socialista». Human Rights Watch documenta più di 40 casi di persone imprigionate sotto il governo del nuovo Castro in ragione di questa concezione arbitraria e illiberale di «pericolosità» che concorre a fare di Cuba uno Stato di polizia. L’ arresto è «soltanto uno dei molti strumenti usati dal governo di Raul Castro per reprimere le libertà fondamentali» denuncia Hrw. Sull’ isola ha accesso a Internet soltanto il 2% della popolazione. Secondo l’ ultimo rapporto del Dipartimento di Stato Usa (che coincide con quello di Reporter senza frontiere) Cuba è (con l’ Iran) uno dei Paesi che più reprimono e censurano la Rete. Anche chi vi ha accesso (via estero), come racconta la blogger Yoani Sánchez, vive sotto la minaccia di essere «spenta». Questa nuova luce sulla questione dei prigionieri politici allontana l’ Unione Europea dalla via di maggior apertura diplomatica verso l’ Havana caldeggiata dalla Spagna, mentre si rafforza l’ asse di sostegno latino-americano (Chávez-Lula) su cui possono contare Raúl e Fidel. L’ «uomo che deve vivere» ha sette vite e (ancora) sette puntate.
Michele Farina