FEDERICO RAMPINI , la Repubblica 16/3/2010, 16 marzo 2010
KENTRIDGE CONQUISTA IL MET DI NEW YORK COL "NASO" DI CARTAPESTA
Se l´America è in declino, le ultime ad accorgersene saranno le sue istituzioni culturali? Come Vienna e Berlino negli anni Trenta, come Parigi e Londra negli anni Cinquanta e Sessanta, le capitali degli imperi decaduti possono continuare a risplendere a lungo quali centri di produzione artistica. Così oggi è New York: quasi indifferente alle traversie della politica o dell´economia americana, conosce un momento magico di creatività e innovazione. L´ultima prova è quella offerta dalla Metropolitan Opera con la produzione stupefacente di The nose. l´incontro di un piccolo gioiello della satira russa dell´Ottocento; di un compositore modernista represso dalla censura di Stalin; di un pittore-regista formatosi nel Sudafrica dell´apartheid. Più un pizzico di tecnologia del terzo millennio. La fusione di tre secoli e di tre geni artistici ha mandato in visibilio il pubblico del Met, dai gusti difficili: altre innovazioni sceniche recenti erano state affondate da urli e fischi. Non così la prima di The nose, salutata da un tripudio di gioia. Ben meritata. Lo spettacolo unisce la fantasia feroce di Nikolai Gogol, la musica travolgente di Dmitri Shostakovic, l´estro figurativo di William Kentridge: un´ora e tre quarti di puro godimento, di invenzioni sonore e scenografiche dal ritmo frenetico.
Gogol nella Russia zarista del 1836 mette alla berlina il maggiore Kovalyov che un mattino a San Pietroburgo si sveglia senza il naso. Il suo panico è aggravato dalla notizia che il naso è stato avvistato mentre scorrazza per la città spacciandosi per un ufficiale di rango superiore. Ricca di doppi sensi, l´amara allegoria ridicolizza una società ossessionata dallo status sociale, dal potere delle gerarchie, dalle apparenze. La satira piacque al 22enne Shostakovich che nel 1930 ne arricchì la trama per costruirvi un´opera ricca di dissonanze, vitale e violenta, un "pandemonio" al livello di Stravinsky, con momenti di leggerezza e di gaudio che prefigurano il migliore musical del dopoguerra (e infatti nella parte di Kovalyov c´è un grande Paulo Szot, il baritono che si è cimentato anche col musical "South Pacific"). Non a caso è una partitura contemporanea de "L´opera da tre soldi" di Brecht-Weill.
"Il Naso" è anche una storia di ottusità burocratica, conformismo di regime, prepotenza dello Stato: non piacque alle autorità sovietiche che ne vietarono le rappresentazioni per quasi mezzo secolo. Anche questo spiega l´innamoramento di William Kentridge, il grande artista sudafricano formatosi nella lotta contro un altro regime autoritario e l´apartheid razziale. Kentridge, che di questo allestimento cura regia, scenografia e video d´animazione, è il vero protagonista del trionfo di pubblico e di critica. Per fare il nesso tra la satira di Gogol e le peripezie inflitte dall´Urss staliniana all´opera di Shostakovich, il regista situa The nose in un paesaggio grafico e politico da anni Trenta del secolo scorso. La scena - che sfrutta tutta l´altezza smisurata del Met - è coperta da un susseguirsi di ritagli di giornali d´epoca, che evocano una società immersa nella propaganda totalitaria. Lo stile visivo di questi montaggi grandiosi evoca i collage futuristi, cubisti, anche dei primi surrealisti (Kentridge è un ammiratore dell´"Ubu Re" di Alfred Jarry). Il Naso stesso, impersonato da un ballerino e infine da un cantante, è una grossa figura di cartapesta fatta di pagine di quotidiano, comica e grottesca nella sua prosopopea. La scena è agitata da un brulicare di folle, con gruppetti di personaggi incastonati in cubicoli. Il movimento è impresso dall´uso fantastico che Kentridge fa delle proiezioni video: a volte immagini fisse, altre volte animazioni che rievocano i primi montaggi del cinema muto. In un passaggio in cui la musica prorompe di percussioni, sullo sfondo viene proiettata una gigantesca figura dello stesso Shostakovich al pianoforte, a velocità accelerata. Come in una sala di cinematografo degli anni Trenta, il ritmo sincopato con cui si accavallano le immagini potrebbe essere di Charlie Chaplin o Buster Keaton.
The nose consacra definitivamente l´estro teatrale di Kentridge, che già aveva dato le sue prove in una precedente regia del Flauto magico di Mozart (2005). Qualcuno è riuscito a rimproverargli di essere troppo bravo: in un dibattito sul New York Times subito dopo la prima, l´unico rilievo critico è stato che lo spettatore finisce quasi per scordare musica e libretto, talmente viene trascinato nel vortice d´immagini inventate da Kentridge. In realtà l´invadenza della regia si sposa bene con l´irruenza della musica di Shostakovich: semmai quell´ora e tre quarti passa troppo in fretta per assorbire tutto, e vien voglia di tornarci subito. Magari dopo aver visitato l´esposizione dedicata a questo artista dal Moma, in quello che è stato definito "il mese di Kentridge a Manhattan".