Francesco Borgonovo, Libero 13/3/2010 Piero Buscaroli, Libero 3/3/2010, 13 marzo 2010
IL PASSATO FA LITIGARE BUSCAROLI E CALABRESI
Quello di Piero Buscaroli è uno dei nomi più noti del giornalismo italiano. Musicologo fra i più importanti del nostro Paese, ha diretto il quotidiano ”Roma”, ha firmato sul Borghese di Leo Longanesi e fu chiamato al Giornale di Indro Montanelli. Viene considerato un monumento della cultura italiana ”di destra” (per usare una categoria che probabilmente gli starebbe stretta) e di certo rimane uno degli intellettuali italiani di maggior rilievo, anche se le sue posizioni di «fascista deluso», come si è definito, non piacciono a molti.
Ancora oggi che è prossimo agli ottanta (è nato a Imola nel 1930), si trova al centro di una polemica, la quale coinvolge anche La Stampa e il suo direttore Mario Calabresi. Il quotidiano torinese ha pubblicato parole dure su Buscaroli in occasione dell’uscita del suo nuovo libro, intitolato Dalla parte dei vinti (Mondadori). Si tratta di uno splendido volume autobiografico, una sorta di compendio di un’esistenza varia e entusiasmante, trascorsa su rive politiche e culturali non certo comode. In risposta all’affondo della Stampa, il musicologo ha scritto e diffuso una lettera indirizzata a Calabresi che definire infuocata è poco. Ne riportiamo, nella pagina a fianco, alcuni passaggi.
La vicenda
Ma andiamo con ordine e spieghiamo bene la vicenda. Il 6 febbraio, poco dopo l’uscita di Dalla parte dei vinti, Tuttolibri della Stampa pubblica un’intervista a Buscaroli realizzata da Bruno Quaranta. Titolo tagliente: «Non voglio sapere se questo è un uomo». Il cronista del quotidiano torinese chiede al musicologo se abbia letto Se questo è un uomo di Primo Levi. E lui risponde di no. «Ritengo che Hitler non sapesse. Ma non mi si annoveri tra i negazionisti», spiega Buscaroli in una risposta. E aggiunge poco dopo di non aver voluto leggere nemmeno le memorie degli ex fascisti: «Non ho voluto leggere nulla per non inquinare le mie idee e la mia lingua».
L’intervista, però, non passa inosservata. Su internet si scatena immediatamente un dibattito. La posizione dominante è che Buscaroli è fascista, quindi male ha fatto La Stampa a intervistarlo. «Possiamo chiedere che ci vengano risparmiati i suoi deliri filofascisti e negazionisti?», scrive Umberto Fiori sulla rivista online NazioneIndiana.
Ed ecco che qualche giorno dopo, il 13 febbraio, su Tuttolibri compare un editoriale firmato dallo scrittore Ferdinando Camon, intitolato a mo’ di spiegazione «Perché guardiamo in faccia Buscaroli».
«Il Mein Kampf di Hitler fu edito in Italia alcuni anni fa da una casa editrice ultracomunista», inizia l’articolo, «Riforma dello Stato di Armando Cossutta. Era un libro tabù, nessuno lo stampava, nessuno poteva leggerlo. Cossutta ha fatto un servizio alla democrazia e ha gravemente nuociuto al nazismo». Poco oltre, Camon sostiene: «Ci sono sempre filo-fascisti e filo-nazisti che ripetono sempre la stessa autodifesa: non solo i tedeschi non sapevano, ma nemmeno Hitler sapeva dei lager. L’ultimo filofascista di questa corrente è il musicologo Piero Buscaroli (...). Levi lo ascolterebbe con spasmodica attenzione: aspettava queste risposte, è il nemico che parla, finalmente puoi conoscerlo. Lui ignora i tuoi libri,
si rifiuta di leggerli, se potesse li brucerebbe». Sul Giornale, Luigi Mascheroni ha definito la risposta di Camon una «excusatio non petita. Una manifesta (auto)difesa per compiacere il pubblico pagante». E ha sollevato l’annosa questione: si può parlare con il ”nemico ideologico”? Si può pubblicare un’intervista a un ”fascista”?
