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 2010  marzo 14 Domenica calendario

UN CAVALCAVIA D’ARTE (E RISCATTO)

Un po’ Mecenate, un po’ san Francesco. Dopo 30 anni di battaglie, ad Antonio Presti non dovrebbe dispiacere un paragone di questa portata, anche se la doppia «compagnia» rivela forse il disagio nell’ inquadrare la sua identità. Ma in passato quella pregevole definizione si è intrisa spesso di un’ aria di sufficienza e di uno scetticismo tipicamente siciliani. Era un modo garbato per dire «quel pazzo che dilapida nell’ arte il patrimonio di famiglia». E preludeva a una condanna sociale. Certo, Presti appena 23enne si trovò, dopo la morte prematura per tumore del papà, proprietario di una delle più importanti imprese di costruzioni del Messinese: un’ eredità non solo ingente ma anche scomoda. «Non sapevo niente di quel mondo delle costruzioni e delle tangenti, io studiavo ingegneria a Palermo e amavo gli artisti. Ma decisi di non sedermi ai tavolini degli appalti e di non pagare il 10 per cento alla mafia». Un pazzo, una sorta di Enrico IV pirandelliano che parla di bellezza come atto rivoluzionario e crea solo rogne al sistema di potere. Da togliere di mezzo. «Di solito o ti ammazzano o ti fanno fallire: il lavoro non arriva più, le banche ti chiedono improvvisamente di rientrare subito dai debiti, non trovi un avvocato che sia disposto a difenderti: quello che è successo a me». Dopo otto anni di lotte, Presti dovette chiudere l’ azienda. Liquidò gli operai con cui mangiava e dormiva in una palazzina situata accanto alla cava di estrazione, ma rovinò l’ ultimo atto della manovra ordita ai suoi danni: non vendette l’ impresa a chi l’ aveva condannato (e che lui poi denunciò pubblicamente, facendo scattare una serie di arresti quando scoppiò Tangentopoli). Quel posto, due decenni dopo, è un inquietante santuario ferroso di nastri, carriole, camion arrugginiti: un monumento alla resistenza. «Ora raccoglierò le carcasse e ne farò un’ installazione». In effetti, l’ azienda abbandonata su un curvone della litoranea messinese tra Castel di Tusa e Santo Stefano di Camastra e «protetta» da una statuetta della Virgo fidelis, patrona dei carabinieri, potrebbe essere l’ opera «non dichiarata» della Fiumara d’ Arte, il singolare e suggestivo complesso di land art che Presti ha creato su quel territorio in aree demaniali, tra le sottili spiagge tirreniche e le incombenti alture dei Nebrodi, contro ogni avversità politica, burocratica, culturale. Otto sculture pensate e realizzate con gli artisti a sue spese e donate allo Stato. Ma abusive, nel regno di quell’ abusivismo cronico, complice delle frane che sconvolgono i paesi della zona. La Fiumara è sopravvissuta agli attentati, agli ordini di demolizione, ai processi grazie alle ricorrenti mobilitazioni dell’ opinione pubblica e della stampa nazionale e internazionale. Testate come «Le Monde», l’ «Herald Tribune» o la Cnn hanno visto in Presti un personaggio emblematico per raccontare l’ Italia. E si sono innamorate di lui. Come i tanti volontari che lo sostengono nella sua crociata. Oggi che la Fiumara gode di una legge regionale di «valorizzazione turistica e conservazione» («50 mila euro all’ anno, mi bastano per un ponteggio di restauro, ma non importa, conta il principio») c’ è da sorridere della motivazione che accompagnava nell’ 86 la richiesta di abbattimento della prima scultura («La materia poteva non esserci» di Pietro Consagra): «Danneggia l’ appaesamento storico degli alberi di ulivo». L’ arte per Presti non è mai stata il capriccio di un ricco appassionato che vuole lasciare il suo segno ai posteri mail mezzo più efficace «per restituire bellezza e valore a una società che è implosa». E questa azione l’ ha espressa con il dono, «un vero e proprio atto politico che destabilizza». Dagli anni Novanta ha sviluppato a Castel di Tusa il progetto dell’ Atelier sul mare, un hotel che affida ogni stanza a un artista, modellandola (anche nella conformazione) secondo l’ ispirazione poetica e i valori simbolici dell’ autore. Non è certo il comfort la prima preoccupazione verso gli ospiti ma l’ esperienza emozionale, proposta a prezzi contenuti (120 euro a notte per camera) «perché non mi interessano i vecchi danarosi, voglio un pubblico più giovane e reattivo». E tuttavia è questa una delle fonti importanti di finanziamento dei progetti culturali di Presti. Che dopo 19 anni di sosta forzata battezza il 21 marzo una nuova opera della Fiumara, la prima a nascere con tutte le autorizzazioni, un’ imponente piramide di 30 metri realizzata da Mauro Staccioli in acciaio corten, quello delle navi, un materiale che prende un colore rossastro. Il