Raimondo Luraghi, relazione al convegno su Cavour dell’11/3/2010, 11 marzo 2010
Raimondo Luraghi Emerito nell’Università di Genova LA POLITICA ECONOMICA DEL CONTE DI CAVOUR L’11 ottobre 1850 Cavour entrò nel Ministero d’Azeglio quale titolare del Dicastero dell’Agricoltura
Raimondo Luraghi Emerito nell’Università di Genova LA POLITICA ECONOMICA DEL CONTE DI CAVOUR L’11 ottobre 1850 Cavour entrò nel Ministero d’Azeglio quale titolare del Dicastero dell’Agricoltura. Capita ancor oggi di leggere in opere che trattano del nostro Risorgimento (e purtroppo persino in testi scolastici) che con ciò lo statista subalpino sarebbe divenuto titolare di un Ministero ”di secondaria importanza”. Chiunque sostenga ancora una simile tesi mostra di ignorare completamente il peso e la grandissima importanza che il Dicastero dell’Agricoltura aveva in quegli anni nel Governo piemontese. Non solo infatti nel 1850 l’agricoltura costituiva nello stato sabaudo l’attività economica prevalente; ma al Ministero attribuito a Cavour spettavano altresì l’industria, il commercio e i trasporti; e ben presto gli fu aggiunta la Marina mercantile; poi, in sostituzione del dimissionario Nigra, a Cavour toccò anche il portafoglio delle Finanze. Al Cavour veniva in tal modo attribuita la direzione dell’intera economia piemontese e, di più, in un momento di epocali trasformazioni che egli era ben deciso ad incoraggiare imprimendo loro un impulso fondamentale. Il grande statista era profondamente convinto che solo un radicale rinnovamento, una radicale trasformazione economica poteva produrre un basilare e duraturo progresso politico. Forza propulsiva di ciò sarebbero stati i suoi vasti studi delle più moderne dottrine economiche; la sua conoscenza di fondo delle economie europee più avanzate, dall’Inghilterra alla Francia al Belgio, nonché dell’economia italiana; la sua lunga esperienza nel campo degli affari. Così egli avrebbe saputo fondere, con un’abilità seconda a nessuno, teoria e pratica, pensiero e azione che erano per lui di fatto le due facce di un’unica realtà. Come proprietario agricolo, aveva costruito e varato un’agricoltura capitalistica moderna, un’autentica industria agraria; aveva finanziato imprese industriali con particolare riguardo alla nascente industria chimica, ma anche di costruzioni ferroviarie, navigazione lacuale, mulini; aveva preso parte alla fondazione di istituti bancari, all’attività di Borsa. Il fondamento delle sue idee era una ferma fede nel progresso economico. La rivoluzione industriale stava trionfando in tutti i paesi moderni, scatenando immensi impulsi di trasformazione radicale che avrebbero accresciuto non solo la potenza delle forze produttive ma il grado di civiltà e di benessere materiale dell’umanità. Cavour certamente non poteva prevedere i lati oscuri ancora latenti in seno al nuovo mondo che stava nascendo: né la vita gli avrebbe concesso di vederne gli ulteriori sviluppi. Senza il suo sostanziale ottimismo, la sua poderosa azione di rinnovamento economico e politico sarebbe stata impossibile. La formazione di Cavour come politico ed economista trovò anzitutto le sue basi in un acuto senso di ribellione contro l’oppressione asfissiante che opprimeva ed ostacolava ogni libera iniziativa intellettuale: – ...toute manifestation libre de la pensée,” scriveva nel 1832 a William Brockedon, suo amico d’Inghilterra, ”tout sentiment généréus est etouffé comme un sacrilege et un crime d’état...”; e, ad Augusto de la Rive ”...depuis que je vous ai quitté je vie dans une espèce d’enfer intellectuel: c’est à dire dans un pays ou l’intelligence et la science sont réputé choses infernales...” Era del tutto naturale che questa atmosfera lo spingesse verso l’Inghilterra, il paese più libero ed avanzato d’Europa. Colà ebbe modo non solo di studiare a fondo ed assimilare le idee dei grandi economisti da Adamo Smith a David Ricardo; ma anche di assorbire la viva esperienza di un paese che la libertà economica e politica conduceva avanti sulla via della modernità e del progresso. Le dottrine di David Hume gli insegnarono la vacuità del mercantilismo; quelle di Bastiat la lotta contro ogni forma di pastoie protezionistiche. ”Di fronte all’Europa feudale ed aristocratica, tirannica e dispotica, l’Inghilterra era l’esempio di ciò che avesse potuto creare