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 2010  marzo 12 Venerdì calendario

3articoli COS D’ALEMA E IL FONDO QUERCIA HANNO DEPREZZATO TELECOM Seguite la storia dell’Oak Fund e dei forzieri che Massimo D’Alema ha collocato all’estero

3articoli COS D’ALEMA E IL FONDO QUERCIA HANNO DEPREZZATO TELECOM Seguite la storia dell’Oak Fund e dei forzieri che Massimo D’Alema ha collocato all’estero. Così, prima vi fate quattro risate, poi vi rattristate pensando a quanto certo mondo sia refrattario alla serietà. La faccenda è tornata agli onori della cronaca perché, a Milano, è in corso una specie di farsa giudiziaria con al centro gli spioni che lavoravano per Telecom Italia. Il dilemma giudiziario è lo stesso che si conosceva fin dal primo giorno (7 anni fa): agivano per conto proprio o in ragione d’incarichi ricevuti dai vertici aziendali? Chiamato a deporre, Marco Tronchetti Provera è stato chiamato a deporre. Fra le altre cose, ha detto che Giuliano Tavaroli, capo della security, prima in Pirelli poi in Telecom, gli aveva parlato del misterioso Oak Fund, che gestiva quattrini riconducibili a D’Alema. Lui, Tronchetti, dice di avere dato una risposta ineccepibile: si rivolga alla procura della Repubblica. Solo che nessuno lo fece. Se si fossero rivolti alla procura, però, ci avrebbero rimediato una bella denuncia per calunnia, visto che il problema di quel fondo non è quello di contenere soldi di D’Alema. Un passo indietro, visto che credo di avere giocato un ruolo in questa faccenda. Siamo nel 1999, D’Alema è presidente del consiglio e, proprio all’inizio dell’anno, sponsorizza Roberto Colaninno, che lancia un’opa ostile contro Telecom Italia (guidata, anche allora,da Franco Bernabè). Guido Rossi, che di Telecom era stato presidente, usa parole feroci giungendo a dire che Palazzo Chigi era l’unica merchant bank nella quale non si parlava inglese. Scrissi: Rossi ha ragione, perché se parlassero l’inglese si sarebbero accorti che fra gli scalatori c’è un soggetto denominato Oak Fund, vale a dire ”Fondo Quercia”, il che è singolare, visto che il capo del governo è anche il capo del partito della Quercia. Non solo non scrissi che in quel fondo c’erano i soldi di quel partito, ma neanche l’ho mai pensato. Da allora, invece, la cosa è data quasi per scontata. La tesi, insomma, che Tavaroli riferiva al suo principale. Dunque, uno scandalo inventato? No, lo scandalo c’è, ma è quello che denunciai del tutto inutilmente con le autorità di mercato che dormivano il sonno degli appagati: si consentì, in violazione delle regole, la scalata ad una multinazionale italiana, portata da una cordata i cui soggetti erano e sono ignoti, perché radicati in Lussemburgo, e da qui dispersi nei paradisi fiscali. Quello è il problema e quella è la responsabilità dell’allora presidente del Consiglio.Ma, come al solito, si pretende di far pagare delle presunte responsabilità penali, mentre si dimenticano quelle politiche. Ecco, allora, che la leggenda del Fondo Quercia prende forma. Alla leggenda abboccano tanti oppositori della sinistra con la stessa stupidità con cui abboccarono al conte Igor e ai suoi presunti conti correnti di Cicogna, Rospo eMortadella. Con la quale boiata s’oscurò, anche lì, lo scandalo vero: avere comprato Telekom Serbia da un genocida pagandolo in contanti. Tiriamo le somme: a. una multinazionale italiana è stata scalata e spolpata; b. il frutto della scorribanda è andato all’estero; c. lo scandalo evidente è stato occultato, ma, in compenso, ne sono stati inventati di ridicoli; d. Tronchetti Provera comprò Telecom all’estero, e la fece tornare italiana, non riuscendo, però, a tenerla in equilibrio; e. la società, creata con i soldi degli italiani, è oggi ridotta in macerie; f. i suoi soldi sono serviti anche a pagare un gruppo di voraci spioni; e. il processo relativo finirà in burletta. Questa storia la conoscono tutti, al punto che sanno ben valutare la nostra presunta classe dirigente (politica, industriale e finanziaria), e non ne hanno un concetto lusinghiero. La conoscono meno i cittadini. Forse, per ragioni d’educazione civica, è una storia che varrebbe la pena insegnare nelle scuole. Davide Giacalone, Libero 12/3/2010 COLANINNO PARLA DI TELECOM «I DEBITI NON GLI HO FATTI IO»- Ho letto con indignazione la cosiddetta analisi di Davide Giacalone dal titolo «Così D’Alema e il fondo Quercia hanno deprezzato Telecom», pubblicata il 12 marzo scorso. L’ingente mole di affermazioni, ricostruzioni e valutazioni - contraddittorie e confuse contenute nell’articolo impone alla mia coscienza di cittadino, prima