Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 13 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 7 - IL CONTE VA A SCUOLA

Cavour a scuola.
Come abbiamo già detto, il conte aveva ricevuto i primi rudimenti in casa. L’abate Ferrero, il boemo Joseph Marschall (a cui vennero affidati l’insegnamento del tedesco e della botanica), più tardi l’abate Frézet, specialmente per il francese. Ma Frézet arrivò nel ”20 e lo seguì quindi soprattutto all’Accademia. Cavour era un testone.
Non esistevano le scuole elementari? Voglio dire, un qualche sistema scolastico, tipo il nostro?
No, si insegnava ai bambini a leggere e a scrivere solo per iniziativa di qualche benefattore. Parlo dei bambini poveri, naturalmente, ché le famiglie ricche – come i Cavour – provvedevano da sé e non si mischiavano col popolo. A queste scuole per i poveri si dedicavano istituzioni benefiche di carattere religioso, per esempio La Mendicità Istruita, oppure privati di gran cuore, come il marchese Tancredi di Barolo, la cui moglie, Giulia, era tra l’altro una patita del piccolo Camillo. Negli anni Dieci, comunque, non c’era neanche questo e poi i gesuiti, a cui il re aveva affidato il settore dell’istruzione, non pensavano che imparare a leggere e a scrivere fosse così importante, anzi temevano che, a istruirli, i bambini poveri sarebbero poi diventati adulti poco raccomandabili.
Ma perché?
Beh, studiare significa sviluppare capacità critiche. Un sistema assoluto, cioè dittatoriale, può veder questo come un pericolo. Inoltre il desiderio di uscire dalla propria condizione per conquistarne una migliore è in sé un fattore di sovvertimento dell’ordine stabilito. Le opinioni dei reazionari possono sembrarci riprovevoli, ma non erano prive di logica. Tanto più che l’aborrito Napoleone aveva invece tentato di mettere in piedi un sistema scolastico pubblico: leggere, scrivere, aritmetica pratica, morale e istituzioni sociali (così nell’anno 1800). Più in là il francese. L’Imperatore voleva che i bambini piemontesi diventassero francesi ed era perciò necessario che cambiassero madre-lingua. Quelli non ci pensavano proprio, né loro né le loro famiglie. Le scuole primarie di Napoleone in Piemonte restarono praticamente deserte. Oppure non c’erano maestri (a Ivrea, nel 1808, le autorità scoprirono che su 88 insegnanti elementari solo 36 sapevano il francese). Altro problema che diventò acutissimo negli anni Quaranta: gli insegnanti e come formarli. Deve pensare a un mondo, da questo punto di vista, praticamente al grado zero. Specialmente negli anni Dieci.
I ricchi invece…
I ricchi e gli aristocratici (quasi sempre la stessa cosa) venivano alfabetizzati in casa e poi andavano a completare la loro formazione in qualche collegio. Cavour all’Accademia, in via della Zecca, l’attuale via Verdi, dove sarebbe diventato un militare. In teoria qui non c’era pericolo di diventar sovversivi. Messa la mattina, orazioni prima di coricarsi, l’indole religiosa degli allievi come elemento determinante, almeno in teoria, sul giudizio. Scuola molto severa: chiusi dentro dodici mesi su dodici (a parte qualche libera uscita individuale), niente vacanze, sveglia alle cinque, studio di italiano, latino, francese, storia antica, geografia, conteggio pratico, disegno. Forte incoraggiamento ai giochi violenti, sorveglianza affidata a sottufficiali della truppa che avevano fatto le campagne, cioè gente manesca. «Gli allievi si esercitino a camminare nel buio; si ammaestrino nei passeggi, a spiccare salti sopra fosse, a passare sopra tavole sollevate dal piano terreno, a formare con l’occhio il giudizio sull’altezza, distanze e accidenti dei luoghi, a valutare il tempo necessario per passare da un sito all’altro».
Cavour come se la cavava? Con quel fisico non doveva essere un granché.
Non andava bene negli esercizi fisici e aveva problemi con l’italiano. Bene il francese, straordinaria la matematica, divenuta presto un’autentica passione. Si dava da sé esercizi come Volume di un segmento sferico oppure Tensione di un asse fisso intorno al quale giri con moto uniforme un corpo. L’astronomo Plana, colpito dalla facilità con cui maneggiava numeri, teoremi, geometria, funzioni generatrici, calcolo infinitesimale, profetizzò che sarebbe diventato un nuovo Lagrange, il grande fisico torinese la cui famiglia abitava vicino a Palazzo Cavour. Il conte progredì nettamente nel profitto man mano che gli anni passavano e si diplomò poi nel ”26 con 50, vale a dire il massimo, in quasi tutte le materie: fortificazione permanente, ponti-batterie, tattica-strategia, calcolo differenziale, calcolo integrale, architettura civile, attacco e difesa delle piazze, fortificazione campale, meccanica, applicazione meccaniche, storia, elocuzione, cioè le materie letterarie. Aveva appena 16 anni. Impressionante, eh?
Sono esterrefatto.
C’erano però problemi in condotta, determinati dal carattere, che si mostrava sempre più tremendo, e da quello che accadeva fuori dall’Accademia, nella stessa Torino.
Vale a dire?
Come, non lo sa? Era scoppiata la Rivoluzione.

www.giorgiodellarti.it

(7 – continua)