Manco a dirlo, l’articolo di Camon ha fatto infuriare Buscaroli. Il musicologo ha scritto una lettera e l’ha resa nota al pubblico il 9 marzo scorso, durante una presentazione del suo libro a Bologna. «C’erano duecento persone», spiega a Libero, «e ho distribuito circa cento copie della lettera. L’ho spedita a Mario Calabresi quel giorno. E la leggerò anche domenica alle 18, durante una
presentazione ad Acqui Terme».
Replica infuocata
Il testo della missiva, che potete leggere, non lascia spazio per i dubbi: «Un tale Camon mi dedicò una striscia illeggibile di letteruzze in corpo sei annegate in una pozza di catrame (in gergo, ”negativo”) dal titolo: ”Perché guardiamo in
faccia Buscaroli”; e invece parlava di ”Mein Kampf”, che non ho scritto io». Rivolgendosi a Calabresi, il musicologo prosegue: «Ma lei un motivo per guardare in faccia Buscaroli l’avrebbe».
Quale sia il motivo lo spiega a Libero: alla morte del commissario Luigi Calabresi, padre di Mario, lui era direttore del quotidiano napoletano ”Roma”. Organizzò una sottoscrizione, mobilitò i suoi lettori e fece realizzare una grossa medaglia celebrativa del tutore della legge ucciso da Lotta continua. Poi chiese alla propria moglie di consegnarla alla famiglia di Calabresi.
«Lo feci, certo, per aumentare la diffusione del giornale, ma soprattutto per riempire un vuoto psicologico in un momento in cui tutti davano addosso alla polizia e a Calabresi, chiamato dagli intellettuali assassino». L’opera fu realizzata dallo scultore Messina, il quale replicò in grandi dimensioni una medaglia storica napoletana.
«Lo annunciai ai miei lettori, più che trasparente fui ostentato», dice Buscaroli, «ero il solo direttore in grado di offrire l’ostentazione della sua amicizia alla polizia accusata in quel momento di assassinio. E raccolsi l’entusiasmo di chi seguiva il giornale. Facemmo questa medaglia stupenda, di peso e di grandezza circa quattro volte superiore a una comune medaglia al valore. Avevo una moglie che allora era molto giovane e la pregai da Napoli di andare a nome mio dalla signora Calabresi». Buscaroli si dice anche certo che Calabresi provi imbarazzo a ricordare l’episodio, perché potrebbe risultare sgradito «ai compagni di sinistra con i quali sta ora».
Il clima italiano
«Rimango colpito da questa lettera di Buscaroli, il quale mi attribuisce una serie di attenzioni nei suoi confronti che francamente non ho mai avuto», spiega a Libero Mario Calabresi. «Ho visto l’intervista, gli abbiamo concesso un’intera pagina. Tuttolibri ha una sua autonomia, non viene militarmente controllato da me. Ed è curioso che dopo aver concesso a Buscaroli quello spazio abbiamo ricevuto numerose lettere di protesta dai lettori. PurtroppoinItaliac’èunmalcostume per cui chiunque abbia qualcosa da ridire sulla Stampa deve tirare in mezzo mio padre: non si capisce che cosa c’entri. La stessa cosa capita anche all’estrema sinistra. Sono di questi giorni volantini e scritte contro di me che fanno riferimento a lui. Ringrazio Buscaroli per quello che fece negli anni Settanta per la memoria di mio padre. E lo voglio rassicurare sul fatto che mia madre me lo raccontò e ne era rimasta colpita. Ma non capisco come questo lo autorizzi oggi ad insultarmi».
Lo scambio di battute tra Calabresi e Buscaroli probabilmente finirà qui. Resta aperta la questione: col nemico ideologico ci si deve confrontare? E in che misura?
