Paolo Bricco, Marco Alfieri, Il Sole-24 Ore 13/3/2010;, 13 marzo 2010
SFUMATURE VERDI NELLA FINANZA BIANCA
«Finanza bianca? Macché finanza bianca. Se mai è esistita, adesso non c’è più. Ci sono piuttosto gruppi di potere, territoriali e post-politici, che si stanno riposizionando. normale: i limiti dimostrati dalla Bce nella gestione del caso Grecia provocano un aumento dell’importanza delle dimensioni nazionali, se non locali. Inoltre, in Italia gli equilibri di sistema stanno gradualmente cambiando. E il potere bancario tende a riallinearsi».
Giulio Sapelli,storico dell’economia spesso prestato ai Cda (Eni,Unicredit banca d’impresa e Fondazione Mps), si definisce con un filo di autoironia un cattolico sanfedista. Sulla fine di una finanza bianca, concepita secondo i criteri della Prima Repubblica, il professore avrà anche ragione: forse il richiamo aveva un senso quando la politica contava di più, ben prima dell’avventurismo di un cattolicissimo Gianpiero Fiorani da Lodi. Quando un signore di mondo, Nino Andreatta, da ministro Dc del Tesoro nel primo Governo Spadolini, di concerto con il laicissimo governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi, poteva nel 1982 chiamare uno sconosciuto avvocato bresciano, Giovanni Bazoli, a presiedere la ricostruzione del Banco Ambrosiano. Ma, certo, la finanza chiamiamola post-democristiana non è mai stata così attiva come in questi mesi.L’obiettivo primo, in fondo, è riempire i vuoti nel gioco della rappresentanza degli interessi e nell’erogazione del credito che, dopo le grandi fusioni bancarie, ha penalizzato soprattutto le piccole aziende. Anche se, oggi, la debolezza riguarda tutto il rapporto fra credito e imprese: per l’Abi,nel 2009 le sofferenze complessive sono salite del 34,4% e, quest’anno, dovrebbero aumentare del 27 per cento.
In uno scenario tanto complesso, la spinta a occupare i nuovi spazi contempla naturalmente uno sguardo alla politica: in un rapporto dialettico di cooperazione/competizione con l’asse Tremonti-Lega, che dal voto di fine mese dovrebbe uscire più egemone e aggressivo in tutto il nord. Nel frattempo, è emersa la nuova centralità delle Bcc, sempre più concorrenti delle fondazioni nel presidio di un territorio in cui le grandi aggregazioni nate da operazioni di potere formidabili fanno fatica a servire il capitalismo diffuso italiano. Credito cooperativo, anch’esso di antica matrice cattolica (nacque dalle collette dei preti di campagna), su cui il ministro dell’Economia conta per il progettodi Banca del Sud, ma che inizia a sentire l’affanno di una crescita rapida: nei 12 mesi terminati al giugno del 2009 le sofferenze sono salite del 30,1%. Dunque, la dialettica fra i protagonisti in gioco non è affatto semplice. «Certamente – continua Sapelli con una osservazione di sistema ”il blocco prodiano aveva nominato i banchieri, ma alla fine ne era almeno psicologicamente succube. Tremonti, per usare un eufemismo, è autonomo da loro».
