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 2010  marzo 16 Martedì calendario

IL ”900 DI ALBERTO PIRELLI: INDUSTRIA

& DIPLOMAZIA - La vita di un uomo può essere raccontata da cinquanta foto. E lo storico Nicola Tranfaglia conclude la biografia di Alberto Pirelli, l’industriale che ha guidato il gruppo con il fratello Piero dal 1904 al 1965, sfogliando l’album custodito negli archivi privati della famiglia. Le immagini narrano l’infanzia e la giovinezza felici, il percorso di studi ed esperienze previsto per i figli della borghesia milanese (compresi gli sport: tennis, calcio e scherma), i viaggi di lavoro, i figli e i nipoti. La lunga vita di un dirigente che, secondo Tranfaglia, ha le qualità dell’imprenditore di Schumpeter, ma nutre anche un interesse per la politica che lo porta a collaborare con il fascismo, pur con toni a volte critici divenuti più marcati negli ultimi anni del regime. L’adesione gli costa però l’epurazione, cancellata in fretta, e contribuisce al distacco del primogenito Giovanni: non raccoglierà l’eredità paterna, che sarà perciò riservata a Leopoldo.
Per scrivere il libro Vita di Alberto Pirelli (1882-1971) (edito da Einaudi) Tranfaglia, professore emerito di Storia dell’Europa e Storia del giornalismo a Torino, ha impiegato vent’anni di ricerche. Nel 1978 propone a Leopoldo un volume sul padre Alberto da pubblicare nella collana da lui diretta per Utet, ma le cose vanno diversamente. Leopoldo insiste perché sia lo stesso Tranfaglia a lavorare alla biografia e alla fine lui accetta, non dopo però aver cercato di opporsi ricordando anche la fama attribuitagli di «storico di sinistra». Niente da fare: Leopoldo lo sollecita fino a fargli ricordare che ad Alberto Pirelli aveva dedicato una citazione (fra gli industriali «pratici») Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere. Tranfaglia inizia la storia con un passaggio classico per le dinastie industriali: la lettera, intestata «Dallo Stabilimento, lì 31 dicembre 1904», con la quale Giovan Battista Pirelli, che trent’anni prima ha fondato la Pirelli & C., annuncia a operai e impiegati che i due figli Piero e Alberto (22 e 21 anni) «entrano a fare parte della gerenza della società... Essi furono preparati a condividere meco il lavoro e le responsabilità». Formazione e attitudini portano Piero a occuparsi dell’amministrazione e Alberto, che dimostra capacità diplomatiche, a dedicarsi agli aspetti produttivi e alla politica estera. I fratelli lavoreranno in sintonia condividendo anche passioni extra come l’aereo che, dopo aver seguito gli esperimenti di Wright, impareranno a guidare.
Il cuore del libro è rappresentato dai rapporti fra Alberto e il fascismo. Né poteva essere altrimenti considerata l’importanza che hanno per l’industriale la politica e l’impegno nella vita pubblica, pur scandito da diversi no a Benito Mussolini, che negli anni gli propone vari incarichi. Alberto Pirelli, di formazione liberale, non guarda subito con entusiasmo all’ascesa di Mussolini. Si colloca (come altri industriali) in posizione di attesa, sia pensando che il partito fascista possa essere incanalato o assorbito dallo Stato liberale, sia cominciando a guardare a Mussolini come un politico deciso a modernizzare il Paese. Pur non accettando incarichi, sviluppa con il fascismo una collaborazione inizialmente tecnica. Poi il suo appoggio diventa più convinto e, pur nel timore di una deriva dittatoriale, sostiene il governo Mussolini, dal quale riceve nel ”23 l’offerta per il ministero dell’Economia nazionale. Che non accetta.
La fiducia nel fascismo non viene meno dopo il delitto Matteotti né dopo il discorso di Mussolini di «autoaccusa» del 3 gennaio 1925. Tranfaglia qui dice di non comprendere l’atteggiamento di Alberto che, pur critico, decide alla fine di restare accanto a Mussolini, confermando anche la sua presenza nella delegazione italiana alle trattative post-conflitto. Il rapporto resta di appoggio convinto e l’industriale, diventato anche presidente di Assonime e vicepresidente del Credito Italiano, si iscrive al partito, entra di diritto nel Gran Consiglio, accetta l’incarico di commissario straordinario della Confederazione dell’industria. Non prevede la crisi del ”29, ma contribuisce alla rapida soluzione dei problemi del Credito Italiano e ha parte centrale nella soluzione proposta da Beneduce per il salvataggio delle banche miste. Dissente sulla guerra di Etiopia e sull’uso di gas asfissianti (mentre produce le maschere antigas per l’esercito italiano), e finanzia Mussolini con un milione in occasione della vittoria sul negus. Contribuisce poi alla nascita dell’Ispi, del quale diventa presidente. Nel ”38 viene nominato ministro di Stato, la più alta carica onorifica in quegli anni. Infine l’industriale si schiera su una politica estera che accetta l’alleanza con la Germania nazista, pur non escludendo la ricerca di buoni rapporti con l’Inghilterra.
Il distacco si fa sentire con la guerra. Alberto resta a fianco di Mussolini, la Pirelli entra in una partnership anche pubblica con un gruppo tedesco per la fabbricazione della gomma sintetica, ma lui non nasconde l’attitudine non interventista e dice a Mussolini: «C’è uno squilibrio fra le vostre aspirazioni e le forze effettive del Paese». Nutre illusioni sull’evoluzione degli eventi, le sue posizioni diventano, secondo Tranfaglia, «non realistiche»: spera di convincere gli Alleati a modificare il piano che prevede l’Italia come secondo fronte e i tedeschi a concludere una pace con gli Alleati. Passa dall’accordo con il governo Mussolini a quello con Badoglio e l’autore parla di una «strana dissociazione» dell’industriale, che da una parte chiede alla Repubblica di Salò finanziamenti per l’Ispi, dall’altra fornisce con Piero aiuti ai partigiani, ai quali è collegato il figlio Giovanni.
Nel luglio 1945 Alberto viene rimosso dalle cariche in Pirelli ed epurato. Fa ricorso e ottiene un’assoluzione piena. Torna in azienda. Gli scrive Ferruccio Parri, che lo vorrebbe nell’Istituto per gli studi di economia a fianco di Luigi Einaudi, Raffaele Mattioli e Federico Caffè. La Dc e i partiti laici lo invitano a partecipare alla vita politica. Incontra De Gasperi e prende parte alle riunioni sull’attuazione del piano Marshall. Ma matura un distacco dall’intervento diretto in politica, preferendo discorsi e articoli. Come quello per «Fortune» nel quale delinea un avvicinamento fra i capitalismi americano ed europeo. Un ictus, nel 1959, lo spinge ad accelerare la successione a Leopoldo. Giovanni, al quale Alberto attribuisce un «temperamento francescano» e che si iscrive al Partito socialista di unità proletaria, lascia l’azienda.
Siamo alle ultime foto. Alberto si ritira con la moglie Ludovica nella sua casa di campagna di Casciago, chiamata «La Biblioteca», dove lo coglie la morte a 89 anni. E con l’album termina anche il racconto.
Sergio Bocconi