Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 12 Venerdì calendario

IL MOBILE SI FA CINESE E SCHIVA LA CRISI

«Siamo come in guerra, davvero», sbuffa Lorenzo Bucciol, dalla ridotta di Gorgo al Monticano, Alta Marca trevigiana. Trent’anni fa ha fondato la Legnox, settore mobili per il bagno. Oggi che ne ha 53 e che la sua creatura ha passato indenne il 2009 senza un’ora di cassa integrazione per i cinquanta dipendenti (12 milioni di fatturato di cui il 60% esportato e solo un -15% nel portafoglio ordinativi), non ha alcuna intenzione di sedersi sugli allori, anzi, ma prova a dare la sua ricetta anticrisi: «Stiamo costruendo una nuova rete vendita sui mercati europei e studiamo una nuova collezione, più attenti al rapporto prezzo/ valore percepito», spiega. Se tutto va bene, «grazie ai nuovi materiali e a una progettazione più oculata, dovremmo riuscire a tagliare il prezzo finale del 15 per cento». E, badate, «non facciamo mobilio di alta gamma ma fascia media, alla portata di tutti: il segreto è che i clienti siano sicuri di fare un buon affare acquistando i nostri prodotti. Si convincano di spendere un po’ meno del valore effettivo del prodotto...».
I mercati esteri nel frattempo non decollano ancora dopo dodici mesi di calma piatta: dalla Russia, che per alcuni anni ha assorbito il 70-75% dell’export triveneto, prima che scoppiasse la crisi e la grana delle dogane (con i dazi su camere da letto e sale da pranzo che passano in pochi giorni dal 30 al 45%) ai tradizionali mercati occidentali (Usa, Germania, Francia, Austria e Inghilterra). Meno 30/40% negli ordinativi è ancora il profondo rosso più comune lungo lo stradone ingolfato che corre dal quartiere del Piave a Motta di Livenza e a Pordenone: il primo distretto, anzi metadistretto del mobile italiano (314 imprese per 11mila addetti), che negli anni d’oro pre-crisi è arrivato a produrre il 23% dell’arredamento italiano, di cui il 52% esportato.
Allora c’è chi ultimamente ha preso a girarepersino nelle fiere del Kurdistan per inventarsi qualche nuovo sbocco. Seminare e pazientare. I veneti sono maestri in questo. Sta meglio paradossalmente «chi fa prodotto finito sul medio-basso di gamma per il mercato domestico», spiegano dalla Federlegnoarredo regionale, contro tutti i manuali di economia e la retorica sul calabrone italiano. il modello Bucciol. D’altronde la gente ha pochi soldi. Oppure «chi è salito sul carro Ikea e della grande distribuzione».
 il caso della Friulintagli di Portobuffolè, un nome che rimanda a una storia di artigianato dalle mani d’oro che sapeva ricavare torniti e timpani barocchi da un pezzo di faggio o di cirmolo. Negli anni 60/80 l’azienda diventa uno dei tanti terzisti che rende possibile il miracolo del mobile trevigiano. Oggi, che fattura 150 milioni dando lavoro a 450 addetti, Friulintagli oltre che essere il gruppo più grande del metadistretto è diventato il fornitore principe del colosso svedese per i piccoli mobili in kit. Terzisti atipici,certo.Con una struttura organizzativa interna e impiantidi produzione giudicati fra i migliori d’Europa per efficienza e tecnologia, ma sempre questo fanno. «Mentre soffre maledettamente la fascia alta del mobile made in Italy, quello d’autore»,snocciolano dal quartier generale di Federlegno. Sono scomparsi i mercati di sbocco, e trovarne di altri in pochi mesi, ruotare il portafoglio consumer nei paesi extra Ue, dove da qui al 2015 uscirà fuori la nuova classe media con vero potere d’acquisto, per i piccoli del Nord-Est non sarà mica facile.
Paradossale, no? Su il basso di gamma a tiro cinese per il mercato domestico, male l’alto (a tutto export). Magari è solo fumo statistico o una finestra illusoria dentro una crisi che tutto scombina, però è quel che restituisce lo tsunami mondiale nel territorio dei campioni del mobile tricolore.
La «guerra» di Nino Carcella è invece una battaglia diversa perché ha a che fare con l’atterraggio morbido di una cattedrale industriale che si sta frantumando al suolo, tra tufi lucani e Murgia pugliese, piegando il distretto del legno-arredo che da cinquant’anni ha la sua punta avanzata nel mobile imbottito. Eppure Matera, dove nel 1967 Pasquale Natuzzi insedia il primo stabilimento, è stata la punta storica del triangolo del salotto (gli altri lati Santeramo in Colle e Altamura). Ancora nel 2006, le aziende del triangolo erano 110, davano lavoro a 8mila addetti, fatturavano 2 miliardi, garantendo la bellezza del 16% della produzione mondiale di salotti in pelle, che dal tacco d’Italia s’imbarcavano per l’Europa, il Nord America, l’Australia e il Vicino Oriente. Oggi, nella sola provincia di Matera i 5mila addetti sono scesi a 2.500. Senza più poter svalutare, con l’euro che si è apprezzato e l’invasione cinese, è un po’ la metafora del manifatturiero italiano. Sono fallite la Nicoletti e la New Interline. E il colosso Natuzzi è dimagrito moltissimo, mettendo in cassa metà dei quasi 3mila addetti.