Nel Nordovest, intanto, la Fondazione Carige di Genova si è alleata con la Fondazione Cassa di Risparmio di Torino: l’obiettivo è colmare l’horror vacui bancario che affligge i torinesi da quando nel 2001 hanno perso la Crt, confluita in Unicredit, e che si è acuito tre anni fa, allorché tutte le deleghe operative, poche settimane dopo la fusione fra Sanpaolo e Intesa, sono state attratte come un magnete da Milano. Il nome scelto per la nuova banca è, quasi provocatoriamente, Cassa di risparmio di Torino:almeno l’acronimo, Carito, sarà diverso dalla vecchia Crt. Una quarantina di sportelli conferiti da Carige, che avrà il 60% della banca, e 400 milioni di euro apportati dai torinesi. Pontiere dell’operazione è il basso piemontese Cavalier Flavio Repetto, industriale del cioccolato e presidente della Fondazione Carige, uomo con relazioni in Mediobanca e nella famiglia Gavio, oltre che con l’alessandrino Fabrizio Palenzona, Dc a tutto tondo e deus ex machina della Fondazione Crt (dato in corsa per il vertice di piazzetta Cuccia o di piazza Cordusio): capace di andare d’accordo con un arco di personaggi che spazia da Cesare Geronzie Silvio Berlusconi fino a Bruno Tabacci e il Pd. E capace di puntellare Alessandro Profumo in Unicredit e, insieme, di ispirare una banca concorrente dentro al perimetro del vecchio triangolo industriale. «Nei tempi di mezzo, la scena è tutta per gli uomini di relazione», chiosa un acuto banchiere cattolico come Roberto Mazzotta.
Nel frattempo a Genova, dove l’attuale segretario di Stato del Vaticano Cardinal Tarcisio Bertone è stato fino al 2006 arcivescovo e dove l’attuale presidente della Cei Angelo Bagnasco è tuttora arcivescovo, l’Istituto per le opere di religione ha sottoscritto un prestito obbligazionario da 100 milioni: un bond che, se convertito fra 18 mesi, consentirà allo Ior di avere in portafoglio il 2,3% della banca ligure. Una operazione identica, ma per un valore di 60 milioni, è stata effettuata contemporaneamente dalla Fondazione Crt, potenziale titolare dell’ 1,4 per cento.
Dunque un ritorno quasi obbligato al localismo dopo la stagione del gigantismo apolide. Un back to back pilotato da fondazioni a corto di dividendi chiamate sempre più ad intervenire sulle articolazioni territoriali dei grandi istituti di cui sono azionisti decisivi, non di rado in contraddizione con le strategie del management. In alcuni casi, come Carito, vengono creati istituti ex novo sfruttando le praterie lasciate sgombre dalle fusioni. In altri casi, la fronda affiora più sfumata ma altrettanto evidente: è il caso del Veneto, l’ex sacrestia d’Italia,in cui sono lontani i tempi in cui le curie decidevano tutto e la Banca cattolica del Veneto di Secondo Piovesan fungeva da banca centrale delle casse rurali. Tuttavia il telaio resta: gli statuti delle fondazioni bancarie locali finite in pancia ai big player milanesi, la Padova e la Verona, assegnano ancora dei posti di nomina vescovile. La curia dice la sua nel riparto dei fondi per asili, restauri, ed enti caritatevoli. Ma soprattutto sono gli equilibri a mutare nell’era del leghismo egemone:qualche giorno fa, il candidato alla regione, Luca Zaia, ha ”gentilmente” invitato le fondazioni locali dentro Unicredit (Cariverona e Cassamarca), vere cassaforti del bancone europeo, a ribellarsi al "dottor" Profumo, entrato colpevolmente nel briccocomitato pro olimpiadi di Roma in contrasto alla sfida veneziana.
In questo scenario in cui tanti attori giocano ad immaginare una Terza Repubblica, siamo forse alle prime mosse, magari scollegate, di un nuovo, possibile, riassetto di potere della galassia del Nord. «Per alcuni anni c’è stato un quasi monopolio berlusconiano sulle scelte e sulle poltrone che contano», racconta un importante banchiere di sponda laica. «La nomina del bazoliano Giovanni Gorno Tempini in Cassa depositi e prestiti, alla vigilia di un decisivo giro di nomine nei grandi santuari finanziari del paese, rompe invece questo schema. la prima stecca al coro». Naturalmente c’è uno spruzzo di autotutela, in questa scelta: «Dal punto di vista industriale il nuovo ad sarà meno intransigente dell’uscente Varazzani sulle operazioni costose come lo sviluppo delle reti infrastrutturali, su cui i grandi gruppi bancari sono esposti e hanno bisogno del bollino di garanzia della Cassa», ragiona un influente banchiere cattolico. «Ma è evidente che l’approdo di Gorno in Cdp è anche la celebrazione di amorosi sensi tra la galassia bianca milanese e il ministro Tremonti».
