Alberto Brambilla, Il Riformista 11/3/2010, 11 marzo 2010
L’ENORME POTENZIALE DEL MADE IN INTERNET
Le web radio sono una realtà recente nel panorama italiano, con un potenziale enorme ma poco sfruttato. Il loro sviluppo è andato di pari passo con quello della rete, e soprattutto con la velocità di trasmissione. Ormai lo scambio di dati, contenuti e musica è immediato e lo spazio di crescita del business è sempre più ampio.
Nei primi anni Duemila le emittenti online si muovevano nel sottobosco della rete: pochi utenti in grado di crearle, ancora meno quelli in grado di sfruttarle. Nel 2004 è arrivato il boom, sia dell’espansione amatoriale che commerciale. La crescita è dovuta anche all’abbattimento dei costi, fattore per niente marginale.
Sette anni fa per mettere in piedi una struttura in grado di funzionare e generare introiti, per la verità allora prossimi allo zero, erano necessari dai 25mila ai 30mila euro. Oggi per un’attività amatoriale ne bastano cinquecento, senza contare l’attrezzatura. Per avviare una radio istituzionale, legata per esempio a un partito, servono circa 2mila euro (la web radio del Pd è stata una delle prime ben strutturate in Italia, nata nel dicembre del 2008, sull’onda dell’Obama-mania, e chiusa dopo sei mesi di sperimentazione). Per una commerciale, invece, si sale fino a 2.500 euro l’anno. Il conto è dovuto all’acquisto di banda per lo streaming, il flusso di dati in rete, e al pagamento dei diritti d’autore alla Siae o alla Scf (Società consultive fotografiche).
Nel 2005 è nata la Wra, l’Associazione delle web radio, che al momento raggruppa oltre 230 realtà. L’obiettivo del presidente Patrick Domanico è sviluppare il business e agevolare l’ingresso di nuovi attori nel mercato «in un’ottica di concorrenza e condivisione, tipica della rete». Domanico rileva che c’è ancora diffidenza da parte degli investitori a causa della scarsa percezione dei numeri, e degli ascolti, cui si aggiunge il vuoto normativo italiano.
Da dicembre la Wra ha contribuito alla creazione di Audiweb: un database che offre statistiche delle radio associate per favorire la trasparenza e attrarre capitali, ma la burocrazia non agevola le cose. Infatti, alla camera di commercio non esiste un codice per questa attività e gli imprenditori si costituiscono come «agenzia pubblicitaria sul web». Il potenziale, però, è imponente anche in termini commerciali. Internet va oltre all’emittenza dell’antenna e offre maggiori possibilità di fare affari per aziende e operatori: «Stiamo studiando una licenza per vendere musica direttamente dalla radio - spiega Domanico -, un sistema che potrebbe attrarre le stesse case discografiche, magari interessate a commerciare brani fuori catalogo o introvabili su supporto fisico».
Lo scenario comunque è vastissimo. Le grandi case radiofoniche hanno avviato progetti di web radio affiancando la programmazione tradizionale alla creazione di emittenti tematiche e temporanee che durano lo spazio di un evento. Radio Deejay, in media la seconda radio più ascoltata in Italia (dati audiradio 2009), usa questa strategia: diretta e repliche del palinsesto Fm, più trasmissioni dedicate, come quella di San Valentino. Ma il movimento è partito dal basso ed è lì che ancora trova linfa.
Le università hanno svolto un ruolo chiave nello sviluppo del sistema e oggi quaranta atenei hanno la propria radio online, una nicchia no profit molto vivace. Tutto è partito dieci anni fa da realtà locali come Siena, Verona, Padova, Teramo e Cosenza grazie alla volontà degli studenti che hanno chiesto finanziamenti per cominciare l’attività. Un processo che ha portato allo sviluppo di un vero e proprio laboratorio di idee. Staccati dalle esigenze commerciali i ragazzi hanno potuto sperimentare nuovi linguaggi e format, senza badare alla ”prova dell’ascolto” e della pubblicità, vietata negli atenei. Ma a causa dei tagli all’istruzione sopravvivere è diventato più difficile. Con costi forfettari superiori ai mille euro all’anno e senza entrate, gli studenti hanno trovato nuove modalità di finanziamento. Trento e Verona hanno costituito delle cooperative per dare continuità ai progetti, mentre Teramo si è legata alla fondazione privata dell’Università, grazie alla quale ha acquisito le frequenze di un’emittente locale. Diverso il caso delle radio della Bocconi di Milano o della Luiss di Roma, enti privati in grado di attrarre pubblicità e ottenere sostegno da parte delle aziende. Telecom Italia e Fiat, ad esempio, sono legate all’istituto capitolino.
Nel 2006 con l’esplosione del fenomeno universitario ha preso vita l’associazione Raduni, per aggregare e valorizzare le piccole realtà che si sono create nel corso degli anni. Da quell’esperienza è nata U-Station, una start-up in forma di Srl inserita nell’ambito del progetto Working capital di Telecom Italia. «L’obiettivo - spiega il responsabile per la comunicazione Romeo Perrotta - è promuovere i contenuti, creare opportunità per i producer di talento, rendere sostenibile lo sviluppo di radio, tv e magazine online e dare sostenibilità ai progetti», perché il capitale umano non venga disperso.
Se negli Stati Uniti colossi come la Cbs, network storico, e Aol, provider di servizi mail, hanno costruito un sistema di radio online con ricavi miliardari in doppia cifra, l’Italia ancora è molto indietro: il divario tecnologico si fa sentire. Tiziana Cavallo è pioniere nel settore. Pochi anni fa ha dato vita al progetto dell’Università di Verona e da scrittrice ha pubblicato il libro Radio Education (Fausto Lupetti editore, 2009). «Per una crescita sostenuta nel nostro Paese forse non è ancora tempo - commenta Cavallo -, non siamo molto computerizzati, e queste radio hanno il vincolo del collegamento alla rete, che allo stesso tempo è il loro punto di forza». Si può ascoltare una radio di Los Angeles da Roma e viceversa: «Un mondo di possibilità», aggiunge.
Solo di recente è sbarcata in Italia l’autoradio digitale con connessione senza fili (wi-fi) e da qui potrebbero nascere nuove opportunità, mentre «il mercato - dice Cavallo - si muove sempre di più verso la tematizzazione, che rappresenta la radio del futuro e la chiave del successo». Gli esempi ci sono. La catena di abbigliamento Coin ha già una propria radio interna e la compagnia Franklin&Marshall, negli ultimi tre anni, ha messo a punto una web radio. La tendenza è quella di una sempre maggior frammentazione, in cui ogni azienda potrà avere la propria stazione specializzata.
Alberto Brambilla, Il Riformista 11/3/2010