PAOLO RUMIZ, la Repubblica 13/3/2010, 13 marzo 2010
LE MACCHINE DA POESIE CREATE DA ENZENSBERGER
Il mago delle parole lavora così. Una cornice di un metro per un metro. Dentro, lo spazio per venticinque tasselli quadrati di legno. Ma le tessere sono solo ventiquattro, e grazie al vuoto che si crea è possibile farle scorrere una ad una in senso orizzontale o verticale, come nei vecchi rompicapo. In ogni tessera però, invece di un numero, hai due parole forti, normalmente abbinate in letteratura: casa e corte, carne e sangue, tavola e letto, gatto e topo. Ed ecco che appena lui muove qualcosa, scattano infiniti abbinamenti: topo e carne, sangue e tavolo, casa e gatto. Nuclei di nuove immagini, fulminazioni intuitive, talvolta provocazioni. E tu scopri che tutto è tremendamente semplice, nient´altro che un gioco. Un gioco che pone non poche domande sulla casualità del processo creativo.
Ma lo sciamano ci sorprende con ben altro. Ecco sonetti del Petrarca che si scompongono per ricombinarsi in nuove poesie; nomi e aggettivi che vanno in cortocircuito e si riaggregano nel modo più demenziale; "puzzle" di parole che generano associazioni infinite; cantilene che ricominciano dalla fine; sovrapposizione di testi identici su vetro che inspiegabilmente si diversificano come su una lente bifocale; e il tutto che genera immagini, voci, luci. Eccole, per la prima volta in Italia, le macchine di Hans Magnus Enzensberger, alcuni degli straordinari "giocattoli delle parole" che il leonardesco scrittore bavarese ha prodotto nella sua vita felice di poeta, matematico, linguista, romanziere, saggista e poliglotta.
Quello che si potrà vedere da domani alle 11 al museo di storia naturale di Pordenone (alla presenza di HME, attorno al quale quest´anno è costruito il festival "Dedica") è qualcosa di simile a una Cabala che diventa meccanica: niente schermi al plasma, ma torri di legno, piastre di vetro, giostre di latta, vecchie radio a valvole, manovelle e carillon. la felicità manuale della pialla e del bullone applicata con rigore matematico alla letteratura, qualcosa di tremendamente tedesco, con dietro a tutto il Mago, questo ottantenne con la faccia da bambino che prende numeri da uno scatolone e parole da un altro, mescola il tutto per vedere l´effetto che fa, e costruisce un territorio del limite, in bilico tra arte e non-senso, un piccolo reame di filastrocche numerarie e teoremi di parole.
Le macchine di Enzensberger pesano, grattano, fischiano, vibrano; non hanno nulla di virtuale. Nemmeno la più sofisticata di tutte, la macchina per scrivere poesie, la quale è sì collegata a un piccolo programma di appena sei megabait, creato dall´autore, ma anche "sputa" la sua scrittura su un megaschermo meccanico da aeroporto, uno di quelli vecchi col rullo a paletta per ogni lettera, brevettati dalla Solari di Udine, che a ogni decollo o atterraggio fanno un inconfondibile rumore a cascata, tipo castello di carte che cade. «Potevamo dargli cristalli liquidi - sorride Dino Domeneghetti del servizio clienti Solari - ma lui ha insistito per il vecchio modello che aveva, a suo dire, il rumore del tempo. Scandiva l´arrivare e il partire».
Anche questa "mulino poetico" (rivelatosi intrasportabile dalla sua sede in Germania e quindi grande assente all´esposizione pordenonese) funziona sulla base della pura casualità. Si preme un bottone e compare una poesia su sei righe. Un testo su un numero infinito di testi, 10 elevato alla trentaduesima, che trasformato in atomi farebbe più del globo terrestre. E il risultato non è puro surrealismo come negli esperimenti del poeta e matematico francese Raymond Queneau: con Enzensberger un´illusione di significato esiste, e talvolta qualcosa di simile a una poesia vera. Il problema è che, ogni volta che si preme il bottone, l´effetto random si riattiva e un testo nuovo cancella il precedente, così nulla rimane. Come l´acqua di un fiume. Cascate, mulinelli di parole.