Il segnale che le cose cominciano a rimettersi in manovra saldando un asse inedito tra scampoli della ex balena che tornano a raccordarsi, dopo molte incomprensioni: da un lato il post conciliare Bazoli, dall’altro il conservatore e botiniano Gotti Tedeschi più à la page nel nuovo corso Oltretevere, presidente della banca vaticana e consigliere in Cdp. In mezzo, a fare cerniera, c’è soprattutto il presidente della fondazione Cariplo e dell’Acri,Giuseppe Guzzetti. Asse inedito perché l’arrivo di Gotti allo Ior qualche mese fa si è perfezionato nonostante i dubbi del presidente del CdS di Intesa Sanpaolo. Invece il nuovo orizzonte mostra come la pax religiosa della diaspora post Dc, attraverso Guzzetti, già senatore eletto nel collegio ”padanissimo”Cantù-Malnate nonché relatore a Palazzo Madama della legge 142/90 sul riassetto degli enti locali, si stia ricomponendo. Non era affatto scontato. Lo scenario, come detto, guarda a quello strano Godot che si chiama post Berlusconi e investe i miasmi di un Pdl in crisi di nervi e gli stessi sommovimenti di Tremonti e della Lega, cresciuta troppo per non essere un attore di mediazione obbligata, favorita dai buoni rapporti tra la nuova chiesa di Tarcisio Bertone, lo Ior e il Carroccio. Finora al partitone verde è bastato un po’ di sottogoverno,vorace ma artigianale.Al limite l’ambizione finita male di farsi una banchetta (Credieuronord). Oggi è diverso. I dossier tipici della galassia del nord sono saldamente al centro delle sue trame. Il ruolo di Giancarlo Giorgetti è lì a dimostrarlo, mentre il fido Marcello Sala, oggi consigliere di Intesa San Paolo in quota Lega, potrebbe approdare al fondo per le Pmi misto Cdp e grandi banche.
Non è un caso che siano stati proprio i vecchi Dc, oggi al vertice della finanza e abituati dopo Tangentopoli a dover navigare sfusi e senza partito, i primi a capire il vento nuovo. Da Fabrizio Palenzona a Massimo Ponzellini, tutti in scia al precedente di Guzzetti, che da 13 anni guida con sapiente mediazione, non di rado cripto-leghista, la Fondazione Cariplo, azionista forte di Intesa Sanpaolo. Cooperazione/competizione, insomma. Da un lato arginare il Carroccio, dall’altro cavalcarlo in chiave post Berlusconi.
Anche a sinistra è una valle di lacrime: il Pd non è mai davvero nato agli occhi della ricostituenda finanza post Dc: Bersani è bravo ma viene dai comunisti. Gli ex diccì, invece, si ritengono possessori di un certo tratto di eternità, potenza del marchio. Tutto passa, tranne loro... Superando così di slancio la stagione eroica del mercatismo egemone, privatizzazioni & legalità. L’asse con Tremonti nasce anche da qui. Si torna a protagonisti di un’altra stagione ma si scarta rispetto al familismo berlusconiano. Abbozzando un percorso non troppo coincidente con l’altra corrente carsica italiana: il presunto grande centro, il miraggio del «partito della borghesia». Un veterano del crocevia politica e affari come Bruno Tabacci è scettico sul ritorno della ”balena”finanziaria: «Durante il quinquennio 2001- 2006, quando Berlusconi non aveva ancora penetrato il salotto buono della finanza, i cosiddetti poteri forti potevano anche sembrare portatori di un messaggio originale », spiega l’esponente dell’Api «Ma non credo che, il dopo Cavaliere, siano in grado di deciderlo loro da soli». E sullo sfondo, sul Roma- Siena-Trieste, si staglia la sagoma di Francesco Gaetano Caltagirone, «l’uomo più liquido d’Italia ». E questa, per ora, è un’altra storia.