ancora che alla razionalità dell’imprenditore, di ricostruire (ancora una volta) i fatti così come si sono realmente svolti. L’Opas lanciata da Olivetti su Telecom nel 1999 non rappresentò soltanto la più grande operazione di questo tipo mai realizzata in Italia e una delle principali effettuate a livello globale, ma anche lo strumento per realizzare uno straordinario progetto industriale nell’inte - resse di Olivetti, di Telecom, del Paese. Parlano i fatti: mi limito a ricordare che nel 2001 fui costretto a lasciare un’azienda totalmente diversa da come l’avevo trovata. In soli due anni era diventata un vero player internazionale, in virtù di una strategia di espansione sui mercati più promettenti del pianeta. Avevamo conquistato la maggioranza della società di telefonia mobile in Cile, sviluppato la rete di telefonia mobile e fissa in Brasile, razionalizzato Telecom Argentina, rafforzato la presenza in Grecia, Turchia e nel Mediterraneo orientale, risolti gravi contenziosi come quelli in Serbia e a Cuba nei riguardi degli Stati Uniti. Il profilo industriale di Telecom Italia nel 2001 spaziava dalla telefonia fissa a quella mobile, da Internet alla televisione, dalle comunicazioni satellitari ai sistemi informatici. Sotto il profilo finanziario, l’Opas del 1999 fu un’operazione di mercato così dirompente e trasparente da cogliere di sorpresa (e forse preoccupare) chi era abituato da decenni a considerare i salotti buoni del capitalismo come l’unico terreno di gioco delle grandi operazioni industriali e finanziarie. A differenza degli altri passaggi di proprietà del gruppo telefonico, l’offerta di Olivetti si rivolse a tutti gli azionisti ordinari di Telecom Italia dando loro la possibilità di incassare un premio rilevante rispetto alle quotazioni. Quanto al debito, desidero ribadire con forza che l’Opas non portò indebitamento su Telecom Italia. Olivetti utilizzò ventimila miliardi di lire di liquidità propria, bond e strumenti finanziari di debito, che rimasero in carico alla società di Ivrea. Sarebbero stati quasi annullati se l’operazione – già accettata dal mercato di conversione delle azioni di risparmio Telecom Italia in ordinarie ed il successivo buy back avessero trovato esecuzione nell’estate del 2001. Ma il dato fondamentale è un altro: il debito di Telecom, all’epoca, era largamente inferiore a quello dei competitori europei ed era perfettamente sostenibile dalla cassa generata dal gruppo. importante inquadrare in modo corretto un altro aspetto dell’operazione su cui vengono riproposte teorie improbabili e calunniose, delle quali mi interesserebbe molto conoscere le vere motivazioni. Nessuno chiese sponsorizzazioni politiche o istituzionali. Non fanno parte della mia etica, sarebbero state contrarie alle regole del diritto nonché un’evi - dente contraddizione rispetto alla logica esclusivamente di mercato che caratterizzò l’operazione. All’epoca dei fatti le istituzioni – in primis l’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema, il Ministero del Tesoro, Consob e Borsa Italiana – controllarono ogni dettaglio, garantendo il rispetto delle leggi. Il modello di relazioni con tutti i rappresentanti del mondo istituzionale si basò sulla trasparenza e sulla tutela della neutralità: elementi richiesti ”anzi pretesi – dal mercato, che fu in grado di stabilire l’esito dell’operazione al di fuori di ogni condizionamento esterno. L’opinione pubblica, il mondo finanziario e del risparmio furono informati quotidianamente dai media, che per la prima volta ebbero la possibilità di seguire, analizzare e valutare in ogni dettaglio dell’operazione. Voglio ribadire per l’ennesima volta, inoltre, che non ho mai posseduto azioni di qualsivoglia società lussemburghese. I frutti di questa e di tutte le mie operazioni sono sempre rimasti in Italia e hanno generato ingenti imposte per l’erario. Per l’ultima volta mi auguro, dunque, di non leggere più illazioni circa un mio presunto coinvolgimento in Oak Fund. Rimando peraltro ad alcuni articoli di stampa che hanno chiarito in modo netto le realtà patrimoniali di questo fondo: rinvio in particolare ad un’intervista di Mario Gerevini a Giorgio Magnoni (pubblicata dal Corriere della Sera il 24 luglio 2008) in cui lo stesso Magnoni dichiara essere il gestore dell’Oak Fund,nonché a numerosi articoli pubblicati dai principali quotidiani (si veda, tra gli altri, l’articolo a firma Paolo Madron del 23 luglio 2008) che hanno indicato l’ex azionista Campari Antonio Rossi come il sottoscrittore del fondo. Voglio sottolineare infine che sempre nell’intervista rilasciata