Gianmaria Pica, Il Riformista 3/3/2010, 3 marzo 2010
L’INFEDELE E LE MOSSE DI BERNAB
Oggi si decide del commissariamento per Telecom Sparkle e Fastweb, e ieri è stata cancellata la puntata dell’Infedele su La7 che del caso delle false fatturazioni contestate alle due società di tlc avrebbe dovuto parlare. stato il vertice di Telecom Italia Media, che controlla La7, a chiedere a Gad Lerner, conduttore della trasmissione, di rinviarla di una settimana per non interferire con l’attività del giudice. Lerner ha pubblicato sul suo blog la lettera con cui l’ad di Telecom Italia Media, Gianni Stella, ha motivato la richiesta, e la risposta del giornalista, secondo cui la puntata «non avrebbe turbato né le indagini, né le decisioni che competono alla magistratura. Avrebbe informato e approfondito, come da otto anni usa l’Infedele anche su vicende riguardanti Telecom Italia e come spero torni a fare dopo lo spiacevole salto di una puntata».
Insomma, un ”obbedisco”, ma con una frecciata a Stella e all’amministratore delegato della capogruppo Telecom Franco Bernabè, perché tra le righe dice: ci siamo occupati di Telecom anche ai tempi in cui Tronchetti, allora capo azienda, era in contrasto col governo Prodi, e alle prese con il caso Tavaroli. Del resto, per Bernabè è un momento chiave. Secondo una ricostruzione di Giovanni Pons su la Repubblica di ieri, la partita Sparkle-Fastweb rafforza Bernabè, perché indebolisce Stefano Parisi, tra i manager che sarebbero stati in corsa per succedergli nel caso di un peggioramento della dialettica con gli azionisti, soprattutto con Mediobanca. Ma Bernabè è un navigatore abile, e sta cercando di ristabilire un baricentro. Un’analisi di Ugo Bertone sull’ultimo Panorama fornisce una chiave di lettura della linea del capo di Telecom, riduce la portata del dissidio con Mediobanca, e testimonia un’attenzione benevola da parte del mondo Fininvest, azionista di Mondadori e Mediaset, uno dei soggetti più interessati al futuro di Telecom, perché riguarda un asset strategico per tutti gli operatori televisivi, la rete fissa.
Così oggi il Gip di Roma, Aldo Morgigni, deciderà sulla richiesta della procura di interdire Fastweb e Sparkle (l’azienda controllata al 100 per cento da Telecom), cioè il commissariamento delle due aziende e dalla sue decisione dipenderà un pezzo della linea di azione di Franco Bernabè.
L’ad non è coinvolto nell’inchiesta, ma se arrivasse il commissariamento sarebbe una bella grana. Già l’inchiesta ha causato un sequestro cautelativo di 300 milioni di euro in capo a Sparkle, una decisione che ha comportato lo slittamento dell’approvazione del bilancio 2009. Bernabè, per un po’, dovrà mettere da parte il nuovo piano industriale e i progetti sul futuro aziendale. L’inchiesta ha fermato tutto. Anche le voci sulle ipotesi di fusione tra Telefonica (società che ha il 46 per cento di Telco, la holding che controlla l’ex monopolista con circa il 22,5 del capitale) e Telecom. César Alierta, presidente dell’azienda spagnola, venerdì ha ricordato agli analisti che Telefonica continuerà a lavorare con gli italiani «per massimizzare le nostre sinergie attraverso l’alleanza industriale, perché questa posizione è chiaramente la migliore opzione per i nostri azionisti». Bernabé era riuscito a stringere un buon rapporto con i vertici dell’azienda iberica, ma la vicenda giudiziaria allontana la fusione, già resa complessa dal livello di indebitamento delle due società, dalle difficoltà relative al futuro della rete italiana, e dall’atteggiamento degli azionisti italiani di Telco, Generali, Intesa Sanpaolo e Mediobanca, che vogliono rientrare del loro investimento e non hanno intenzione di partecipare a eventuali aumenti di capitale, come Bernabè avrebbe avuto in mente per ridurre il debito.
Intesa e Mediobanca starebbero lavorando per uscire dalla società di tlc limitando i danni economici dovuti alla svalutazione delle loro azioni: sono entrati in Telecom tre anni fa acquistando titoli a circa 2 euro l’uno, oggi un’azione vale poco più di un euro.
Nell’ultimo anno Bernabè è entrato in dialettica con il presidente di Mediobanca, Cesare Geronzi; mentre ha trovato una sponda in Intesa Sanpaolo il cui capo operativo, Corrado Passera, starebbe preparando un piano alternativo alla fusione e all’aumento di capitale per Telecom. Non è incompatibilità quella tra Geronzi e Bernabè. La nomina dell’ad di Telecom fu il primo atto dell’accordo tra il presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli e Geronzi. Un accordo di riassetto del risiko, e che nella fattispecie Telecom serviva a bloccare candidature meno navigate.
