Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 16/3/2010;, 16 marzo 2010
IL FATTO DI IERI - 16 MARZO 1957
Quando, nel 1904, Constantin Brancusi , forse il maggior scultore del Novecento, approdò a Parigi, aveva solo 28 anni. Partito dall’Oltenia, uno spicchio rurale di Romania tra i Carpazi e il Danubio dove i contadini, educati all’essenzialità delle forme, costruivano tutto in legno e pietra. Un’arte antica che Brancusi si porterà dentro, puntando alla semplificazione del superfluo, levigando le superfici delle sue figure fino a una purezza formale immacolata, vicina all’astrazione. Tra suggestioni legate alla sua terra e stimoli plastici provenienti dalle avanguardie europee, Brancusi compirà il miracolo di una conciliazione impensabile. E lo farà, in una ibridazione tra cultura occidentale e tradizione arcaica, proprio a Parigi, città euforica di sperimentazione, dove ha deciso di vivere e morire. E dove lavorerà, quasi da recluso, nel mitico atelier di Montparnasse, asserragliato tra massi di pietra, tronchi di legno, assi, gessi. Dove non c’è l’ombra di ready-made, né traccia di confini tra oggetti d’arte e di uso casalingo. Quel ”grotto delle meraviglie” che alla sua morte, il 16 marzo 1957, lascerà al governo francese, a indicare l’indissolubilità tra il luogo dell’opera e il luogo della vita.