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 2010  marzo 14 Domenica calendario

IL GRANDE MATTIOLI RISANATORE DI CONTI

«Lei mi ha domandato il mio giudizio sulla situazione monetaria e finanziaria. Le ho risposto che siamo indubbiamente malati da tempo. Questa malattia, si capisce, è il disfacimento della moneta e del credito».
 il 28 maggio 1947. Mattioli, da 15 anni alla guida della principale banca italiana, ha un lungo incontro con Togliatti che lo prega poi di riassumere, per iscritto, quanto detto. La lettera, notissima, è pubblicata in appendice alla riedizione, curata con da Sandro Gerbi, del profilo biografico di Mattioli che Giovanni Malagodi affidò, nel 1982, alle pagine di «Economia pubblica».
La data della lettera è significativa: mancano tre giorni alla formazione del quarto governo De Gasperi che avrebbe concluso l’esperienza dei governi di unità nazionale. Togliatti, ormai leader dell’opposizione, ha costruito la propria strategia politica puntando alla ricostruzione costituzionale della nazione italiana. Inesperto di economia, ha chiesto lumi al principale banchiere italiano. Questi non si sottrae al compito, svolgendolo in modo originale. Nell’anno precedente il livello dei prezzi era raddoppiato: non sorprende che l’inflazione sia vista come il pericolo principale. Meno scontata è la ragione del pericolo che Mattioli offre all’interlocutore. «L’inflazione impedisce a tutti: Stato, enti parastatali, privati, di fare una cosa semplicissima ed essenziale: "fare i conti"». Non si tratta di preoccupazione ragionieristica, anche se – in fondo – è un’inaspettata lode alla diligente ragioneria, come base indispensabile della buona amministrazione.
«Noi – scrive ancora Mattioli a Togliatti – possiamo cavarcela solo contando la lirae adoperando tutta la laboriosità, ingegnosità, e le qualità di efficienza sostanziale e di buona amministrazione di cui siamo capaci ». E aggiunge: «Ci sono molte cause (per la scarsa efficienza delle nostre amministrazioni pubbliche di ogni genere) ma una delle principali, anzi forse la principale è proprio l’impossibilità di fare i conti».
Questa enfasi sui conti può stupire, da parte del banchiere che discuteva con Sraffa sulla natura del tasso di interesse, che intratteneva fitti rapporti con Croce, che pubblicava i classici in una propria elegante casa editrice di nicchia. Ma, ricorda Malagodi, a Mattioli stesso non dispiaceva l’immodesto accostamento al multiforme Odisseo. Che quello dell’amministratore attento ai conti non sia il minore tra i suoi diversi volti è confermato da una serie di documenti provenienti dall’archivio della Banca Commerciale, editi da Francesca Pino. Si riferiscono agli anni 1933-34. La Banca Commerciale, in profonda difficoltà, è stata salvata dallo stato a condizione che cedesse all’Iri di fresca creazione tutte le partecipazioni industriali che, nella crisi dei primi anni Trenta, avevano irrigidito il bilancio della banca al punto da creare una situazione di illiquidità, probabilmente di insolvenza, che minacciava la stabilità dell’intero sistema economico. Il prezzo che giustamente il governo chiede di pagare alla Comit e alle altre grandi banche è la rinuncia, per il futuro, ad acquisire partecipazioni industriali, limitandosi all’attività che allora si chiamava di «credito ordinario »: la raccolta di depositi e la concessione di prestiti a breve termine. Per sopravvivere, la Banca Commerciale deve completamente riorganizzarsi. Una struttura disegnata per acquisire, valutare e gestire investimenti industriali di lungo termine deve articolarsi in filiali diffuse sul territorio, capaci di raccogliere anche i piccoli depositi e di valutare il cosiddetto «merito di credito».
Rivoluzione copernicana alla quale Mattioli, che ha appena sostituito alla guida dell’istituto il vecchio banchiere polacco Toeplitz, si accinge con determinazione e fantasia. Bisogna imparare non solo a fare, ma anche a valutare i conti. necessario, scrive Mattioli nel 1933, «educare (il nostro personale) a una migliore tecnica nell’esame degli affari». Nel frattempo, viene migliorata la capacità informativa dei "conti": «Il bilancio semestrale comprenderà elementi tali da permettere una migliore identificazione e una esatta impostazione dei problemi che la nostra situazione presenta».
Non v’è dubbio che il sistema informativo della Banca Commerciale avesse avuto enormi deficienze e che queste fossero state causa non marginale del tracollo del 1931. L’impero industriale di Piazza Scala era scatola nera tanto opaca quanto quella dei conti dentro e fuori bilancio di colossi della finanza mondiale 77 anni dopo. Sappiamo, anche dai documenti pubblicati da Francesca Pino, come fu condotta negli anni Trenta la riconversione della prima banca italiana, quanto essa fu penosa, quanta attenzione richiese nell’individuare le cause del dissesto e nel porvi rimedio, anzitutto migliorando i sistemi informativi e di controllo. Non sappiamo purtroppo ancora se e in quale misura questo processo sia in corso presso i grandi colossi finanziari usciti dalla crisi del 2008-2009, tuttora sorprendentemente privi degli obblighi precisi in tale senso imposti alle banche italiane negli anni Trenta.
Non sfugge al lettore di Malagodi e Mattioli la linea di continuità tra attenzione di quest’ultimo ai "conti" per risolvere i problemi della Banca Commerciale e quella che reputava necessaria per salvare l’intera economia italiana, esposta nella lettera a Togliatti. L’impossibilità di fare i conti – allora per l’inflazione, oggi per altri motivi ”non impedisce solo la buona ammi-nistrazione, può avere incalcolabili conseguenze sociali e politiche. Come dimostra il caso greco. E non solo quello.