Certo in questi due anni Bernabè non ha smussato gli spigoli, anche nella complessa vicenda del risiko tlc. I suoi amici dicono che non è una persona facile. Chicco Testa, l’ex presidente Enel, amico e in passato anche socio di Bernabè, racconta che è «molto serio, una specie di calvinista in un Paese che non lo è».
Bernabè ha una tipica storia di self made man. Figlio di un ferroviere, si laurea in economia ed entra giovane al centro studi della Fiat, di cui diventa il direttore. Franco Reviglio lo chiama all’Eni, a Roma, come suo assistente nel 1983. Poi diventerà direttore per lo sviluppo, programmazione e controllo. Una volta Alberto Meomartini, uno dei due Reviglio Boys doc (l’altro è Domenico Siniscalco, giacché Giulio Tremonti si considera un federato del gruppo) disse di Bernabè: «Franco era analitico, prudente, con una conoscenza dell’impresa più definita della nostra e con una capacità di entrare in rapporto col potere più consapevole». E, infatti, nel suo rapporto più consapevole con il potere, diventò amministratore delegato dell’Eni a quarantaquattro anni, nel 1992, chiamato da Giuliano Amato. Ha guidato l’Eni nei difficili anni della privatizzazione e di Tangentopoli. Nella fase più cruenta delle inchieste, rimpiazza in meno di due mesi 300 top manager. Si fa molti nemici. La Harvard Business Review lo intervista su questa operazione come caso di studio.
Stella fu con lui in quell’operazione, lo ha seguito poi in Rotschild ed è con lui anche adesso nell’operazione Telecom, amministratore delegato della società media che controlla La7. Il Bernabè editore televisivo dicono non sia un grande amante della televisione («Sennò quando trovo il tempo per leggere», ha raccontato a un amico). Crede nel media tv però, sta preparando un nuovo canale sul digitale terrestre per la primavera e ha lanciato il sistema Cubo per l’Iptv, la televisione via internet. Il direttore del TgLa7, Antonello Piroso, parla di un «editore impeccabile» che lascia piena libertà e autonomia. Qualche giorno prima che scoppiasse il caso dell’Infedele, il Riformista aveva chiesto proprio a Lerner cosa pensasse del suo editore, e lui quasi come ad anticipare la bufera con l’emittente (di cui l’intervistatore non poteva sapere), ha risposto ironicamente: «Cosa penso del Bernabè editore? Ottimo e abbondante! E non aggiungo altro».
Bernabè ha un sistema di rapporti complesso e molto articolato, anche nel sistema internazionale. Quando ha accettato di tornare alla Telecom (era stato ad nel ”98-’99 prima dell’Opa dell’Olivetti di Roberto Colaninno), si è dimesso da tutte le cariche tranne una: ha mantenuto quella di consigliere di amministrazione (l’unico occidentale) di Petrochina, il colosso petrolifero cinese controllato dalla repubblica popolare. Ha buon rapporti anche con il colosso di tlc Huawei. uno dei punti di riferimento del partito cinese in Italia, ma è anche membro del Bilderberg, uno dei network che hanno cementato i rapporti transatlantici e che oggi rappresenta uno dei luoghi dell’establishment internazionale pro-global).
un socialista liberale, ha sempre avuto buoni rapporti con il centrosinistra, sebbene si sentì tradito da D’Alema-Bersani nel momento dell’Opa di Roberto Colaninno, sostenuta dall’allora Pds, in cerca di capitani coraggiosi (da lì nacque l’indebitamento di Telecom). molto amico del Presidente Francesco Cossiga che lo inserì in una commissione sui servizi segreti assieme a Carlo Jean e a Paolo Savona, ed è in rapporti di amicizia con il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, di cui si dice che espresse un parere molto favorevole quando gli fu chiesto come lo considerasse come candidato alla guida di Telecom. Gode della stima di Romano Prodi. E ha anche buoni rapporti con pezzi del Governo Berlusconi, sia con Gianni Letta sia con il ministro dell’Economia Giulio Tremonti (fa parte anche lui di Aspen Institute). Meno intensi i rapporti con il mondo delle tlc pidielline, per esempio con Paolo Romani. Una diffidenza che sta cercando di attenuare (della scorsa settimana, per esempio, la nomina di Gianpiero Vigorelli, di provenienza Mediaset, alla presidenza di Telecom Italia Media Broadcast). Attenzioni amichevoli si registrano nel Pd con l’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni. E anche con le istituzioni di controllo delle Tlc. Dopo alcuni mesi di tensione, con l’Agcom nacque una simpatia, perché Bernabè decise di collaborare con l’autorità, mettendosi a disposizione come incumbent - cioè attore dominante - del mercato telefonico.
Gianmaria Pica, Il Riformista 3/3/2010