Brosens Koen, Corriere della Sera 13/03/2010, 13 marzo 2010
QUEI TESSITORI DI SOGNI E CAPITALI
In città come Anversa, Bruges o Bruxelles si trovavano dei laboratori di arazzi che avevano al loro servizio dei tessitori specializzati. Questi cominciavano il loro apprendistato da giovanissimi, verso i dieci anni e spesso restavano al servizio dello stesso atelier per tutta la vita. Secondo la loro esperienza e abilità, venivano incaricati di realizzare alcune parti dell’ arazzo. Così, mentre i migliori tessitori si occupavano dei volti e di altre parti complesse e dettagliate, gli operai meno capaci tessevano le piante, gli alberi e gli elementi più semplici della composizione. Le condizioni in cui lavoravano erano molto dure. Gli arazzieri dovevano restare curvi sul loro lavoro per giorni interi e sappiamo dalle fonti che questa posizione provocava non soltanto dolore alla schiena e al collo, ma anche un disturbo cronico alla pancia e malattie agli occhi difficilmente curabili, se non addirittura incurabili. Una normale giornata di lavoro durava dall’ alba al tramonto, in altre parole, tanto quanto la luce del giorno e, naturalmente, la temperatura permettevano di tessere. Ma alcuni documenti d’ archivio ci rivelano che in caso di consegne urgenti, si poteva pure lavorare di notte alla luce delle candele, anche se questo era evitato il più possibile perché la lana, la seta e i cartoni si infiammavano facilmente. I padroni dei laboratori realizzarono rapidamente che non potevano sfruttare a oltranza il loro unico capitale umano, infatti, a partire dal XVI secolo in molti iniziarono a guardare all’ estero e i fiamminghi furono attirati verso quelle nuove manifatture che promettevano più alti guadagni. Di conseguenza, gli stipendi dei bravi tessitori divennero più che soddisfacenti. Inoltre, i padroni e gli arazzieri si riunirono sotto la stessa corporazione («ambacht»), in modo che esistesse un ambito istituzionale all’ interno del quale i due gruppi potessero intavolare un dialogo per risolvere o evitare i conflitti. I capi dei laboratori autorizzavano pure gli operai a riunirsi all’ interno delle «sieckbussen» e incoraggiavano in modo attivo le loro iscrizioni. Le «sieckbussen» erano delle associazioni professionali e fungevano anche da fondo di solidarietà: gli arazzieri pagavano ogni mese un importo relativamente basso (più o meno una giornata di lavoro) e il denaro raccolto serviva a sostituire il salario quando uno dei membri della «sieckbussen» si ammalava per molto tempo e rischiava di ritrovarsi in miseria. Infine, i tessitori avevano un certo numero di domeniche e giorni di festa durante i quali non potevano lavorare. La chiesa vegliava rigorosamente sull’ applicazione di questo divieto che riduceva il numero dei giorni lavorativi a 200-220 l’ anno. Ovviamente gli arazzieri avevano bisogno di luce per fare il loro minuzioso lavoro con precisione. Ecco perché, molto spesso, i telai si trovavano nelle soffitte delle case. Lì non esistevano muri interni e la luce del giorno circolava liberamente da una finestra all’ altra. I laboratori delle grandi città contavano da cinque a otto telai. E, siccome in media, tre arazzieri seduti vicini lavoravano a un solo telaio, si può dire che in laboratorio lavoravano da quindici a ventiquattro operai esperti e in più c’ era un certo numero di arazzieri che svolgevano il loro apprendistato. Generalmente, si calcola che un arazziere poteva tessere la superficie di una mano al giorno; la produzione di un arazzo di taglia media (più o meno di 3,8 metri di altezza su 5 metri di larghezza) durava circa da sei a otto mesi, secondo la complessità del cartone. Il padrone dell’ atelier doveva dunque disporre di un certo capitale per mantenere il funzionamento del suo laboratorio. Non c’ erano soltanto i costi legati al materiale e ai salari, ma bisognava anche investire nell’ acquisto dei cartoni per gli arazzi. Questi modelli in misura reale erano abbastanza cari: per esempio, nel XVIII secolo, una serie di cartoni costava molto più di una carrozza, il mezzo di trasporto per eccellenza dell’ élite cittadina. I cartoni non erano soltanto costosi ma anche delicati e venivano irrimediabilmente sciupati durante la tessitura. Alcuni documenti d’ archivio ci indicano che, dopo essere stati impiegati due o tre volte, i cartoni dovevano essere restaurati o riparati da artisti specializzati e questo, ovviamente, aveva un costo elevato. I committenti spesso erano lenti nei pagamenti e in alcuni casi le opere commissionate non venivano mai pagate: questo poteva significare il fallimento di un’ impresa. Spesso le amministrazioni comunali e le istanze del governo centrale sostenevano i laboratori con dei vantaggi finanziari e fiscali. E i sussidi erano più che giustificati essendo l’ industria dell’ arazzo una delle arterie vitali dell’ economia locale e regionale nelle Fiandre. D’ altronde, non erano soltanto i capi dei laboratori che finanziavano la produzione e la distribuzione degli arazzi fiamminghi, ma anche alcuni imprenditori che avevano costruito la loro fortuna nel commercio dei prodotto di lusso, come i gioielli o il vino. Loro avevano molto spesso degli stretti legami con la Corte o la nobiltà e appartenevano a una vasta rete commerciale internazionale, occupando un posizione strategica al crocevia dell’ offerta e della domanda. I produttori agiati di arazzi, i padroni dei laboratori e i commercianti facevano parte dell’ élite socio-economica della città e occupavano spesso delle posizioni importanti all’ interno del consiglio comunale. Le loro mogli a volte giocavano un ruolo importante nell’ impresa, erano coloro che, dietro la scena, si occupavano della parte amministrativa dei contratti con i fornitori e i clienti. Brosens Koen