Giulia Zonca, La Stampa 15/3/2010, pagina 52, 15 marzo 2010
CARO SUPERMAN IL TALENTO NON BASTA
Le gambe di Usain Bolt, il braccio di Roger Federer, i nervi di Michael Schumacher (parte prima), i muscoli di Michael Phelps, dietro il tappetto rosso dei Laureus Awards (l’Oscar dello sport consegnato la settimana scorsa ad Abu Dhabi), le leggende del passato costruiscono il Superman del decennio e disegnano uno strano atleta-Frankenstein a cui non basta più avere fisico, cervello e talento. A cui non basta più neanche essere il migliore.
Ognuno ricorda le imprese, gli slam infilati dal tennista svizzero o i record dello sprinter capace di stravolgere la velocità, ma alle glorie è rimasto in testa altro e se proprio devono selezionare i pezzi migliori vanno oltre, molto più lontano di tempi e punti. Non si limitano a citare qualità inarrivabili, scavano e cercano poteri speciali. Attrezzatura da eroi. Si scopre che Federer non è un mostro solo per quello che ha vinto, più perché lo ha fatto raccontando le sue sensazioni in cinque lingue e passeggiando come un dandy in bianco integrale. Boris Becker spiega come il superfluo può diventare parte integrante del mito: «I grandi ci sono in ogni epoca ma in questi particolari anni chi ha portato a casa la maggior parte dei trofei lo ha fatto in modo straordinario. Non si lascia il segno solo con i successi. Roger è capace di incantarti, è l’opposto dei teddy boy, la nemesi di John McEnroe. E l’emisfero femminile del tennis è dominato da una che sta proprio dall’altra parte: Serena Williams. Aggressiva, quasi cattiva però è una donna e non si era mai vista prima tanta elettricità tra le ragazze». Carattere, alle stelle piace chi è fuori dal comune e non è solo questione di gusti personali, il modo di essere diventa spesso brand e come racconta Cathy Freeman, nella storia per il suo oro aborigeno alle Olimpiadi di Sydney e per la tuta integrale, «i risultati eclatanti sono tanti, la tv trasmette più competizioni di prima, per uscire dal calderone mediatico e impressionare il pubblico devi essere come Bolt che comunica proprio in modo diverso».
Usain è il modello che più si avvicina al mito e anche nel suo caso, tutti citano la prestanza, la gamba infinita e il crescendo in corsa solo che il sorriso si allarga sempre sul resto, su quanto il giamaicano ha di extra. «Non è solo scena perché lui è davvero capace di essere super rilassato e allo stesso tempo pronto. Ci hanno provato in tanti, soprattutto tra i velocisti, a inventare il personaggio però Usain è così: domina alla faccia dei sacrifici altrui, gli viene facile. E riesce pure a stare simpatico», Edwin Moses è estasiato da Bolt, lui conosce l’importanza dei primati, ha vinto 122 gare consecutive nei 400 metri ostacoli, ha stritolato una specialità: «Usain ha fatto lo stesso e ci ha messo sopra la sua faccia, quell’atteggiamento inimitabile».
Si insegue quel che non è umano, come i ritorni di Armstrong, uno che piace perché non cede mai. Vitali Klitschko, peso massimo, non ha dubbi sulla caratteristica essenziale per l’immortalità: «La consistenza, rifarsi vivo in periodi diversi e riprendersi quel che si è lasciato ai rivali solo per un po’» e Monica Seles aggiunge altre difficoltà sulla strada dell’eccellenza: «I più forti sanno organizzare nuove conquiste dopo essere spariti, dopo aver affrontato i fantasmi. successo ad Armstrong e di recente anche a Kim Clijsters: fuori da due anni, neo mamma e ora di nuovo regina del tennis. Sono curiosa di vedere se anche un asso come Tiger Woods riuscirà a passare tra gli eletti a ripresentarsi con la stessa concentrazione dopo aver perso gli sponsor e la fiducia di chi tifava per lui. Alla fine conta il campo, ma solo se torni e vinci esattamente come prima». A lei non è riuscito, dopo essere stata pugnalata da uno spettatore fuori di testa non è mai più stata la stessa.
Il nuovo decennio allarga la concorrenza, Sergej Bubka, ancora padrone del record del salto con l’asta, avverte: «Aumentano gli sport popolari, i più giovani seguono l’estremo, lo snowboard per esempio, per trovare spazio nell’immaginario collettivo bisogna durare». Lui ha una scuola di atletica in Ucraina e punta sulla genetica per individuare i campioni che verranno: «Niente di stravagante, solo che azzeccare subito lo sport più adatto e indirizzare i ragazzini verso la disciplina più giusta sarà utile. Studiare le caratteristiche di ogni singolo in modo scientifico è un vantaggio». I baby atleti sono già sotto lo scanner, per fortuna non devono essere perfetti, è persino più difficile: devono essere speciali, colti, immortali, imprendibili, mediatici. Dei super eroi con una firma unica.