a Mario Gerevini Giorgio Magnoni informa di aver inviato una lettera ufficiale al Ministero del Tesoro, nella quale chiariva chi aveva potere di gestione sullo stesso fondo. In conclusione, ammetto di condividere la cosiddetta ”analisi” di Giacalone soltanto in un punto. L’Opas di Olivetti su Telecom e lo sviluppo industriale del gruppo telefonico nei due anni successivi sono una storia che varrebbe la pena insegnare nelle scuole. Ma come esempio di coraggio imprenditoriale, di rispetto delle regole, di esaltazione del mercato e della sua etica. ex Presidente Telecom, Presidente Alitalia e Piaggio Roberto Colaninno, Libero 16/3/2010 COLANINNO SI INDIGNA MA SE LEGGESSE TUTTO...- Roberto Colaninno s’è indignato, leggendo un mio pezzo dedicato a Telecom Italia ed all’Oak Found. Mi duole, aver nuociuto alla sua serenità, che sarebbe stata meno scossa se avesse letto il pezzo, anziché solo il titolo. Già, perché, nella sua articolata replica, risponde a quel che non c’è e tace su quel che c’è. Vediamo i diversi punti, seguendo l’ordine. 1. Lamenta che la «cosiddetta analisi» contenga un’«ingente mole» d’affermazioni sbagliate e confuse. Non voglio alterare il suo stato d’animo, ma se avrà la pazienza di leggere ”Razza Corsara”, pubblicato per Rubbettino nel 2004, e poi rielaborato in ”Il grande intrigo”, pubblicato da Libero nel 2006, troverà molte più cose, compresi dati, fatti e nomi. Talché potrà fornire ancor più interessanti chiarimenti. 2. Colaninno ricorda i successi internazionali di Telecom Italia, sotto la sua gestione. Devo rammentargli che la presenza in Sud America è largamente precedente e che le gare per le privatizzazioni furono vinte sotto la gestione di Gian Mario Rossignolo. Successivamente, però, le avventure brasiliane si colorarono di inauditi ed inimmaginabili sprechi, compresa la storia di Globo.com, che la gestione successiva, quella di Tronchetti Provera, fu costretta ad azzerare. A quegli anni, invece, si devono le gare in Grecia e Turchia. Approfondire quei conti e quelle storie è ancora un compito aperto. Di queste cose, comunque, il mio articolo non parlava. 3. Né ho scritto del debito. Colaninno s’indigna, ma non so con chi. Visto che ci tiene, però, ricordiamo che i debiti di Telecom, precedentemente alla scalata, erano irrisori, mentre le conseguenze delle lotte per il controllo, quindi non solo l’Opas lanciata da Colaninno, l’hanno ridotta male. Colaninno si rammarica di non avere avuto il tempo di completare le operazioni che aveva in mente. Deve e lamentarsi con i suoi soci, che glielo impedirono. 4. E veniamo alle sponsorizzazioni politiche. Egli dice: non ne ho mai avute e subimmo controlli rigorosi, anche dalla Consob. Già, peccato che l’allora presidente del Consiglio annunciò l’iniziativa di ”capitani coraggiosi” prima che il consiglio d’amministrazione di Olivetti deliberasse l’Opas. Peccato che Olivetti fu beccata a vendere azioni Telecom mentre annunciava di volerle comprare. Peccato che il presidente della Consob fu chiamato a rispondere, a Palazzo Chigi, dei rilievi mossi sulla regolarità dell’Opas. Peccato, insomma. 5. S’indigna, Colaninno, e smentisce di avere mai posseduto azioni di società lussemburghesi, come smentisce ogni coinvolgimento nell’Oak Fund, il Fondo Quercia. E dov’è che ho scritto il contrario? Questa è bella: l’articolo si basava proprio sulla dimostrazione che l’Oak Fund non era riconducibile a Massimo D’Alema (e ricordavo che ben si conoscono i beneficiari di quel fondo), e che ero stato io a far notare quanto avesse ragione Guido Rossi, nel sostenere che a Palazzo Chigi non parlavano l’inglese, altrimenti si sarebbero accorti di questo singolare fondo. Che c’entra Colaninno? O no? Quel che affermavo, invece, lo ripeto: la proprietà di Telecom Italia, dopo l’Opas, divenne lussemburghese, perché la società utilizzata, la Bell, era lussemburghese. Può smentire? A riprova di ciò citavo il successivo passaggio: Tronchetti Provera comperò e pagò all’estero, riportando in Italia la proprietà. E cito un altro dato, che avevo taciuto: la trasparenza era così assente che di alcuni cointeressati-mediatori azionisti, come i capi della Unipol, si è saputo solo ”accidentalmente”. E per Bacco. 6. Sono e resto un cliente dell’ingegner Roberto Colaninno, soddisfatto nell’utilizzare i prodotti della Piaggio, che conosco personalmente, e non per sentito dire. Sarei felice di averlo come cliente lettore, sperando, qualche volta, magari di rado, di raccogliere i suoi giudizi, anche severi. Ma alla stessa condizione: per cognizione diretta, non per sentito dire.