Francesco Borgonovo, Libero 13/3/2010
LETTERA DI BUSCAROLI
Signor Calabresi, ai primi di febbraio la Mondadori mi avvertì che lei mi mandava un giornalista, Quaranta, a parlare di ”Dalla parte dei vinti”, appena uscito. E subito arrivò un tipo pieno di capelli gialli, sicuro di sé. Dal suo ”diario di lettura” non mi aspettavo tenerezze, ma correttezza sì. Non ne trovai, fin dal titolo che mi figurava spietato a proclamare : ”Non voglio sapere se questo è un uomo!”. Falso e peggio, ridicolo. M’aspettavo d’essere interrogato sui casi della mia vita, non sulle mie letture. Quando m’arrivano domande sguaiate come ”Ha letto questo o quello”, in stile di pubblica accusa, prendo un’aria contrita per omissione, mormoro accenni a future riparazioni, divago. Poi il Quaranta mi sparò impavido: «Beethoven è il suo opus magnus», e mi parve indiscreto osservare che opus è neutro e si deve dire magnum. (...) Lei cominciò a esagerare quando per suo incarico un tale Camon mi dedicò una striscia quasi illeggibile di letteruzze in corpo sei annegate in una pozza di catrame (in gergo, ”negativo”) dal titolo ”Perché guardiamo in faccia Buscaroli”; e invece parlava di ”Mein Kampf”, che non ho scritto io, e poi di un libro (o giornale, non si capisce) di un comunista, Cossutta, che «ha fatto un servizio alla democrazia e ha gravemente nuociuto al nazismo». (....) Ma lei un motivo concreto per guardare in faccia Buscaroli, l’avrebbe. Io sono quel direttore del ”Roma” che quando i suoi compagni d’oggi ammazzarono il Suo Babbo gridando «Calabresi assassino!», fece fondere una grande e pesante medaglia d’oro per la Sua mamma; persuase i lettori napoletani a mandare un bel mucchietto di denari, chiamò lo scultore Messina (lei non sa nemmeno chi fosse, il maggiore del secolo Ventesimo) a rifare il disegno e curare la fusione, senza i ”rimborsi” che per voi del giornalume sono sacri. E infine pregò, ancora una volta senza rimborsi, la giovanissima moglie di venire a Milano a portare la medaglia di persona perché la Sua mamma sentisse viva e vicina l’espressione d’affetto e gratitudine. Non intendevo certamente legare a me per i secoli uno ch’era allora tenero e piccino. Ma al posto suo, signor Direttore, avrei cercato di sapere qualcosa su quel lontano e obliato donatore, prima di bombardarlo con la carrettata d’idiozie e la mongolfiera d’immondizia che i suoi due interpreti hanno estratto dai cassonetti nel vano intento di offendermi o farmi piangere per la vergogna. (...)
Quello di Piero Buscaroli è uno dei nomi più noti del giornalismo italiano. Musicologo fra i più importanti del nostro Paese, ha diretto il quotidiano ”Roma”, ha firmato sul Borghese di Leo Longanesi e fu chiamato al Giornale di Indro Montanelli. Viene considerato un monumento della cultura italiana ”di destra” (per usare una categoria che probabilmente gli starebbe stretta) e di certo rimane uno degli intellettuali italiani di maggior rilievo, anche se le sue posizioni di «fascista deluso», come si è definito, non piacciono a molti.
Ancora oggi che è prossimo agli ottanta (è nato a Imola nel 1930), si trova al centro di una polemica, la quale coinvolge anche La Stampa e il suo direttore Mario Calabresi. Il quotidiano torinese ha pubblicato parole dure su Buscaroli in occasione dell’uscita del suo nuovo libro, intitolato Dalla parte dei vinti (Mondadori). Si tratta di uno splendido volume autobiografico, una sorta di compendio di un’esistenza varia e entusiasmante, trascorsa su rive politiche e culturali non certo comode. In risposta all’affondo della Stampa, il musicologo ha scritto e diffuso una lettera indirizzata a Calabresi che definire infuocata è poco. Ne riportiamo, nella pagina a fianco, alcuni passaggi.
La vicenda
Ma andiamo con ordine e spieghiamo bene la vicenda. Il 6 febbraio, poco dopo l’uscita di Dalla parte dei vinti, Tuttolibri della Stampa pubblica un’intervista a Buscaroli realizzata da Bruno Quaranta. Titolo tagliente: «Non voglio sapere se questo è un uomo». Il cronista del quotidiano torinese chiede al musicologo se abbia letto Se questo è un uomo di Primo Levi. E lui risponde di no. «Ritengo che Hitler non sapesse. Ma non mi si annoveri tra i negazionisti», spiega Buscaroli in una risposta. E aggiunge poco dopo di non aver voluto leggere nemmeno le memorie degli ex fascisti: «Non ho voluto leggere nulla per non inquinare le mie idee e la mia lingua».
