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 2010  marzo 16 Martedì calendario

STANCA DI GUERRA LA VECCHIA EUROPA BATT IN RITIRATA

Il 1960 fu l´anno della grande dismissione dell´Africa. "Dismissione" era una parola a quel tempo sconosciuta, ma proprio di questo si trattò: per l´Europa, l´Africa era diventata un ramo d´impresa non più redditizio; un costo. Si poteva continuare a ottenerne i proventi, a utilizzarne le materie prime, senza più assumerne gli oneri; e si poteva fare in fretta, visto che gli africani rivendicavano a gran voce il diritto di "mettersi in proprio".
Le potenze europee non erano più tali: erano uscite dalla guerra mondiale esangui, dopo una mortale emorragia di vite, risorse e finanze; stavano compiendo con successo la propria ricostruzione, ma erano ormai in grado di badare soltanto a se stesse e a nessun altro. Nel profondo, avevano forse anche perso fiducia nella propria "missione civilizzatrice", dopo un secondo quinquennio passato a sbranarsi l´una con l´altra in un conflitto distruttivo. (Guardate l´Africa, diciamo oggi: mezzo secolo dalle indipendenze, e ancora guerre intestine, massacri, profughi a milioni; ma guardiamo l´Europa del Novecento, il secolo successivo alla gloriosa formazione dei suoi ultimi Stati-nazione: due guerre mondiali, la Shoah, morti a milioni). E così, nemmeno mezzo secolo dopo la Conferenza di Berlino, in cui le potenze europee si erano divise il continente, era giunto adesso il momento di fare l´opposto, e venir via da quei possedimenti per i quali ci si era, pochi decenni prima, tanto accapigliati. A Berlino, nel 1885, ospiti del cancelliere tedesco Otto von Bismarck, gli Stati d´Europa si erano spartiti l´Africa. Concedendo in proprietà personale al re del Belgio Leopoldo II la più grande tenuta che si fosse mai vista, due milioni di chilometri quadrati, l´intero bacino del fiume Congo, e ritagliando per sé altre ghiotte porzioni del "continente nero". Gli agenti commerciali del buon re dei belgi presero allora alacremente a tagliare le mani ai congolesi che non rispettavano le quote di produzione della gomma, ma questa è un´altra storia. Fatto sta che settantacinque anni dopo lo scramble for Africa, la grande corsa ai possedimenti coloniali africani, come una gigantesca onda di marea che se ne va l´Europa si ritrasse. Chiuse baracca e se ne andò.
La Seconda guerra mondiale aveva dimostrato la rinnovata importanza dell´Africa e reso gli africani consapevoli della propria ricchezza. Il loro ferro, il rame, lo stagno avevano nutrito l´industria bellica europea; l´uranio delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki veniva da quel sottosuolo; come già nella Grande guerra del 1914-18, avevano fornito carne da cannone a tutti i teatri di combattimento; ed avevano offerto una retrovia salvifica agli Stati invasi, come il piccolo Belgio inghiottito da Hitler e sopravvissuto nell´esilio congolese. Ma ormai era l´America a governare il mondo, e all´Europa che aveva salvato dalla barbarie imponeva di rispettare i "diritti sovrani" e l´"autogoverno" dei popoli soggetti. Fu dunque un po´ per indebolimento economico e un po´ per recalcitrante accettazione dei nuovi, estesi principi di libertà che l´Europa se ne andò dall´Africa; ed anche spaventata qui e là dalle rivolte, prima fra tutte in Kenya quella dei Mau Mau, ribelli assassini che massacravano i coloni britannici e turbavano i sonni della madrepatria.
Furono diciassette i Paesi nei quali, nel 1960, si celebrò, in un clima di travolgente euforia collettiva, una festa dell´indipendenza. Non furono né i primi né gli ultimi, ma il più gran numero, e il 1960 rimane nella memoria collettiva l´"anno dell´indipendenza africana". Alcuni tra i nuovi capi di Stato vagheggiarono il sogno degli "Stati Uniti d´Africa": federarsi, unirsi, parlare ed agire con un solo intento, una sola voce sulla scena del mondo. Ma il risveglio venne presto, la sbornia passò in fretta e il resto della storia è noto. Del tutto impreparata a governarsi da sé, stordita dalla nuova libertà, ubriaca di potere e di smodate risorse subitaneamente disponibili che scintillavano davanti agli occhi di una universale povertà sociale, pessimamente consigliata dai suoi avidi amici europei, l´Africa precipitò. Soltanto poche eccezioni seppero resistere al gorgo della tentazione. Pochi leader onesti, pochi governanti davvero democratici nell´animo loro. Ma per il resto, nel primo trentennio dell´indipendenza furono più di settanta i colpi di Stato su un totale di 53 Paesi. Alla fine del secolo soltanto cinque Stati, tra quanti avevano fondato l´Organizzazione dell´unità africana nel 1963, non avevano subito un rovesciamento violento del potere: Camerun, Costa d´Avorio, Senegal, Tanzania e Tunisia (oggi la Costa d´Avorio è dilaniata dalla guerra civile). Le democrazie si tramutarono in dittature, i generali divennero presidenti e i presidenti divennero predatori; per descrivere i nuovi regimi africani venne coniata la parola "cleptocrazia", cioè il potere dei ladri. La maggioranza degli africani continuò a soffrire e oggi l´Africa è un continente da ricostruire.