Tutto è fluviale nell´autore: come il geniale matematico francese Pierre de Fermat, che fu capace di sfornare straordinari teoremi ma non ebbe mai il tempo di spiegarli per eccesso di lavoro, anche il folletto Enzensberger - l´uomo senza tv, senza patente e senza telefonino - sforna macchine, libri e algoritmi con la stessa stupefacente facilità e senza aver tempo per spiegarsi, ma divertendosi come un matto e, per sua stessa ammissione, con la voracità onnivora di una balena, che si nutre aspirando tutta l´acqua in cui nuota e selezionando poi il cibo con i fanoni. Legge di tutto, anche foglietti illustrativi di farmaci, e su tutto pone domande, conservando un solido scetticismo sulla scienza contemporanea («Come si affannano questi topi di laboratorio attorno ai cloni! Meglio scopare!»).
Qualche macchina è una magnifica suggestione, come la radio post-bellica pomposamente battezzata "Ricevitore mondiale", dopo girando la manopola si sposta un´asticella su un piccolo schermo luminoso con l´indicazione delle città. Quando l´indicatore si ferma su Leningrado, ecco la voce di Osip Mandel´stam che esce da un fruscìo di interferenze e parla delle nuvole, poi ci si sposta su Parigi e da un altro secolo arriva la voce declamatoria di Guillaume Apollineire che scandisce il suo "Sous le pont de Mirabeau coule la Seine". E così Larss Gustafsson da Stoccolma o Abbas Beydoun da Beirut. Manca solo la voce del padre di HME, tecnico radiofonico, l´uomo che educò il figlio alla potenza terapeutica della parola, la stessa appresa dai nonni attraverso le filastrocche.
E Petrarca? Viene smembrato su una torre esagonale di legno, fatta di quattordici piastre ruotanti orizzontalmente. Su ognuna delle sei facce della torre sta un sonetto (con una riga sull´esterno di ciascuna piattaforma) del Canzoniere, ma basta girare una delle piastre e i versi si combinano diversamente. Poiché la lirica di Petrarca si basa su un numero limitato di metafore, ecco che è assai facile costruire poesie nuove di senso compiuto. Nuove, e per giunta numerose: sei elevato alla quattordicesima, cioè 7,8 miliardi di sonetti diversi. Petrarca fatto a pezzi, messo in un pentolone e poi sparato all´infinito. Tu guardi, leggi, e ti chiedi com´è possibile che sia tutto così semplice.
« un´operazione post-dadaista» sorride l´ipercinetico Gianni Pignat, fotografo giramondo e curatore della mostra pordenonese. «Macchine simili allarmano i poeti come noi scacchisti siamo allarmati da Deep Blue» dice lo scrittore friulano Paolo Maurensig che ha ben conosciuto l´autore tedesco. «Ma poi, quando si vede il marchingegno in azione, si scopre che quella paura non ha senso. In fondo anche dietro a Deep Blue c´è l´esperienza di migliaia di scacchisti». Dietro alla macchina, spiega Maurensig, emerge la semplicità del pensiero di Enzensberger, e anche la semplicità della sua vita. «Ricordo come ci fermammo in un´osteria a mangiare salsicce crauti e birra su un tavolaccio».
«Fa bene ai ragazzi di scuola vedere queste cose - sottolinea Marina Sparavier, insegnante di tedesco al liceo e consulente della mostra-’ perché si sdrammatizza il processo creativo. Fino a ieri da molti insegnanti cose del genere sarebbero state viste come una profanazione. Nelle scuole tedesche no, si parte dal basso. Dal testo. Lo si smonta e spiega». Chissà se è un caso: il vecchio bambino, che oggi è un monumento vivente alla cultura europea, è uno che considera la matematica e la poesia come i suoi massimi spazi di libertà. Le quali guarda caso sono anche le materie scolastiche più impietosamente bastonate dai programmi ministeriali nella terra di Dante e Leonardo.