Sergio Rizzo, Corriere della Sera 15/03/2010, 15 marzo 2010
NOMINATI DAI PARTITI: LA DIFFICILE INDIPENDENZA DEI COMMISSARI AGCOM
Diciamolo con chiarezza. Fare il Garante delle comunicazioni in un Paese dove la Rai è controllata dai partiti e il presidente del Consiglio ha tre reti televisive, con la legge sulla par condicio che scatta per ogni elezione, cioè in Italia mediamente una volta all’ anno, non dev’ essere proprio facile. Soprattutto se si considera che il suddetto Garante è nominato dal governo e gli otto componenti che lo affiancano vengono indicati dal Parlamento: quattro dalla maggioranza e quattro dall’ opposizione. E che fra i compiti dell’ autorità c’ è anche quello di vigilare sui conflitti d’ interessi in materia televisiva. Una faccenda mica da ridere. A prescindere dal lavoro (da quando c’ è la par condicio sono stati fatti 70 regolamenti, a una media di 7 l’ anno), c’ è il contenzioso, diventato innumerevole e rognosissimo. E può esporre, com’ è successo in questi giorni, ad avvilenti retromarcia. Con altrettanta chiarezza va detto che nessuno dei nove si può lamentare. Al presidente, attualmente il consigliere di Stato Corrado Calabrò, spetta un’ indennità di 477.752 euro lordi l’ anno, mentre ai commissari ne toccano 398.127. Molti di loro guadagnano più adesso che quando erano parlamentari. Perché, parlando di indipendenza, non si può fare a meno di notare che cinque degli otto componenti sono passati dal Parlamento. E quattro addirittura dai governi di vario colore. Un record assoluto, che nessun’ altra autorità «indipendente» può vantare. Significa che il 30% dei commissari di provenienza parlamentare presenti in tutte le dieci authority (17 su un totale di 58 membri) sono accasati all’ Agcom. E questo vorrà forse dire qualcosa. Fra i componenti dell’ Agcom ce ne sono perfino due che nel 2005 sono stati trasferiti direttamente dal governo di Silvio Berlusconi all’ autorità. Senza nemmeno farli decantare un quarto d’ ora. Uno dei due, Giancarlo Innocenzi, era addirittura sottosegretario alle Comunicazioni e in passato era stato dipendente del Cavaliere: direttore dei servizi giornalistici delle sue reti. Il secondo, Gianluigi Magri del Ccd, era sottosegretario all’ Economia, dove era stato paracadutato dopo aver dovuto cedere il seggio del Senato a un collega. Ministero, per inciso, che è azionista della Rai. Con loro sono arrivati l’ ex senatore del Ccd Roberto Napoli e l’ ex parlamentare di An Enzo Savarese. Non che la sinistra abbia rinunciato a piazzare il suo ex sottosegretario alle Comunicazioni: Michele Lauria, ex democristiano esponente della Margherita. Affiancato dall’ ex direttore della Fieg Sebastiano Sortino, dal giurista Stefano Mannoni e dal magistrato amministrativo Nicola D’ Angelo, ex consigliere giuridico dell’ ex ministro delle Comunicazioni Antonio Maccanico. Come tale, tiene a precisare D’ Angelo nel suo curriculum, «ha collaborato alla stesura della legge istitutiva dell’ Autorità». Cioè a scrivere le regole grazie alle quali, anni dopo s’ intende, è stato nominato. Possibile che in questa situazione l’ indipendenza sia davvero garantita? La domanda è inevitabile. Anche se tutta la responsabilità non può essere soltanto di chi è stato nominato. Il peccato originale è una legge fatta male in un momento particolare. Pochi ricordano, per esempio, che l’ autorità per la comunicazioni nacque mentre era in pieno svolgimento la Bicamerale presieduta da Massimo D’ Alema. In quel momento il tema del conflitto d’ interessi televisivo era stato completamente accantonato a vantaggio del compromesso. Pure geografico. Per accontentare il Sud si decise che l’ Agcom avrebbe avuto sede a Napoli, oltre che a Roma. Una scelta insensata, causa perlomeno di un inutile aumento dei costi. Per non dire dello spreco di energie umane e delle inefficienze. Anche i precedenti otto commissari nominati insieme all’ ex presidente Enzo Cheli, naturalmente, erano stati indicati dai partiti. C’ era l’ ex responsabile per la giustizia del Ppi, Giuseppe Gargani, che nel 2001 si sarebbe candidato alle elezioni politiche con il centrodestra contro il ministro Maccanico. Un commissario indicato dal centrodestra, Antonio Pilati, che la sinistra avrebbe in seguito indicato come il vero autore della legge Gasparri, e che al termine dei sette anni all’ Agcom ha avuto un’ altra poltrona come componente dell’ Antitrust. L’ ex segretario generale di Palazzo Chigi Silvio Traversa, considerato legato al leader di Rinnovamento italiano Lamberto Dini. Il presidente onorario del Teatro Eliseo, Vincenzo Monaci, ritenuto legato al segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti. Ma almeno non c’ era nessun sottosegretario in carica. C’ era perfino, caso rarissimo nelle authority, una donna: Paola Manacorda. E nemmeno un ex parlamentare da sistemare. Unica eccezione Alfredo Meocci, ex giornalista Rai, già deputato casiniano successivamente imposto a fine mandato come direttore generale della tivù pubblica nonostante il parere di chi sosteneva la sua incompatibilità con quell’ incarico. Con l’ arrivo del governo Prodi Meocci fu sostituito e l’ authority della quale era stato commissario aprì un’ istruttoria chiusa con una multa salata a lui e alla Rai. Passato neanche un anno, Meocci, con una breve parentesi da vicesindaco azzurro di Verona, era di nuovo in pista. Multato da un’ authority, ha avuto un posto in un’ altra authority: ora è commissario del Garante per i contratti pubblici. L’ avreste mai detto?
Sergio Rizzo