L’intervista, però, non passa inosservata. Su internet si scatena immediatamente un dibattito. La posizione dominante è che Buscaroli è fascista, quindi male ha fatto La Stampa a intervistarlo. «Possiamo chiedere che ci vengano risparmiati i suoi deliri filofascisti e negazionisti?», scrive Umberto Fiori sulla rivista online NazioneIndiana.
Ed ecco che qualche giorno dopo, il 13 febbraio, su Tuttolibri compare un editoriale firmato dallo scrittore Ferdinando Camon, intitolato a mo’ di spiegazione «Perché guardiamo in faccia Buscaroli».
«Il Mein Kampf di Hitler fu edito in Italia alcuni anni fa da una casa editrice ultracomunista», inizia l’articolo, «Riforma dello Stato di Armando Cossutta. Era un libro tabù, nessuno lo stampava, nessuno poteva leggerlo. Cossutta ha fatto un servizio alla democrazia e ha gravemente nuociuto al nazismo». Poco oltre, Camon sostiene: «Ci sono sempre filo-fascisti e filo-nazisti che ripetono sempre la stessa autodifesa: non solo i tedeschi non sapevano, ma nemmeno Hitler sapeva dei lager. L’ultimo filofascista di questa corrente è il musicologo Piero Buscaroli (...). Levi lo ascolterebbe con spasmodica attenzione: aspettava queste risposte, è il nemico che parla, finalmente puoi conoscerlo. Lui ignora i tuoi libri,
si rifiuta di leggerli, se potesse li brucerebbe». Sul Giornale, Luigi Mascheroni ha definito la risposta di Camon una «excusatio non petita. Una manifesta (auto)difesa per compiacere il pubblico pagante». E ha sollevato l’annosa questione: si può parlare con il ”nemico ideologico”? Si può pubblicare un’intervista a un ”fascista”?
Manco a dirlo, l’articolo di Camon ha fatto infuriare Buscaroli. Il musicologo ha scritto una lettera e l’ha resa nota al pubblico il 9 marzo scorso, durante una presentazione del suo libro a Bologna. «C’erano duecento persone», spiega a Libero, «e ho distribuito circa cento copie della lettera. L’ho spedita a Mario Calabresi quel giorno. E la leggerò anche domenica alle 18, durante una
presentazione ad Acqui Terme».
Replica infuocata
Il testo della missiva, che potete leggere, non lascia spazio per i dubbi: «Un tale Camon mi dedicò una striscia illeggibile di letteruzze in corpo sei annegate in una pozza di catrame (in gergo, ”negativo”) dal titolo: ”Perché guardiamo in
faccia Buscaroli”; e invece parlava di ”Mein Kampf”, che non ho scritto io». Rivolgendosi a Calabresi, il musicologo prosegue: «Ma lei un motivo per guardare in faccia Buscaroli l’avrebbe».
Quale sia il motivo lo spiega a Libero: alla morte del commissario Luigi Calabresi, padre di Mario, lui era direttore del quotidiano napoletano ”Roma”. Organizzò una sottoscrizione, mobilitò i suoi lettori e fece realizzare una grossa medaglia celebrativa del tutore della legge ucciso da Lotta continua. Poi chiese alla propria moglie di consegnarla alla famiglia di Calabresi.
«Lo feci, certo, per aumentare la diffusione del giornale, ma soprattutto per riempire un vuoto psicologico in un momento in cui tutti davano addosso alla polizia e a Calabresi, chiamato dagli intellettuali assassino». L’opera fu realizzata dallo scultore Messina, il quale replicò in grandi dimensioni una medaglia storica napoletana.
«Lo annunciai ai miei lettori, più che trasparente fui ostentato», dice Buscaroli, «ero il solo direttore in grado di offrire l’ostentazione della sua amicizia alla polizia accusata in quel momento di assassinio. E raccolsi l’entusiasmo di chi seguiva il giornale. Facemmo questa medaglia stupenda, di peso e di grandezza circa quattro volte superiore a una comune medaglia al valore. Avevo una moglie che allora era molto giovane e la pregai da Napoli di andare a nome mio dalla signora Calabresi». Buscaroli si dice anche certo che Calabresi provi imbarazzo a ricordare l’episodio, perché potrebbe risultare sgradito «ai compagni di sinistra con i quali sta ora».
