Matteo Persivale, Corriere della Sera 13/03/2010, 13 marzo 2010
«EMOZIONATO DALLA FENICE? NON SONO COSI’ INTELLIGENTE»
Quando la Fenice venne distrutta da un incendio doloso nel 1996 (uno dei colpevoli uscì con l’ indulto, l’ altro dopo una lunga latitanza fece 16 mesi di carcere prima di ottenere la semilibertà), il teatro veneziano poté contare, tra i tanti amici che in tutto il mondo si attivarono per ricostruirla, anche su Woody Allen. Per lui, il cineasta più newyorchese di tutti, Venezia è sempre stata, con Parigi, una seconda casa. «Sono venuto a Venezia per la prima volta a cinquant’ anni e prima di arrivare, sull’ aereo, ero preso dalle angosce: non mi piaceva l’ idea di dover andare in giro con una gondola, o su una barca. Quando però mi sono trovato per la prima volta a solcare la laguna, il tempo melanconico, le emozioni del paesaggio, la gioia irrazionale che mi derivava dall’ esserci me l’ hanno fatta amare». E così Allen si impegnò nella promozione delle attività di raccolta di fondi e apparì perfino - allora, prima del matrimonio con la giovane Soon-Yi Previn, era ancora più riservato di adesso - in uno spot televisivo per promuovere, lui che ama il basket e il baseball, una partita di calcio per la Fenice. E’ tornato tante volte, il teatro nel quale è stato spesso spettatore di opere e concerti è stato ricostruito: ma ora Allen sta per salire sul palcoscenico della Fenice. Con i sei amici della sua New Orleans Jazz Band - si esibiscono insieme da decenni a New York - suonerà il clarinetto alla Fenice il 30 marzo (il 31 a Roma all’ Auditorium Parco della Musica: lo spettacolo fa parte di un tour europeo che toccherà Monaco, Amburgo, Berlino, Vienna, Ginevra, Barcellona). Con una carriera come la sua alle spalle, è comunque possibile avere un po’ di paura del palcoscenico, quando il palcoscenico è quello della Fenice? «Per essere intimidito dovrei essere più intelligente: non lo sono. La mia Orchestra ha suonato in tutta Europa, nelle più celebri e migliori sale da concerto e anche nei teatri lirici. Noi suoniamo il jazz di New Orleans: una musica che la gente segue, e ci supporta molto calorosamente e affettuosamente. In molte occasioni, i miei musicisti e io ci guardiamo intorno durante il concerto e ci stupiamo di quanto tutto sia così bello». Quando la Fenice venne distrutta dall’ incendio del 1996, lei che alla Fenice era spesso andato come spettatore si mise al lavoro con generosità per aiutare nella raccolta di fondi: aveva mai pensato allora di poter suonare un giorno nel teatro ricostruito? «Quando nel 1996 seppi del rogo, la notizia mi spezzò il cuore. Ammetto di essere molto emozionato. Mi capita di pensare al fatto che suonerò alla Fenice e capisco che è uno dei concerti a cui tengo di più». Oltre che amante della musica classica, lei è di recente diventato anche regista d’ opera («Gianni Schicchi»). Nel suo film «Match Point» l’ opera ha un ruolo centrale. Crede che suonare alla Fenice possa darle l’ idea per un nuovo film? «Non ho assolutamente idea di cosa aspettarmi dal fatto di suonare là. Le idee mi nascono in modo così irrazionale e spontaneo che non posso mai prevedere in anticipo come e quando nasceranno». Il suo tour europeo la porterà anche a Monaco, Berlino, Vienna, Barcellona, Roma... Ha già girato film in Europa, a Venezia, Londra e Barcellona. C’ è un progetto di tornare a girare ancora in Europa? «Al momento non vedo l’ ora di passare l’ estate a Parigi, ma sicuramente sarebbe altrettanto bello ed interessante girare a Roma, e anche fare un altro film a Venezia. Mi piacerebbe inoltre tornare a lavorare in Spagna. La mia speranza è che le città nelle quali lavoro diventino luoghi nei quali finirò per girare più di un film, in futuro. Come mi è capitato a Londra». Come si spiega la popolarità del jazz, e la passione a volte davvero totale che suscita in chi lo ama? «E’ una musica molto semplice, quasi primitiva, che comunica con spontaneità un senso di grande divertimento. E’ tutto il contrario di altri tipi di musica più paludata che, se non ti piace, ti fa sentire un po’ ignorante. E’ estremamente accessibile. E’ la sua forza». I musicisti jazz sono grandi improvvisatori: lei, prima di diventare regista, era un comico che si esibiva nei club e in tv. Come si riflettono la sua passione per il jazz e la sua esperienza di «stand-up comedian» nel suo modo di girare film? «Nei miei film la strada dell’ improvvisazione è fondamentale. Ignoriamo abitualmente il copione, improvvisando: ed è in questo senso che trovo similitudini con l’ essere musicista jazz o comico di cabaret. A quei tempi, nei club, improvvisavo e dialogavo con il pubblico». Matteo Persivale