LUCA IEZZI, la Repubblica Affari&finanza 15/3/2010, 15 marzo 2010
QUEL PASTICCIACCIO BRUTTO DELLA CENTRALE DEL LATTE
Tutto da rifare. Per la Centrale del latte di Roma le lancette dell’orologio tornano indietro di tredici anni. La privatizzazione che animò le polemiche nella capitale per oltre due anni, con oltre 56 procedimenti amministrativi e un referendum popolare, rischia di dover ricominciare da zero. Non c’è pace per la società sopravvissuta senza grandi stravolgimenti ai maggiori scandali contabili italiani della storia: Cirio e Parmalat. Il Consiglio di Stato ha sentenziato che la privatizzazione del 1996 è da considerarsi nulla. Una decisione che ingarbuglia una matassa già inestricabile: «L’unica cosa che possiamo fare sulla base della sentenza spiega l’assessore al bilancio del comune di Roma Maurizio Leo è chiedere la restituzione delle azioni per esercitare i nostri diritti amministrativi e patrimoniali. Sappiamo che Parmalat è un’acquirente in buonafede e quindi a sua volta va tutelata, inevitabilmente il tribunale dovrà sciogliere alcuni nodi in sede di esecuzione della sentenza».
Quella che sicuramente si scioglie subito è l’alleanza tra il comune e Parmalat, attuale proprietario del 75% della centrale. Nella lunga battaglia legale durata dieci anni sono rimasti finora fianco a fianco nel difendere la validità della privatizzazione. Ora il sindaco Gianni Alemanno deve da una parte limitare i danni per le casse del Comune e dall’altra ha l’opportunità di trasformare la vicenda in un successo politico. L’azienda guidata da Enrico Bondi ha precisato subito che la proprietà non è in dubbio, l’acquisto dell’impianto romano è avvenuto, insieme ad altri asset, attraverso un aumento di capitale della finanziaria Eurolat e secondo il codice civile non può più essere contestato. Una tesi che sarà fatta valere nel prossimo, ormai inevitabile, round giudiziario della vicenda. Così come tornerà presto in tribunale la Ariete Fattoria Latte Sano, la società che chiese nel 2000 al Tar di annullare la privatizzazione e ha avuto finalmente ragione. Secondo i legali Parmalat, la Ariete ha ottenuto il diritto ad un risarcimento da parte del Comune, dal Campidoglio invece vogliono aspettare che un giudice spieghi a chi appartiene la maggioranza della società prima di fare qualunque passo verso il vincitore.
L’origine dei travagli della Centrale del Latte è ancora una volta da ricercarsi nel nefasto incrocio tra Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi: il Consiglio di Stato ha condannato la scelta dell’allora amministrazione comunale (sindaco Francesco Rutelli e assessore Linda Lanzillotta) che nel ”99 accettò l’uscita di Cirio. Dopo essersi aggiudicato la società per 80 miliardi di lire nel ”98, Sergio Cragnotti non avrebbe dovuto cedere la proprietà per almeno cinque anni, come stabilito dalla delibera di privatizzazione, ma dopo poco più di un anno rivendette tutto a Parmalat. Per la rottura del lockup Cirio pagò al Comune una penale di 16 miliardi di lire e il nuovo acquirente si impegnò al mantenimento del piano industriale.
Secondo i giudici amministrativi, «il Comune non aveva la disponibilità di transigere gli effetti (della norma sui cinque anni ndr), ponendo a base dell’accordo una clausola penale che rendeva del tutto inadeguato il patto di non alienazione ed accettando un risarcimento che, sebbene superiore rispetto a quello predeterminato nella penale (15 miliardi di lire), era comunque di gran lunga inferiore a quello all’origine stabilito (pari alla somma offerta, corrispondente ad 80 miliardi di lire) soprattutto se raffrontato al prezzo di vendita a Parmalat». Tanzi comprò l’intera Eurolat (i suoi molteplici marchi avevano il 30% del mercato italiano del latte fresco) per 765 miliardi di lire.
Alla base di una vendita frettolosa che non ha salvato né Cirio, né Parmalat, né ha assicurato un futuro tranquillo alla Centrale del Latte, c’era la necessità di Cragnotti di rientrare velocemente dai suoi debiti con la Banca di Roma, come ha spiegato lo stesso Tanzi a metà del febbraio ai giudici nel processo Cirio: «L’acquisto di Eurolat ci fu proposto da Sergio De Nicolais, allora dirigente della Banca di Roma. Ci fu una richiesta di circa 800900 miliardi di lire da parte di Sergio Cragnotti. Dopo la due diligence ci fu una nostra controfferta (la nostra valutazione era di 400500 miliardi) e alla fine ci fu l’intervento della Banca di Roma che ci fece capire che la trattativa andava chiusa a un certo prezzo. Ci fu detto anche di non far scattare la clausola che ci avrebbe permesso di rinegoziare il prezzo in caso di scostamento della redditività prevista rispetto a quella reale».
Ma non tutto si risolve nelle aule dei tribunali amministrativi, perché oltre alla "maledizione" di essere finita nelle spire di due bancarottieri, la Centrale del latte è ancora vittima di un "sogno": quello della romanità. Gli oltre 4000 allevatori locali che forniscono il latte ogni giorno hanno sempre considerato la Centrale come un patrimonio del territorio, molti di loro sono rimasti azionisti e il sogno di riconquista ha animato tutte le associazioni di agricoltori per almeno un decennio. Nessun sindaco ha mai avuto il coraggio contrastarlo apertamente, ma la forza del socio di riferimento Parmalat e la sua indisponibilità a passare la mano rendeva ogni iniziativa velleitaria. Gianni Alemanno aveva più volte alimentato il sogno di «ridare la centrale del latte agli allevatori». Si è rifiutato a febbraio di vendere il 6,6% ancora in mano al comune e al suo fianco si sono schierati anche le cooperative e si singoli imprenditori agricoli che attraverso Finlatte controllano un altro 16,6% (sono oltre 230 soci).
La buona gestione degli uomini di Bondi ha fatto crescere valore e fatturato: per il pacchetto Finlatte, Parmalat ha offerto solo un mese fa 23 milioni di euro, segno che l’intera società vale adesso intorno ai 150 milioni di euro. Denaro che né il comune, né gli imprenditori locali hanno mai mostrato di poter racimolare per poter far arrivare un’offerta a Collecchio.
Il Consiglio di Stato ora rende quel sogno più concreto: riottenendo il controllo della centrale e indicendo una nuova gara, Alemanno può in un sol colpo evitare di ripagare la Ariete latte sano, sconfessare la stagione delle privatizzazioni del centrosinistra e diventare un eroe per gli agricoltori. Un progetto politicamente allettante che dovrà fare i conti con la forza di Parmalat e i tempi lungi della giustizia.