Elvira Serra, Corriere della Sera 13/03/2010, 13 marzo 2010
NOI DAVANTI A QUESTE FOTO: UOMINI AFFAMATI CHE DIVORANO UN ELEFANTE
Noi che viviamo sicuri nelle nostre tiepide case, noi che troviamo tornando a sera il cibo caldo e visi amici: consideriamo se questo è un uomo, che con machete e ascia smembra un elefante morto, il corpo ancora caldo, le zanne d’ avorio abbandonate di lato sulla terra dura. Consideriamo se questa è una donna, che regge il secchio di plastica, guarda restando un passo indietro, incita il maschio con il suo fazzoletto colorato in testa. Consideriamo se questo è un bambino, con la maglietta sporca di sangue, le braccia rigide sui fianchi, lo sguardo serio e già adulto. Magari è irriverente scomodare Primo Levi di fronte alle immagini scattate da David Chancellor nel Gonarezhou National Park. Un elefante maschio giace senza vita nella savana, in mezzo al nulla. Pesa sei tonnellate, aveva settant’ anni. Dopo un quarto d’ ora arrivano gli abitanti del villaggio più vicino. In fila indiana. I bambini davanti. Seguono gli adulti. Con machete, asce, coltelli ricavati da vecchi barattoli di latta, secchi di plastica. Si spintonano, gridano. E cominciano a scuoiare l’ animale. Gli uomini sulla carcassa, le donne un passo indietro, a formare un cerchio. I piccoli guardano assiepati su un lato. Due cani smilzi accucciati lì vicino. In un’ ora e quarantasette minuti, racconterà il fotografo, dell’ elefante rimane solo lo scheletro. Poi neppure quello, le ossa sono tornate buone per fare il brodo. Il resto della carne è già stato portato nelle capanne, per essere essiccato e mangiato più avanti. Il villaggio, con questa insperata manna, può far festa per due settimane. «Ci scusiamo per queste foto, ma parlano con maggiore eloquenza di qualsiasi politico della drammatica condizione degli abitanti dello Zimbabwe colpiti dalla fame», ha scritto in testa alle immagini il Daily Mail. Un dramma, denuncia la Croce rossa, acuito sotto l’ interminabile governo del padre-padrone Robert Mugabe e aggravato da una siccità senza tregua: i raccolti renderanno appena 500 mila tonnellate di mais, meno di un terzo del fabbisogno dell’ intera nazione. La situazione è critica per 2,17 milioni di persone, un quarto della popolazione. «Il reportage colpisce noi occidentali che abbiamo lo stomaco pieno e siamo abituati a comprare con i soldi in tasca tutto quello che ci serve. Comprese le bistecche già avvolte nel cellophane, senza che ci domandiamo da dove arrivano, senza voler sapere in quale allevamento sono state fatte crescere in modo "disanimale" le mucche poi macellate. La nostra indignazione nasce da una falsa coscienza», commenta Francesco Remotti, docente di Antropologia culturale a Torino e già presidente del Centro studi africani. E anche il suo collega Stefano Allovio, della Statale di Milano, spiega l’ impatto degli scatti: «Potrebbero sembrare primitivi gli strumenti utilizzati per smembrare l’ animale, ma sono quelli che offre la tecnologia arretrata di quei luoghi». Antropologicamente, aggiunge, «non ci troviamo di fronte a degli uomini "primitivi". più selvaggio quando ci mettiamo seduti intorno a un tavolo di una cascina della Pianura padana e scuoiamo un maiale senza buttare via niente. Il documento fotografico di David Chancellor, invece, è interessante perché racconta come, in un territorio martoriato dalla fame, il ritrovamento di un tale ammasso di proteine animali diventi un’ occasione di festa». «Non c’ era nulla intorno, eppure sono arrivati a decine da ogni direzione in quindici minuti», si stupisce il fotoreporter. Ventiquattr’ ore dopo, nello stesso luogo dove giaceva l’ elefante, non è rimasta neanche una chiazza. Elvira Serra