La storia del signor Nino, che oggi ha 49 anni, comincia dove finisce la Nicoletti. «Per vent’anni mi sono occupato della divisione commerciale del gruppo», spiega. Poi, nel 2007, «insieme a mio zio, che in Nicoletti era il responsabile ufficio acquisti, sono uscito per mettermi in proprio fondando a Matera la Egoitaliano». Oggi Carcella dà lavoro a 15 persone facendo in modo più efficiente le stesse cose che facevano i più grandi, ma eliminando le rigidità tipiche dei big di distretto: «Costo del lavoro elevato,alto grado d’indebitamento e un’incidenza dei costi di trasporto sul fatturato complessivo decisamente fuori mercato (in alcuni casi vicini al 15 per cento)». Risultato: «Lavoriamo con 350 rivenditori in tutta Italia e stiamo crescendo tantissimo nonostante la crisi (+80% di fatturato 2009 sul 2008, pari a 3,6 milioni).
Il segreto? Nessuna rivoluzione: «Presidio forte del mercato domestico - spiega scelta oculata delle materie prime e rete vendita efficiente». Valorizzando soprattutto quella manodopera che i grossi gruppi hanno lasciato per strada dopo aver smobilitato e delocalizzato». E riannodando la catena di terzisti rimasti senza commesse. «Per ogni azienda come noi, ci sono almeno 4-5 microrealtà che lavorano per un indotto di 70-80 addetti tra tagliatori, cucitori, tappezzieri, imballatori e caricatori».
Insomma Treviso e Matera, Pordenone e Montescaglioso. Identico odore di collae rumore di fresa ma due mondi che proprio non si pigliano: i primi in pole position nel club dei 15 di Confindustria, le provincie più manifatturiere d’Italia; i secondi a sgomitare nel gruppone degli emergenti a metà classifica. Eppure la crisi li sta avvicinando e li meticcia: entrambi in apnea da crisi e da cassa integrazione diffusa ma con qualcosa da dirsi superando, forse, il proverbiale frazionismo italico. Un esempio su tutti: «Dal maggio scorso - prosegue Carcella stiamo collaborando con aziende del metadistretto veneto friulano. Ci siamo presentati insieme con idee coordinate a un road show con 200 rivenditori del nord Italia e abbiamo trovato sinergie nell’allestimento delle case abruzzesi post terremoto. Il riscontro è stato buono, tanto da ripetere l’esperimento alla fiera di Pesaro».
Naturalmente «la sinergia nasce da una debolezza », spiega Michele Andriulli, segretario della Fillea Cgil di Matera. «La destrutturazione dei grandi gruppi qui ha esternalizzato molti pezzi di produzione, scaricando sui contoterzisti rischi e costo del lavoro. Loro si sono tenuti la polpa: commercializzazione, design e prototipia». Anche se «l’effervescenza dei piccoli gemmati - ammette Andriulli - permette di mantenere il presidio manifatturiero sul territorio, partorendo case history interessanti e promettenti». Quasi non sembra contare il basso o l’alto di gamma nel tunnel della recessione. Conta molto di più come si fanno le cose e come ci si posiziona sul mercato. «Piuttosto occorre investire su politiche pubbliche che risolvano il tema dell’accesso alle risorse strategiche,extramercato, per l’innovazione produttiva delle Pmi », spiega il professor Gioacchino Garofoli dell’Università dell’Insubria.
Il retail in fondo è in crisi dappertutto, province campioni o province emergenti. Se la passa meglio chi sta dentro la grande distribuzione, che per i terzisti veneti è una grande valvola di sfogo, evitando il camposanto a un bel pezzo di filiera: verniciatori, assemblatori, corniciai, intagliatori, decoratori. Secondo alcune stime, nel metadistretto veneto- friulano, senza questo sbocco sarebbero già saltate circa 150 microimprese dell’indotto. Mille addetti sul lastrico. Una sapienza artigiana destinata altrimenti a finire nel cestino. Si torni pure a fare i cinesi d’Europa per il mercato domestico attento al budget, se serve. Ecco il messaggio in bottiglia per i colleghi lucani. Non sarà come sta scritto sui libri, ma la guerraè la guerra. A Treviso come a Matera.