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 2010  marzo 11 Giovedì calendario

L’UGUAGLIANZA UN MITO CHE DANNEGGIA LA SALUTE DELLE DONNE

E così un altro 8 marzo è passato, fra le solite mimose - ma, almeno, abbiamo avuto la conferma che servono agli immigrati per fare un po’ di soldi! - e i soliti sfoggi di retorica, con le lamentele per il poco potere che tocca alle donne, e naturalmente per la loro modesta presenza nella sfera politica. Si è aggiunto, quest’anno, il lamento sulle donne ”velinizzate”, che non sono scelte per merito ma per avvenenza, e per le donne ”tangente”, usate cioè come strumento di corruzione. E probabilmente, sempre quest’anno, l’8 marzo l’hanno festeggiato anche i trans, ai quali ormai è riconosciuto un ruolo manifesto nella nostra società.
Ma, per fortuna, ci sono state anche celebrazioni più serie e interessanti: l’Economist, per esempio, con un numero interamente dedicato al Gendercide, cioè all’eliminazione delle bambine, abortite o lasciate morire, che si calcola raggiungano i cento milioni. Non è una sventura naturale, ma l’intervento umano - e cioè «una maligna combinazione di atavico pregiudizio, moderna preferenza per le piccole famiglie e tecnologia a ultrasuoni» - che porta a una realtà sociale deformata: avremo fra breve società nelle quali la presenza femminile sarà decisamente insufficiente e in cui, fra dieci anni, un maschio su cinque non riuscirà a trovare moglie.
Non solo: a Milano la Fondazione Irccs Istituto Neurologico Carlo Besta ha organizzato un convegno intitolato ”Tutta cuore e cervello”, dove finalmente si affronta la salute femminile da un’ottica specifica, partendo cioè dalla realtà della condizione delle donne. In altre parole, riconoscendo che il corpo femminile funziona diversamente da quello maschile, diversamente reagisce a stress e patologie, diversamente si comporta nelle cure e di fronte ai farmaci. Le donne non sono diverse solo per quanto riguarda gli organi riproduttivi, ma per molti altri importanti aspetti: l’ideologia dell’uguaglianza aveva schiacciato questa diversità, e le stesse donne medico e le scienziate avevano paura di evocarla.
Oggi, per fortuna, questa paura è finita, e si dice a gran voce, finalmente, che anche le donne devono essere curate in modo appropriato perché - hanno detto al convegno molti relatori - se pure per loro l’aspettativa di vita è più alta, esse sono anche malate più a lungo e curate meno bene. Questo anche per motivi culturali: di solito sono le donne a occuparsi degli altri, a curare gli altri, e molto meno pretendono che ci si occupi di loro.
Ecco un esempio: benché il 41 per cento delle donne muoia vittima delle malattie cardiovascolari, ancora oggi queste malattie vengono considerate specifiche del sesso maschile, e il loro studio e quello dei fattori di rischio hanno interessato prevalentemente gli uomini, tanto che il direttore dell’istituto di cardiologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia, Maria Grazia Modena, ha denunciato che «forse il più importante fattore di rischio di cardiopatia ischemica nelle donne è la percezione sbagliata che la cardiopatia ischemica non sia una malattia delle donne». Infatti, mentre viene fatta una buona prevenzione del tumore al seno, si continua a ignorare che la maggioranza delle donne muoiono per malattie cardiovascolari.
In un recente documento, il Comitato Nazionale di Bioetica si è occupato della sperimentazione farmaceutica nei confronti delle donne, rivelando che la metà femminile ne risulta pesantemente penalizzata: le ditte farmaceutiche, infatti, fanno testare i nuovi medicinali solo agli uomini, con i quali è più facile il controllo delle reazioni - i maschi non hanno grosse differenze di ciclo ormonale - e non rischiano, soprattutto, di iniziare una gravidanza. Così le donne sono curate con medicine spesso non misurate per il loro fisico, né come dosi, né come effetti terapeutici o collaterali. Ma, finora, l’ideologia dell’uguaglianza ha coperto tutto: piuttosto che rischiare di essere retrocesse per la loro differenza, le donne hanno sopportato in silenzio questa palese discriminazione.
Queste notizie, però, non fanno molto clamore, anche se condizionano la vita quotidiana delle donne. Si preferisce infatti parlare di fenomeni che possono essere buttati in politica, come le storie delle veline, anche se riguardano solo una minoranza.
Ma, soprattutto, si preferisce pensare che il comportamento degli scienziati non sia toccato dai pregiudizi della società in cui vivono, e che essi scelgano direzioni di ricerca mossi soltanto da nobili e giuste intenzioni. E quindi, in sostanza, che la ricerca scientifica si muova sempre nelle direzioni eticamente più giuste, in un empireo superiore non contagiato dalle debolezze umane che affliggono invece ambiti come la politica e la cultura. Peccato che, intanto, ne soffra la salute delle donne, in nome di una errata ideologia, cioè per un malinteso concetto di eguaglianza.
Lucetta Scaraffia, Il Riformista 11/3/2010