Il clima italiano
«Rimango colpito da questa lettera di Buscaroli, il quale mi attribuisce una serie di attenzioni nei suoi confronti che francamente non ho mai avuto», spiega a Libero Mario Calabresi. «Ho visto l’intervista, gli abbiamo concesso un’intera pagina. Tuttolibri ha una sua autonomia, non viene militarmente controllato da me. Ed è curioso che dopo aver concesso a Buscaroli quello spazio abbiamo ricevuto numerose lettere di protesta dai lettori. PurtroppoinItaliac’èunmalcostume per cui chiunque abbia qualcosa da ridire sulla Stampa deve tirare in mezzo mio padre: non si capisce che cosa c’entri. La stessa cosa capita anche all’estrema sinistra. Sono di questi giorni volantini e scritte contro di me che fanno riferimento a lui. Ringrazio Buscaroli per quello che fece negli anni Settanta per la memoria di mio padre. E lo voglio rassicurare sul fatto che mia madre me lo raccontò e ne era rimasta colpita. Ma non capisco come questo lo autorizzi oggi ad insultarmi».
Lo scambio di battute tra Calabresi e Buscaroli probabilmente finirà qui. Resta aperta la questione: col nemico ideologico ci si deve confrontare? E in che misura?
Francesco Borgonovo, Libero 13/3/2010
LETTERA DI BUSCAROLI
Signor Calabresi, ai primi di febbraio la Mondadori mi avvertì che lei mi mandava un giornalista, Quaranta, a parlare di ”Dalla parte dei vinti”, appena uscito. E subito arrivò un tipo pieno di capelli gialli, sicuro di sé. Dal suo ”diario di lettura” non mi aspettavo tenerezze, ma correttezza sì. Non ne trovai, fin dal titolo che mi figurava spietato a proclamare : ”Non voglio sapere se questo è un uomo!”. Falso e peggio, ridicolo. M’aspettavo d’essere interrogato sui casi della mia vita, non sulle mie letture. Quando m’arrivano domande sguaiate come ”Ha letto questo o quello”, in stile di pubblica accusa, prendo un’aria contrita per omissione, mormoro accenni a future riparazioni, divago. Poi il Quaranta mi sparò impavido: «Beethoven è il suo opus magnus», e mi parve indiscreto osservare che opus è neutro e si deve dire magnum. (...) Lei cominciò a esagerare quando per suo incarico un tale Camon mi dedicò una striscia quasi illeggibile di letteruzze in corpo sei annegate in una pozza di catrame (in gergo, ”negativo”) dal titolo ”Perché guardiamo in faccia Buscaroli”; e invece parlava di ”Mein Kampf”, che non ho scritto io, e poi di un libro (o giornale, non si capisce) di un comunista, Cossutta, che «ha fatto un servizio alla democrazia e ha gravemente nuociuto al nazismo». (....) Ma lei un motivo concreto per guardare in faccia Buscaroli, l’avrebbe. Io sono quel direttore del ”Roma” che quando i suoi compagni d’oggi ammazzarono il Suo Babbo gridando «Calabresi assassino!», fece fondere una grande e pesante medaglia d’oro per la Sua mamma; persuase i lettori napoletani a mandare un bel mucchietto di denari, chiamò lo scultore Messina (lei non sa nemmeno chi fosse, il maggiore del secolo Ventesimo) a rifare il disegno e curare la fusione, senza i ”rimborsi” che per voi del giornalume sono sacri. E infine pregò, ancora una volta senza rimborsi, la giovanissima moglie di venire a Milano a portare la medaglia di persona perché la Sua mamma sentisse viva e vicina l’espressione d’affetto e gratitudine. Non intendevo certamente legare a me per i secoli uno ch’era allora tenero e piccino. Ma al posto suo, signor Direttore, avrei cercato di sapere qualcosa su quel lontano e obliato donatore, prima di bombardarlo con la carrettata d’idiozie e la mongolfiera d’immondizia che i suoi due interpreti hanno estratto dai cassonetti nel vano intento di offendermi o farmi piangere per la vergogna. (...)
Piero Buscaroli, Libero 3/3/2010