Varie, 17 marzo 2010
Tags : Antonio Cangialosi
Cangialosi Antonio
• Palermo 1972 (~). Compagno di Elena Romani (vedi ROMANI Elena), mamma della piccola Matilde (22 mesi) morta il 2 luglio 2005, rinviata a giudizio per omicidio preterintenzionale e assolta in primo grado e in Appello per non aver commesso il fatto: le motivazioni della sentenza della Corte d’assise d’appello di Torino accusano del delitto Cangialosi, per cui la Procura della Repubblica di Vercelli aveva chiesto e ottenuto l’archiviazione: «[...] ”Cangialosi ha commesso un delitto insensato e feroce perché non è stato capace di comprendere che si trovava di fronte ad una bambina nervosa, delicata e priva di difese...”. Secondo i giudici l’uomo, che quel giorno aveva ospitato madre e figlia nella sua casa di Roasio, a pochi chilometri da Vercelli, ha colpito la piccola Matilda con un calcio per impedirle di raggiungere la mamma in giardino. [...]» (’la Repubblica” 17/3/2010) • «[...] responsabile di una ditta milanese di trasporti, è stato sospettato per due volte di omicidio. La prima nel 2000, quando venne uccisa sua moglie, in realtà per mano di un altro uomo. La seconda volta nel 2005, per la morte di Matilda Borin: la figlia di Elena Romani, allora sua compagna. Lui stava ospitando madre e bimba nella sua casa di Roasio, vicino a Vercelli. Doveva essere un weekend allegro, l’inizio di una vita insieme. ”Ricordo quando sono entrate dal cancello. Ero felice [...] Mai avrei immaginato potesse finire così”. [...] ”[...] I magistrati inquirenti per due volte si sono rifiutati di chiedere il mio rinvio a giudizio e un gip ha archiviato la mia posizione. Vorrei capire perché invece la corte di Torino, che giudica ma non ha svolto indagini, vuole che si concentri tutto su di me. Quei giudici hanno ascoltato solo la versione della Romani. Come possono sapere chi sono? [...] Ci siamo separati il 12 luglio 2005, subito dopo il confronto in procura. Eravamo appena stati ad Alagna. Mi aveva detto di essere sicura che io non avevo fatto nulla alla bambina, mi aveva chiesto di starle vicino. tutto confermato dalle intercettazioni. In procura, però, mi hanno sbattuto davanti il suo verbale del giorno prima, dove gettava su di me i primi sospetti. Mi sono chiesto: ma chi ho davanti? Siamo usciti dal tribunale entrambi indagati e non ci siamo più rivisti. Tranne che quando sono andato a testimoniare a Novara, nel processo contro di lei. [...] le ho anche puntato il dito contro, per le menzogne che aveva detto su di me. Lei teneva gli occhi a terra e piangeva. Ma una mamma che si trova davanti l’uomo che ritiene essere l’assassino della figlia guarda per terra e piange? Non dovrebbe sfidarlo, tenere la testa alta o accanirsi contro di lui? [...] Se non mi portano una prova, resto convintissimo della sua colpevolezza: Matilda è stata colpita quando era con lei, prima che mi svegliassi e che entrassi in bagno. Aveva labbra bianche, non era vivace come al solito, l’ho sempre detto. [...] Quando era con me non si è sentita male, è peggiorata. Aveva le braccia molli, la voce debolissima. Poi ha reclinato la testa all’indietro: ed è in quel momento che ho gridato alla madre di rientrare, così forte da fare scendere i vicini. Sono stato io, dopo il decesso, a denunciare il ritardo dei soccorsi. Se avessi davvero colpito la piccola, avrei fatto scattare le indagini? Senza la mia denuncia non ci sarebbe stata un’autopsia e nessuno avrebbe mai saputo che Matilda era stata uccisa. [...] Le perizie hanno detto tutto e il contrario di tutto. Se sarò processato, ci saranno altri consulenti: vedremo cosa diranno. Avrei preferito essere processato subito, non dopo l’assoluzione della Romani. Ma sono disposto ad accettare questo stillicidio, se davvero può servire a far emergere la verità su Matilda. Se sarò costretto, porterò in aula testi che potranno mostrare contraddizioni e anomalie nel comportamento della Romani. [...] Non credo sia normale che una mamma, con il corpicino senza vita della figlia nella stanza accanto, si preoccupi di parlare di cremazione. [...] Ricordo come mi sono sentito quando è morta mia moglie. Sono andato avanti mesi senza sapere cosa fosse il sesso. La Romani, invece, il giorno dopo la morte della piccola mi è venuta a cercare. In quel momento ero ancora convinto che Matilda fosse deceduta per cause naturali, ho cercato di starle vicino, ma poi quel comportamento mi è parso anomalo. Il pomeriggio del giorno dopo la morte della bimba ha anche voluto che smontassi il suo lettino perché non serviva più. L’ho piegato e messo sul terrazzino, lì per lì senza rendermi conto del significato di quella richiesta. Qualche giorno dopo la Romani è voluta uscire a cena, sul lago Maggiore. Un nostro amico ci ha incontrati in autostrada ed è rimasto interdetto. Anche lui verrebbe a testimoniare. [...] E c’era stata un’altra cena strana, mesi prima: Matilda era ancora viva. Da poco era stato ucciso un bambino a Casatenovo, vicino a Lecco, da una madre che voleva fare la velina… [...]quella sera lei ha difeso la madre assassina. Ha detto che non potevamo capire cosa si prova dopo una gravidanza. Ero allibito, ricordo che io e lei abbiamo litigato perché non accettavo la sua presa di posizione. [...] Al pensiero che si potesse sospettare ancora di me ho pensato al suicidio. Poi per fortuna ho avuto la forza di riprendermi. [...] Dai suoi diari sono emerse paure che non conoscevo. Era preoccupata per la nostra vita a tre, che Matilda non mi accettasse, e quindi di perdermi. Può avere agito in un attimo di stizza, di fronte alla piccola che stava vomitando ancora una volta. Ma tutto questo mi fa ancora più rabbia: perché non mi avrebbe perso. Io ero innamorato, non l’avrei mai lasciata. E se tornassi indietro rifarei quel che ho fatto. [...] Ero così preso dalla passione che non ho capito i suoi problemi. Forse, se avessi avuto un po’ più di attenzione... [...]”» (Ilaria Cavo, ”Panorama” 25/2/2010).