Lucia Esposito, Libero 11/3/2010, 11 marzo 2010
CHE ERRORE LA BARBIE NERA
La verità è che la Barbie nera non piace. Non è una questione di pelle e non c’entra il razzismo: il fatto è che Barbie è Barbie, con i capelli lisci e lunghi color del grano e gli occhi brillanti come turchesi. Generazioni di bambine sono cresciute sperando di poter miracolosamente diventare come lei: alta, magra, bionda, con gli occhi azzurri, il naso all’insu come il seno e il sedere che svetta su due chilometri di gambe. E pazienza se non hai nessuna chance genetica: il sogno è tra le tue mani, col suo guardaroba pieno di vestiti da principessa, la casa con l’ascensore, la villa con la piscina, la consolle piena di trucchi e gioielli e l’ eterno fidanzato Ken, un prototipo che mai abbiamo visto incarnarsi in un uomo e che per questo è rimasto un sogno di plastica.
LOGICHE DI MERCATO
Ora accade che l’America è scandalizzata e grida al razzismo perché la catena di distribuzione Wal-Mart ha deciso di vendere a metà prezzo Therese, la Barbie con gli occhi nocciola e i capelli neri. Le comunità afro-americane accusano i grandi magazzini di aver praticato uno sconto discriminatorio, il razzismo applicato al commercio, un modo per dire che la Barbie nera vale meno e, quindi, viene svenduta. Proprio adesso che alla Casa Bianca ci sono non una ma quattro donne di colore capitanate dalla possente Michelle Obama che ha avuto il coraggio di mostrare le sue gambe da soldatessa e i polpacci da Maradona sotto un paio di short e che porta in giro con disinvoltura i suoi fianchi da fattrice. Sua madre Marian Robinson, 73 anni, che veglia sul Presidente come solo una suocera sa fare e le due piccole Sasha e Malia, in età da Barbie (chissà se bianca o di colore...).
La verità è che il marketing ha le sue leggi che poco hanno a che vedere col politicamente corretto, con le scelte elettorali e con il quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti.
La portavoce del gruppo, Melissa O’Brien, ha precisato che la svendita delle Barbie (tre dollari contro i cinque e novanta della versione bianca) è stata decisa solo in Alabama e che è stata dettata esclusivamente da ragioni commerciali. «Indirettamente si sminuisce il valore delle persone di colore», protesta furiosamente Thelma Dye, afroamericana, direttrice del Northside Center for Child Development, un’organizzazione non-profit con sede ad Harlem, New York. « un messaggio pericoloso».
CINQUANT’ANNI
La catena di distribuzione Wal-Mart respinge le accuse e liquida la questione come una normale operazione di marketing per vendere gli ultimi
prodotti della stagione invernale. «Bisogna preparare la nostra offerta per la primavera e terminare le scorte», ha precisato Melissa O’Brien. «Abbiamo abbassato il prezzo della bambola nera per aumentare le vendite, fino a questo momento non molto alte».
La Barbie nera non piace alle bimbe bianche non perché sia meno bella, semplicemente perché è diversa da quel modello
di donna e di giocattolo che si tramanda di madre in figlia da mezzo secolo, sappiamo che non è bello dire l’età delle signore, ma Barbie può permettersi anche questo: martedì scorso ha spento cinquantuno candeline. La bambola di colore è lontana anche dalla cultura e dal modello femminile delle piccole afro-americane. « un tipo di donna molto diverso da quello con cui si confrontano le bimbe nere: i fianchi stretti, i capelli lisci...», spiega Pasqualino Demitri, pedagogista clinico e consulente tecnico peritale convinto che il razzismo non c’entra: «Qui c’è un errore commerciale che è quello di chiamare Barbie una bambola di colore che nasce bianca. I meccanismi del gioco sono mediati dal fattore pubblicitario. Quello che è successo per la Barbie vale anche per Cicciobello: da anni è in vendita anche quello di colore, ma certamente non ha mai avuto il successo di quello bianco».
IL MITO E IL SOGNO
Anche le piccole di colore preferiscono abbracciare il sogno di una Barbie bionda e con gli occhi azzurri che è diventata un mito, esattamente come Marilyn Monroe e Brigitte Bardot. Per questo decine di Barbie colorate occhieggiano ancora dagli scaffali di Wal-Mart, in attesa che qualche mano di bimba le porti via.
Lucia Esposito, Libero 11/3/2010