Enrico Beltramini, Il Riformista 2/3/2010, 2 marzo 2010
IN AEREO PER ATLANTA HO CAPITO L’ECONOMIA A STELLE E STRISCE- Qualche settimana fa ho deciso di trascorrere qualche giorno ad Atlanta
IN AEREO PER ATLANTA HO CAPITO L’ECONOMIA A STELLE E STRISCE- Qualche settimana fa ho deciso di trascorrere qualche giorno ad Atlanta. Sono andato su Internet e ho acquistato i biglietti per me e mia moglie. Poi sono andato sul website della Avis e ho proceduto alla prenotazione di un’auto a noleggio. Il giorno della partenza, ho guidato fino al parcheggio fuori dall’aeroporto, uno di quelli che costa meno (6 dollari al giorno) e sono salito sul pulmino che mi ha portato alle partenze. Lì ho inserito la carta di credito in una piattaforma che mi ha stampato il biglietto. Sono passato attraverso la Sicurezza, circa una decina di persone a scrutare, palpeggiare, spingere bagagli e persone. Prima di arrivare al gate, mi sono fermato al ristorante lì accanto, dove ho preso un hamburger con patatine e una coca cola. Al gate, ho aspettato il mio turno. Una persona ha ”letto” il mio biglietto con uno scanner e sono salito a bordo dell’aereo. Qui mi hanno dato qualche snack e bibite. Quando sono atterrato ad Atlanta, sono uscito dall’aeroporto, e sono andato al Rent A Car dove ho inserito la solita carta di credito in una piattaforma che ha stampato il mio contratto. Con questo sono andato al parcheggio dove un signore mi ha fornito le chiavi e indicato l’auto. Il prezzo è di circa 20 dollari al giorno, assicurazione inclusa. Ricapitoliamo. Ho speso 400 dollari per l’aereo, 6 dollari al giorno per il parcheggio, 20 dollari al giorno per l’auto. Più 18 dollari per il pranzo. Gratuiti i servizi dal parcheggio all’aeroporto e i servizi a bordo dell’aereo. Nel mentre, ho incontrato il guidatore del pulmino, gli addetti alla Sicurezza, quelli del ristorante e quelli a bordo dell’aereo. A completare il quadro, una impiegata al gate e una al parcheggio del Rent A Car. Però, perché io potessi andare ad Atlanta, nascosti da qualche parte, c’erano i tecnici che gestiscono il website di Delta Airlines, da cui ho acquistato il biglietto, e quelli che gestiscono il flusso delle prenotazioni, emissione biglietti, ecc.. Lo stesso per quello che riguarda Avis, la società Rent A Car alla quale ho proceduto nella prenotazione dell’auto. Qual è il punto? Il punto è che lavorano più persone nelle infrastrutture che nei servizi al cliente. Il punto è che i servizi sono venduti a un prezzo estremamente basso. Il punto è che, alla fine, ciò che si paga è l’infrastruttura. Questo, ovviamente, ha una serie di implicazioni. La prima è che il prezzo dei servizi scende non soltanto perché è informatizzato, ma perché la responsabilità di accendere il servizio - e non soltanto di accedere ad esso - è lasciata al cliente. In altre parole, il disinvestimento da parte dell’offerta avviene a fronte di un atteggiamento proattivo da parte della domanda. Il trade-off è chiaro: più cresce l’impegno del cliente, meno egli/ella paga. Poiché il lettore italiano è - diciamo così - ”abituato male”, sottolineo il concetto: la riduzione del costo del servizio - il margine di risparmio - è trasferito al cliente, non resta nelle mani del fornitore. La seconda implicazione è che i posti di lavoro nei servizi diminuiscono. Ovviamente, non spariscono. C’è un limite, ad esempio, al livello di servizio che un ristorante può offrire, anche se si tratta di un normale, affollato ristorante all’interno di un aeroporto. Ci vuole qualcuno che riceva gli ordini, serva ai tavoli e al banco, ecc.. E naturalmente ci vuole qualcuno che guidi il pulmino dal parcheggio remoto alle Partenze. Ma le compagnie low-cost hanno dimostrato che si può facilmente ridurre anche il servizio al gate e a bordo dell’aereo. E quelle di Rent a Car che il cliente accetta di fare un po’ più di lavoro, e ricevere un più basso livello di assistenza, in cambio di una riduzione della spesa. Insomma, meno servizio, meno occupati nelle attività di servizi. La terza implicazione è che si può fare a meno dei servizi ma non delle infrastrutture che li garantiscono. Il parcheggio può essere sorvegliato dalle telecamere, ma il pulmino deve essere guidato da qualcuno perché il trasporto tra il parcheggio e l’aeroporto non è un servizio, è un pezzo dell’infrastruttura. Ovviamente posso fare a meno degli snack e delle hostess a bordo, ma non del computer e dei tecnici che regolano il processo amministrativo del traffico sull’aerolinea. La quarta e ultima implicazione è che i posti di lavoro nelle infrastrutture aumentano. Sia quelli che sono visibili, come il guidatore del pulmino, sia quelli nascosti, come i tecnici che gestiscono le prenotazioni online di Delta Airlines. Se poi tra le infrastrutture collochiamo anche la Sicurezza, allora diventa palesemente chiaro che nel mio viaggio ad Atlanta il rapporto tra persone impegnate nelle infrastrutture e quelle nei servizi era di 5 a 1 a favore delle prime. Tutto quanto detto può essere riassunto in due semplici espressioni: economia deflattiva e capitalismo delle infrastrutture. La prima si riferisce ad un’economia dove i prezzi scendono (invece che salire). quanto sta succedendo negli Stati Uniti ormai da un paio d’anni (il parcheggio era 12 dollari al giorno, ai bei tempi). La seconda espressione, capitalismo delle infrastrutture, cerca di catturare invece il senso di una trasformazione intima del sistema economico americano. Il passaggio dal cosiddetto post-industriale ad un realtà ancora informe ma, come ho cercato di mostrare, già perfettamente operativa, in cui il cliente è proattivo e le aziende offrono infrastrutture, non servizi. Enrico Beltramini, Il Riformista 2/3/2010