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 2010  marzo 16 Martedì calendario

KཿNAAN (Keinan Abdi Warsame)

K’NAAN (Keinan Abdi Warsame) Mogadiscio (Somalia) 30 marzo 1978. Rapper • «[...] travolge il pubblico con rap e poesie che raccontano le stesse storie. Figlio di una cantante e di un poeta, nasce a Mogadiscio in piena guerra civile, nel 1978. Suo padre è il primo ad espatriare, per fare il tassista a New York e spedire a casa quel che guadagna. Nel ”91 anche il piccolo K’naan e sua madre chiedono asilo politico agli Usa, per poi spostarsi a Rexdale, nell’Ontario. [...] Youssou N’Dour [...] nel 2001 lo invitò a cantare nell’album Building bridges. L’esordio solista di K’naan, The dusty foot philosopher, ha avuto un’eco enorme in Canada [...] ”All’inizio non capivo l’inglese”, dice K’naan, ”ma intuivo che il rap aveva il ritmo giusto per accompagnare la guerra verbale che stavo per intraprendere: contro le divisioni, contro il razzismo, a favore dell’unità dei popoli africani”» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 12/6/2008) • «[...] Hanno scritto che nelle sue canzoni la rabbia rivoluzionaria di Bob Marley si fonde con lo stile di Eminem. E la Fifa ha scelto la sua ”Wavin’ Flag”, che invoca l’unione dei popoli contro i ”signori della guerra”, come inno ufficiale per i campionati del Mondo di calcio [...] 2010. [...] ha iniziato a comporre per allontanare l’incubo della guerra civile che ha distrutto il suo paese: ”La musica era terapeutica: pensavo che se avessi scritto tutto quello che avevo passato avrebbe reso più tollerabile il dolore”. [...] ”The Dusty Foot Philosopher” non è soltanto il titolo del suo primo album (e di una canzone), ma anche il soprannome che si è dato da solo. ”Avevo composto un pezzo per raccontare l’assassinio del mio migliore amico, ucciso quando ero ancora in Somalia. Poi ho notato che le tv occidentali, quando parlano dell’Africa che elemosina aiuto, fanno vedere spesso i bambini. E quasi sempre la telecamera si inquadra i loro piedi polverosi, simbolo della miseria. Ho pensato che tanti anni fa anche i miei piedi erano così. Adesso le persone che girano quei filmati mi rispettano, ho un posto nelle loro vite. Con questo soprannome ricordo il bambino che sono stato: The Dusty Foot Philosopher, pieno di sogni e di idee, ma senza i mezzi per realizzarli”, ha spiegato lui che fino a tredici anni ha vissuto nel distretto di Wardhiigleey (’fiume di sangue”), ha imparato a usare il fucile a 8 anni e a 11 ha visto morire tre amici. ”I somali sono le persone più povere della terra che si confrontano con la situazione più difficile del mondo. Non abbiamo privilegi e il nostro unico scopo è la sopravvivenza. Con i miei amici la sera andavamo sul tetto di un palazzo abbandonato e parlavamo di cavolate. Così tenevamo a distanza la guerriglia e la violenza che ci circondavano”. K’naan viene da una famiglia di intellettuali, sua zia Magool era una delle più famose cantanti dell’Africa orientale, il nonno, Haji Mohamed, era un poeta. Il papà lasciò La Somalia per fare il tassista a New York: spediva soldi a casa e al figlio inviava dischi dei rapper Nas e Rakim. ”Era difficile che qualcuno conoscesse l’hip hop in Somalia. un paese pieno di musica ma devoto ai suoi suoni. Da noi non vengono popstar internazionali, lì si conosce soltanto Bob Marley e la musica locale”. Fela Kuti, Bob Dylan, Nina Simone sono gli artisti a cui si ispira, ma ascolta anche rapper come Rakim, Nas, Gangstarr e Grand Puba. ”In ”New York State of Mind’ Nas descrive come fosse uno scrittore il ghetto d’America. Penso che sia possibile ritrarre la Somalia con lo stesso realismo”. E lui vuole raccontare al mondo l’orrore del suo paese perché, nonostante la sua vita randagia, non ha mai tradito le sue origini. ”Mi sono sempre sentito in esilio, perché la tua casa non è soltanto un punto sul mappamondo, ma un sentimento, un luogo che ti strega l’anima”» (Sandra Cesarale, ”Corriere della Sera” 28/12/2009) • «[...] ”Non capivamo una parola di quel che dicevano, ma ”Paid in full’ di Eric B. & Rakim mi fece intuire che quella era la mia strada - e in realtà è stata la mia salvezza. Spavaldi e incoscienti come tutti gli adolescenti, anche io e i miei amici volevamo far parte di quella guerra. Ricordo la volta che entrammo in un supermercato semibombardato a fare razzie. Non sapevo bene cosa prendere, così optai per una bella specchiera da portare a mia madre. Lei, quando la vide, mi guardò inorridita. ”Riportala dove l’hai presa’, ordinò. ”Ma mamma, è pericolosissimo’. ”Non più pericoloso di quando l’hai rubata”. Così tornai indietro”. Ma il peggio doveva ancora venire, perché ”per tanti ragazzi la guerra è una droga”. Aveva 14 anni quando, insieme a tre amici, fu inseguito dai militari per i vicoli di Mogadiscio. Era armato, ma non in grado di affrontare i professionisti della guerriglia urbana. Dei quattro, K’naan fu l’unico a schivare le pallottole. La situazione diventò drammatica, sua madre sfidava quotidianamente il coprifuoco per implorare un visto all’ambasciata americana. Un rifiuto dopo l’altro, ”poi il miracolo, proprio il giorno prima che la sede diplomatica di Mogadiscio venisse chiusa. Quella fu la prima volta che incominciai ad apprezzare il valore della vita [...] A New York non sapevo una parola d’inglese, ma le spalle erano più leggere, potevo quasi volare. E difatti volammo verso Toronto, ospiti della comunità somala, che lì è numerosa. Così finii nella schiera degli invisibili, quelli che la città tiene ai margini, i musulmani che dopo l’11 settembre il Canada avrebbe volentieri cancellato dal proprio territorio. Da una grande guerra, alla piccola guerra dei quartieri poveri, al bullismo prodotto dall’ignoranza, alla delinquenza del ghetto’. Le parole di K’naan fanno breccia nel cuore dei ragazzi, anche canadesi e americani, in quel diffuso sentimento antiBush di fine decennio. ”Venivano da me e mi ringraziavano: ci hai aiutati a capire, dicevano”. In Canada diventa un culto, negli Usa Rolling Stone lo indica come uno dei pochi emergenti degni di nota, con lui vogliono incidere Metallica, Keane e Mary J. Blige; cinquanta star canadesi eseguono una versione di Wavin’flag per il progetto ”Young artists for Haiti”. K’naan non ha più bisogno del kalashnikov, spara con le parole: ”Non capisco perché abbia fatto tanto scalpore la mia dichiarazione sui pirati delle coste somale. La mia opinione è che gruppi di pescatori si siano organizzati per impedire a industrie private di liberare scorie tossiche e/o nucleari nell’Oceano Indiano. Come reagirebbe l’Italia se, approfittando del caos politico, qualcuno cercasse di trasformare l’Adriatico nella discarica del pianeta?”» (Giuseppe Videtti, ”la Repubblica” 16/3/2010).