Varie, 17 marzo 2010
ARINGOLI Gianni
ARINGOLI Gianni Roma 1949 (~). Editore. Propritario degli Editori Riuniti. Già patron del Premio Capalbio, nel 2009 ingaggiò una dura battaglia con la Fondazione Bottari Lattes per aggiudicarsi i marchi e le manifestazioni del vecchio Grinzane Cavour (sospetti, respinti, che facesse da paravento per il rientro in gioco di Giuliano Soria) • «[...] Un romano della generazione di Paolo Mieli e Paolo Franchi, suoi compagni di scuola al liceo Tasso [...] Avvocato (per la precisione ”giurista d’impresa nel campo sociale”), Aringoli è figlio di un imprenditore marchigiano, padre di due figli rifondaroli e genero di Irina Alberti – paladina dei dissidenti russi in tempi in cui ben pochi si dicevano solidali con i dissidenti russi. A un certo punto degli anni Settanta, Aringoli ha assistito, in un teatro di Milano, a una scena mai più dimenticata: ”C’erano sul palco mia moglie e Sakharov, e il pubblico urlava ”fascisti’”. Da allora l’opera di collegamento con la dissidenza nell’Europa dell’est si è fatta intensa. Nel 1979 Aringoli ha portato in Italia il film ”L’uomo di marmo” del polacco Andrzej Wajda, storia antistaliniana di acciaierie, operai coraggiosi, processi e riabilitazioni (’era un duro attacco al comunismo storico”, racconta Aringoli, ”e lo distribuimmo con grande rilievo mediatico, organizzando un incontro tra Wajda e i dirigenti del Pci di allora: c’erano Pajetta, Reichlin e Macaluso”. Della suocera Irina, Aringoli ricorda ”l’attività di consigliera per l’est di papa Wojtyla”. Di sé ricorda invece lo ”sforzo per tenere i contatti con Sakharov e Solgenitsin e l’impegno nella gestione del tessuto informativo di appoggio durante il colpo di stato in Russia del 1991: ci fu anche una diretta telefonica a più voci tra la vedova Sakarov, alcuni esponenti della resistenza e Bettino Craxi – che in quel momento era ad Hammamet, in vacanza e non in esilio”. A un primo sguardo e a un primo ascolto, Aringoli fa però venire in mente, più che un esperto di est comunista, uno stropicciato corrispondente inglese di stanza in Vietnam. Il suo ufficio romano facilita il paragone: ventilatori a pala lenta, faldoni ammuffiti, tavoli in legno chiaro e scuro, libri ammassati, rumori di famiglie e stoviglie che salgono dalla finestra aperta, un ascensore cigolante non toccato dalla modernità [...] Il resto lo fa Aringoli con le sue pause lunghissime, la bionda pinguedine, l’aria sdrucita, gli occhi socchiusi, il tono nostalgico, i pantaloni corti. [...] proverbiale fama di pagatore ritardatario, fama che, messa a confronto con l’idea che Aringoli ha della sua gestione del Premio (’a Capalbio spendiamo poco e ci teniamo lontani dagli sponsor”, fa dire a un osservatore romano della vita culturale maremmana: ”Te credo che spende poco, aspetta che paghino prima gli altri”. [...]» (Marianna Rizzini, ”Il Foglio” 8/8/2009).