Fabrizio Goria, Il Riformista 3/3/2010, 3 marzo 2010
ITALIA, LA PI ATTACCATA DAGLI SPECULATORI
Sull’Italia ci sono circa 5.600 Credit default swap aperti, che valgono 230 miliardi di dollari. Questi derivati rappresentano delle polizze assicurative contro il fallimento di un titolo sottostante, generalmente un bond. Ma sono anche un indicatore della fiducia dei mercati in merito alla situazione di un Paese. Secondo i dati della Depository Trust & Clearing Corporation, l’ente statunitense di custodia dei titoli, lo Stato su cui gli investitori scommettono maggiormente non è la Grecia, in pesante crisi. In questa speciale classifica siamo i primi al mondo, in un settore da 25 trilioni di dollari. E i 230 miliardi di dollari (cioè 169 miliardi di euro) rappresentano circa il 9,5 per cento del debito italiano, 1.761 miliardi di euro.
Gli speculatori investono sul fallimento dei paesi tramite questi derivati. Ogni Cds funziona sulla falsariga di un’assicurazione su un altro titolo, come un’obbligazione. Spesso hanno una durata di cinque anni e ogni anno si deve pagare un premio: più alto è, più è vicino il fallimento del titolo a cui sono agganciati. Ecco perché le variazioni nel breve termine di questi coefficienti sono un benchmark valido per verificare lo stato di un Paese. Per quanto riguarda l’Italia, in circolo sono presenti 230 miliardi di dollari in Cds. E il premio per un derivato sul nostro debito è a quota 103,80 punti base: se io voglio assicurare bond da un milione di euro, devo pagare 10mila euro all’anno.
Non saranno i coefficienti della Grecia, oltre i 300 punti base, ma sono molto vicini a quelle di Spagna e Portogallo, sebbene il volume generato dai Cds su queste economie siano inferiori al nostro. Infatti il secondo Stato è la Turchia, su cui pesano 170 miliardi di dollari e quasi 12mila posizioni aperte. Valori che riflettono l’instabilità politico-sociale che da anni imperversa. Al terzo posto il Brasile, con 143 miliardi di derivati sul proprio debito. In questo caso, si tratta di contratti per lo più stipulati negli anni scorsi e in via di scadenza. La condizione congiunturale brasiliana garantisce un sostentamento elevato del debito pubblico di Brasilia e secondo gli analisti non rischia un decadimento. Un ragionamento analogo si può compiere anche per la Russia, al quarto posto con 110 miliardi. Lo spettro del fallimento sovrano del 1998 grava ancora sulla reputazione di Mosca. E le recenti turbolenze della Borsa russa, chiusa per interi giorni a seguito della crisi subprime, hanno convinto gli investitori che scommettere sulla bancarotta di Mosca era profittevole.
In ogni caso, i Pigs (Portogallo, Italia, Grecia, Spagna) europei attirano gli speculatori internazionali. I Cds sulla Spagna, uno degli altri Stati europei in difficoltà, si fermano a quota 109,7 miliardi di dollari. Ma l’escalation non è stata risibile, dato che un anno fa il valore era di 59,7 miliardi di dollari. Pesano la recessione e l’aumento dei conti pubblici, ma soprattutto la bolla immobiliare che vede esposte le banche iberiche per 325 miliardi di euro.
La crisi sistemica ha avuto risvolti anche per quanto riguarda la Germania. I derivati che come sottostante hanno il debito tedesco valgono 66 miliardi di dollari. Nell’arco di 12 mesi sono saliti di quasi 20 miliardi, sintomo che anche la locomotiva d’Europa non è così considerata solida dai mercati internazionali come si potrebbe immaginare. Uno dei Pigs, il Portogallo, è passato dai 29,8 miliardi di dollari del 2009 ai 64 di alcuni giorni fa. Ha inciso soprattutto il ridimensionamento della collocazione di un bond in gennaio. Ma non solo. L’andamento della finanza pubblica di Lisbona è considerato negativamente da società di rating e il piano di stabilità è stato considerato irrealistico dai mercati, sulla stregua di quello ellenico.
Molto più staccati Irlanda, altro Pigs, e gli Stati Uniti. Per il primo ci sono in circolo circa 36 miliardi di dollari, cifra che quasi raddoppia i Cds al febbraio 2009. Per il secondo sono solamente 12,8 miliardi, sebbene l’incremento generalizzato del debito pubblico a seguito delle misure anticrisi. Infatti, proprio l’impianto di politica economica basato sulle garanzie dei debiti bancari e sugli stimoli fiscali ha fatto crescere di oltre il 100 per cento il volume dei derivati sull’America.
Cosa dedurre da queste cifre? Non bisogna confondere il valore complessivo dei Cds e i rischi sul debito sovrano. Nel caso della Grecia, l’incremento delle posizioni aperte dagli investitori nelle ultime settimane è stato elevato. Più contenuto, ma costante, quello italiano. Anzi, nell’ultimo mese il valore dei contratti sul debito sovrano italiano è sceso di 5 miliardi di dollari. Di contro, Atene ha visto un aumento di 8 miliardi di questi derivati. Tuttavia, nel nostro caso stupisce l’incremento annuale. Al 20 febbraio 2009 sul nostro debito pendevano scommesse per 150,47 miliardi di dollari. Ora siamo a 230. E anche in questo caso, il paragone con Atene è d’obbligo. I Cds sul debito ellenico sono più che raddoppiati, passando da 37,8 miliardi di dollari al valore odierno. Questo si traduce proprio nella valutazione che i mercati forniscono sulle probabilità di fallimento di un Paese.
A quanto dimostrano le cifre della Dtcc, agli scommettitori di Borsa piace l’Italia. Colpa delle criticità di cui soffre il nostro sistema. Questo si desume anche dai report fornitici dalla Banca internazionale dei regolamenti. Nell’ultimo outlook emergono tutte le incertezze italiane, a cominciare dai gap infrastrutturali. E le tensioni interne, anche a livello politico, contribuiscono alla formazione delle aspettative su un singolo Stato. Sam Jones, autore di Alphaville, blog finanziario del Financial Times, ieri ha spiegato di aver comprato nel 2003 un Cds decennale sul debito italiano. Nel 2005, complice il crack Parmalat, i rendimenti di quel derivato sono schizzati alle stelle, come da copione.
Il meccanismo contorto dei Cds deve quindi far preoccupare in merito alla stabilità economica italiana? Non del tutto, se si raffrontano i volumi complessivi dei derivati circolanti con il debito nostrano. Paradossalmente, sono più a rischio le nazioni con un indebitamento inferiore. Come dire che, a volte, spendere molto paga.