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 2010  marzo 16 Martedì calendario

TUTTO OBAMA IN SETTE GIORNI

Nella storiografia presidenziale americana esiste un passaggio considerato essenziale, di natura quasi mitologica.
 il «the defining moment», il momento in cui un Presidente, dopo essere stato votato, trova sé stesso, definendo la Storia.
Senza questo salto non ci sarebbe la stessa Presidenza americana, il suo valore esemplare, che la distingue - almeno nelle aspettative - dall’essere una carica puramente istituzionale. Per George Washington il momento fu l’attraversamento del fiume del Delaware la notte di Natale del 1776, per Kennedy fu il discorso di Berlino, per Franklin D. Roosevelt la decisione di entrare nella Seconda guerra mondiale. Ci sarà, quale sarà, e quando sarà il momento di Obama? Che sia proprio questo, che sia vicino, che sia questa settimana, che sia la riforma della assistenza sanitaria?
Nel clima infuocato di Washington, si ascoltano, tra le molte accuse e proteste, anche queste domande. Il clima è di fuoco perché la settimana che inizia potrebbe davvero definire se non la Storia con la maiuscola di sicuro una importante parte del lavoro fin qui fatto da Barak Obama.
Se tutto va infatti secondo i piani, i Democratici potrebbero essere in grado di inviare a fine settimana la legge sulla riforma sanitaria al Presidente. Cioè pensano di ottenere il voto della Camera dopo il sì ottenuto di misura al Senato, e di poter dunque presentare al Presidente il testo in maniera che possa firmarlo per tradurlo in legge.
Ma, a settimana iniziata, nessuno davvero sa se il testo sarà pronto, nel senso che dal testo dipende il numero di voti che gli si raccoglieranno intorno. Dunque si può ben dire che nonostante la sicurezza che i Democratici sfoggiano, i voti non ci sono, altrimenti, come dice l’opposizione, «al voto si sarebbe già andati». In corso c’è così una specie di gioco di guardie e ladri, in cui la abilissima Nancy Pelosi tesse la tela dei contatti per cercare consensi, ma senza scoprire le sue carte, mentre i Repubblicani moltiplicano le denunce del bluff.
Lasciamo qui perdere la descrizione delle molte manovre e possibili compromessi legislativi che nei prossimi giorni si affronteranno, per poter arrivare al voto - dopotutto l’attività parlamentare è fatta di cavilli e accordi a tutte le latitudini e in tutte le nazioni.
Quel che conta è che al di qua dei corridoi, e delle aule del Congresso, questo voto sulla riforma sanitaria ha acquisito, o forse acquisito per la prima volta, una dimensione definitoria per la Presidenza. Obama ne è perfettamente consapevole; sembra anzi voler sottolineare questo aspetto: ha spostato infatti il suo viaggio in Asia per attendere il voto, e il gesto da solo ha drammatizzato l’appuntamento dandogli la valenza di vittoria o sconfitta. La Casa Bianca insomma ha rimesso definitivamente il suo volto, e dunque il suo operato, su questa riforma.
Voto che a sua volta assume, nel tipo di consenso che raccoglierà o meno, anche il valore di fotografia dello stato del partito democratico. Molte delle difficoltà dei congressisti a votare la riforma dipende infatti dal loro elettorato e dall’impatto che il voto a Washington può avere nei loro territori di origine. Ci sono resistenze di natura etica, legate al finanziamento indiretto dell’aborto.
Pochi mesi fa in Senato fu trovato un modo per aggirare questo problema, restringendo con una mossa molto spregiudicata da parte di Nancy Pelosi, famosa abortista, quasi ogni finanziamento ai settori pro-choice.
Oggi alla Camera si propone lo stesso problema, ma paradossalmente in maniera meno rilevante. I democratici sono pronti a cancellare ogni discorso sull’aborto che la riforma potrebbe legalizzare.
Ma a differenza di quando si votò al senato, oggi le preoccupazioni maggiori paiono essere più di natura economica che morale. Come verrà finanziata questa riforma? E’ sempre stato il dubbio di tutti. Oggi non è nemmeno un dubbio, nel senso che la risposta è ormai chiarissima anche nelle parole dei Democratici: la riforma sarà un inevitabile peso sulla spesa pubblica.
E la spesa pubblica di Obama oggi continua a salire, e non dà nessuna indicazione di frenata.
La terza grande componente che, in questa vigilia di voto, contribuisce a fare del passaggio della Riforma un momento definitorio per Obama, è proprio la preoccupazione per una crisi economica che, nonostante tutti gli sforzi, rimane fuori controllo. Il debito pubblico americano è oggi il più alto della sua storia, e con un governo che ha profonde riforme in mente e non può alzare le tasse, non si vedono segni di soluzione. E’ esattamente il problema che ha l’Europa, dopotutto, ed è paradossale ma anche pericolosissimo che si presenti, e non abbia soluzioni in vista, anche in Usa.
In fondo a tutto questo, in autunno, si profila la tagliola: le elezioni di mid-term sono infatti già state definite da alcuni nel giro dei più stretti collaboratori di Obama come un potenziale «massacro».
Quella che si addensa questa settimana, intorno al voto, è dunque davvero una sorta di tempesta perfetta, come amano dire qui in Usa quando si concentrano multiple avverse condizioni di maltempo.
Ma, come si diceva, proprio questa tempesta perfetta può essere la materia in cui si fa o si disfa la Presidenza Obama. I mesi passati sono stati per il leader americano un faticoso alternarsi di alti e bassi, di successi e insuccessi. In molti punti la tela del suo charme, della sua politica e delle sue alleanze, mostra la corda. Contrasti interni cominciano a scoppiare nel circolo più intimo dei suoi collaboratori, e deputati e senatori cominciano a guardarsi intorno. Alcuni sostengono che la stessa magia del «cambio» si è appannata. La ostinazione con cui Obama ha deciso ora di tenere, difendere, e sostenere la Riforma sanitaria, a dispetto di tutto, sembra essere una sua riscossa.
Forse sarà l’errore della sua vita, forse sarà una sconfitta, dicono in molti. Ma a questo punto di sicuro ha preso le forme di un suo incontro con il destino. Un punto dove si capisca, (e magari lo capisca lui stesso) per dirla con David Brooks, «Chi è Barack Obama».