LEONETTA BENTIVOGLIO, la Repubblica 13/3/2010, 13 marzo 2010
WOODY: PERCHÉ SUL SET SOGNO CARLA BRUNI
«Carla Bruni mi è sempre piaciuta come personalità, e penso che potrebbe essere una buona attrice», sostiene mesto e garbato Woody Allen. «Il fatto è che per via della sua particolare posizione in Francia non posso abusare troppo avidamente del suo tempo. Mi piacerebbe dirigerla in un film». «E confesso che sono ottimista. Ma devo considerare l´eventualità che una signora sposata col capo del governo di una nazione come la Francia possa all´ultimo minuto deviare dal tracciato del mio film per farsi catturare da altri ponderosi impegni».
Woody è così: terribilmente somigliante a se stesso. Discreto e sottotono come te lo aspetti. Gioca al ribasso, minimizza, divaga. Quando gli si chiede cosa pensa degli esiti dell´Oscar, che ha incoronato un film come The hurt locker, sfuggente ai più consueti schemi hollywoodiani e privo di budget astrali, un po´ come i suoi, risponde che non vuole dire nulla. E ci consegna una malinconica umiltà quando parla della sua attività di clarinettista con la New Orleans Jazz Band, l´ensemble con il quale si esibisce fin dagli anni Settanta e con cui approderà il 30 marzo al Teatro La Fenice di Venezia e il 31 all´Auditorium di Roma (per la rassegna It´s Wonderful organizzata dall´Accademia di Santa Cecilia), nell´ambito di un tour europeo che tocca anche Monaco, Amburgo, Berlino, Vienna, Ginevra e Barcellona, e che in Italia prevede pure una data a Montecatini (il 29 marzo).
Non crede di aver fatto notevoli progressi come jazzista in trentacinque anni di concerti dal vivo e di entusiastica frequentazione del jazz caldo di Chicago e delle musiche anni Trenta?
«Forse nel tempo sono migliorato un po´, ma sempre all´interno dei parametri di una radicale assenza di talento. Non lo dico per falsa modestia: sono davvero un amateur e non ho alcun orecchio. I miei compagni, per stare al passo con me, devono ridurre la propria abilità e suonare in modo più primitivo di quanto siano capaci di fare, perché continuo ad essere un dilettante. Diciamo che musicalmente galleggio a un livello di mediocrità. La gente viene a vedermi e ad ascoltarmi perché sono famoso grazie ai miei film. Morirei di fame nel giro di una settimana se dovessi lavorare come musicista non essendo una celebrità cinematografica. Posso far vendere due o tremila posti in una sala da concerto e conquistare il tutto esaurito. Ma visto che ci sono musicisti jazz di bravura prodigiosa i quali non si avvicinano minimamente a quei risultati, è ovvio che la quantità di pubblico attratta dalle mie esibizioni non è direttamente proporzionale alla qualità del mio modo di suonare».
Sta per arrivare a Venezia e a Roma, due città del cuore...
«Vero, verissimo. Da tempo sogno di fare un film in Italia, e al primo posto, nelle fantasticherie dei miei futuri set, ci sono Roma e/o Venezia. Un po´ mi spaventa il clima, avete un´estate torrida e non ideale per me, che soffro il caldo e normalmente giro film nella stagione estiva».
Può parlare dell´ultimo, realizzato a Londra nel 2009?
«S´intitola You will meet a tall dark stranger ("Incontrerai uno sconosciuto alto e misterioso") e vi scorrono i miei temi abituali: vita, amore, religione, ambizione, morte... Conflitti e tradimenti matrimoniali, rapporti amorosi che s´intrecciano con vicende di lavoro. una storia drammatica ma anche ironica. Nel cast ci sono Freida Pinto, Josh Brolin, Antonio Banderas, Gemma Jones, Naomi Watts... E Anthony Hopkins, formidabile. Non pensavo che avrebbe accettato, invece ha detto subito di sì. Interpreta il personaggio di un uomo d´affari sposato alla Jones, mentre Freida è una ragazza che studia pianoforte, Brolin è uno scrittore che cerca di placare le sue frustrazioni letterarie lanciandosi a capofitto in una relazione extraconiugale e Banderas è il proprietario di una galleria d´arte».
Insomma, anche stavolta Woody Allen valorizzerà il talento di un gruppo di attori eccezionali.
«Sono anni che continuano a interrogarmi sulle performance meravigliose compiute dagli interpreti dei miei film, e quando rispondo quel che sto per dirle suppongono che io stia giocando o che voglia schermirmi, ma non è così. Io riesco a dirigere persone straordinarie che lo erano anche prima d´incontrarmi, hanno continuato a esserlo durante il mio film e saranno altrettanto grandiose nei film che faranno dopo il mio. Io non voglio incasinarli o confonderli. Li ingaggio e in seguito dico loro che sono liberi di andare. Si chiamano a collaborare bravi attori i quali leggono la sceneggiatura, la capiscono, ne colgono il senso ed è il motivo per cui accettano il lavoro. Poi si gira il film e tutto funziona alla grande. Io posso sembrare bravo nell´averli diretti, ma la verità è che se un regista riesce a lavorare con gli attori giusti ha già realizzato il 99 per cento del suo progetto».
Come si sente l´ultrasettantenne Allen? In lei predomina il tasso di soddisfazioni o d´infelicità?
«Mi è chiaro che la vita è breve, cattiva e gratuita. Il nostro pianeta è assillato da catastrofi e sventure e io non credo in niente, anzi: trovo la religione perniciosa, strumentalizzata dalla politica e trasformata in qualcosa che non ha più nulla a che vedere con chi s´interroga su Dio o sulla sua assenza. come se vivessimo braccati da un assassino che prima o poi giungerà a stanarci: corriamo tutti verso una fine inesorabile».