totem svetta sulla sommità di una collina, domina come una presenza sacrale un viadotto dell’ autostrada A20 e dialoga a distanza con le sagome simili di Alicudi e Filicudi, le isole delle Eolie più vicine a questa costa. Luogo ideale per ispirare Presti: «La piramide vuole affermare il potere della spiritualità. Emerge dalle pietre ferrose da cui si nutre e ammonisce il potere che si è dato come livello la mediocrità, un potere che non progetta più futuro». In questi giorni andranno a vederla le istituzioni, le scolaresche, i turisti, segno di un’ armonia ritrovata (almeno apparentemente) con il tessuto sociale circostante. Ma dopo l’ inaugurazione, il pubblico vi potrà accedere una volta all’ anno, il 21 giugno, il giorno più lungo. Si entra nella struttura attraverso un tunnel; collocandosi nel centro ortogonale dell’ edificio si viene investiti dal raggio di luce che penetra dalla fenditura presente in tutto il lato ovest. « il momento in cui l’ immanenza si incontrerà con la trascendenza». Alla faccia della mediocrità del potere. Questa piramide segna probabilmente la fine di un capitolo nell’ avventura culturale di Presti che ne ha aperto già da tempo un altro a Catania, a Librino, 90 mila abitanti, quartiere-simbolo delle utopie architettoniche anni 70 (un progetto firmato da Kenzo Tange) trasformatosi, in molte aree, in regno dello spaccio di droga e di armi con alcuni palazzi che pullulano di condannati agli arresti domiciliari. Ma è proprio qui che Presti ha realizzato il suo capolavoro: trasformare l’ angosciante muro di un cavalcavia che come una cicatrice taglia in due il quartiere in una Porta della Bellezza con un mosaico in terracotta lungo 500 metri in cui alcuni artisti interpretano il tema della Grande Madre. «I veri autori dell’ opera sono però i duemila scolari delle scuole di Librino che abbiamo coinvolto. Le parti di contorno sono state realizzate da loro e tutto il mosaico è stato cotto nei forni degli istituti». Gli stessi ragazzini che Presti ora sta impegnando nella creazione di bandiere con gli articoli e le parole-chiave della Costituzione. Tappezzerà con questi slogan la strada che porta dal vicino aeroporto di Fontanarossa al centro della città. «Non basta più rappresentare l’ arte, si deve manifestarla con la condivisione», spiega con accenti evangelici facendo poi una critica agli artisti contemporanei: «Spesso sono autoreferenziali, usano un linguaggio di 30 anni fa, non capiscono le emergenze di oggi». Insomma, non si sporcano le mani. Intanto la Porta è lì, come fatto concreto realizzato da un privato che dovrebbe imbarazzare le istituzioni. Si racconta che certi personaggi presenti nel quartiere temessero che con l’ inevitabile fama (ora arrivano anche i turisti) aumentasse il controllo su certi traffici. Ma i bambini di Librino sono stati nominati da Presti «guardiani della bellezza», accrescendo il loro entusiasmo e l’ orgoglio dei genitori. E infatti da quando dieci mesi fa venne inaugurata, la Porta resta bella e intatta, senza un pur minimo atto di vandalismo. Un fiore all’ occhiello per tutti in tanto degrado. «Ora è il momento delle aiuole sottostanti. Comprerò le piante nel vivaio del carcere di Giarre, farò scrivere ai detenuti delle letterine per i bambini: "Mantenete questi fiori, sono un simbolo di vita e di rinascita"». E la sfida a Librino continua, si fa più ambiziosa. Presti, che in passato qui portò anche una carovana di poeti capeggiati da Mario Luzi, ha ingaggiato una star dell’ obiettivo, il fotoreporter di origine iraniana Reza, insieme a 70 fotografi siciliani che lavoreranno con 100 ragazzi fra i 13 e i 17 anni, ciascuno dei quali dovrà immortalare «la bellezza spirituale» di 300 persone, tra parenti e amici. «Fatevi i calcoli, sono trentamila persone che diventeranno protagonisti come portatori di rispetto, di bellezza, di legalità. Faremo una proiezione-evento nel piazzale del quartiere, alcune immagini verranno riflesse anche sulle facciate cieche dei palazzi e tutti gli scatti saranno distribuiti nei vari negozi. Chi viene a visitare si sentirà in obbligo di comprare dieci euro di formaggio o di frutta e verdura». Catania ora corteggia questo visionario che non ha mai chiesto un soldo alle amministrazioni pubbliche e quando avrà finito di vendere le sue proprietà per autofinanziarsi, verrà ad abitare qui a Librino. Gli ha dato anche la cittadinanza onoraria. Certo, ancora dopo trent’ anni Presti sente sussurrare ogni tanto alle spalle «ma pi ccu u fa?», ma per chi lo fa? «Una volta mi arrabbiavo, ora non m’ importa. Seguire la propria utopia in questa società degradata è un privilegio. E mi fa sentire leggero, sereno».
Alessandro Cannavò