una società basata sulla libertà economica non meno che su quella politica” (R. Luraghi, Pensiero e azione conomica... cit, p.35) Non è possibile qui, dato il tempo a disposizione, intrattenersi più a lungo sullo sviluppo intellettuale e pratico di Cavour nel lungo periodo che precedette la sua entrata nel gabinetto d’Azeglio con gli incarichi di grande responsabilità cui si è accennato in principio: veniamo quindi alla sua azione di governo. Non appena nominato Ministro, Cavour fece comprendere chiaramente che egli riteneva di importanza basilare il rinnovamento economico dello Stato sabaudo quale premessa del rinnovamento politico, anche a dispetto di interessi corporativi e di classe che vi si opponessero. Ciò emerse ancor più chiaramente quando, il 2 novembre 1852, caduto il gabinetto d’Azeglio, toccò a Cavour la Presidenza di quello che fu giustamente detto il ”grande Ministero”. La prima battaglia fu quella per la riduzione a livelli minimi dei dazi doganali, anzitutto di quello sul grano e sulle farine, unico vero modo di combattere la carestia e di dare pane a buon mercato alle classi popolari. Tuttavia questo esigeva misure radicali per l’ammodernamento ed il potenziamento dell’agricoltura piemontese. Già prima di assumere la Presidenza del Consiglio, Cavour aveva varato l’audacissimo progetto di un nuovo catasto degli stati sabaudi che consentisse la perequazione dell’imposta fondiaria; ma, sapendo bene che il completamento della catastazione avrebbe richiesto (come infatti richiese) molti anni, egli presentò anche un disegno di legge per un estimo provvisorio del valore dei terreni, tendente ad una maggiore giustizia fiscale. Ma le due misure che dovevano di un sol colpo portare il Piemonte ad uno tra i primissimi posti nello sviluppo della moderna agricoltura capitalistica furono le leggi per la canalizzazione, il drenaggio e la meccanizzazione dell’agricoltura. La prima tra queste misure, la canalizzazione, fu di concezione (e di attuazione) talmente grandiosa ed imponente da stupire ancora oggi. Essa si basava sulla giusta osservazione che i vecchi criteri di organizzare l’irrigazione erano privi di fondamento in quanto ignoravano il fatto che in Piemonte vi sono in tutto e per tutto tre corsi d’acqua a regime fluviale: la Dora Riparia, la Dora Baltea ed il Ticino e quest’ultimo scarsamente utilizzabile perché segnava la linea di confine con i territori soggetti all’Austria. Tutti gli altri (compreso il Po nel suo alto corso) sono a regime torrentizio cioè soggetti alla piene causate dalle piogge primaverili ed a periodi di siccità. Quelli a regime fluviale invece, essendo alimentati dallo sciogliersi dei ghiacciai, presentavano un abbondante flusso permanente. Da essi dunque si doveva partire (e specialmente dal più ricco d’acque: la Dora Baltea). Naturalmente il piano prevedeva che il canale partisse dal Po a valle della confluenza con la Dora, così da utilizzare il continuo ed abbondante flusso di quest’ultima. Nacque così il suo grandioso progetto e l’inizio dei lavori di cui purtroppo il Cavour non avrebbe visto la fine per la sua morte prematura: il canale, che richiese un investimento di 80 milioni di lire, si sviluppò per una lunghezza di 82 chilometri con una larghezza all’inizio di 40 metri ed una portata d’acqua di ben 110 metri cubi al secondo. Esso (che porta degnamente il nome del grande statista che ebbe l’audacia di concepirlo) costituisce ancora oggi l’asse portante dell’agricoltura moderna in tutto il Vercellese, il Novarese e la Lomellina. Ma se si voleva che l’agricoltura piemontese si modernizzasse veramente, era indispensabile sottrarre gli agricoltori alle grinfie degli usurai. Nacque così su iniziativa di Cavour un’altra Istituzione, intesa a gestire il credito fondiario raccogliendo i capitali da investire nelle attività agricole e ponendoli a disposizione dei coltivatori ad un tasso agevolato. Tutto ciò aveva lo scopo di facilitare ed accelerare gli investimenti dei capitali nell’agricoltura; ed il Cavour varò un consorzio italo-franco-britannico per la meccanizzazione agricola; ed un altra iniziativa per incoraggiare la produzione industriale e l’uso di fertilizzanti chimici. Ma l’ulteriore progetto grandioso fu quello attuato mediante la legge intesa a favorire il drenaggio. Non bastava infatti fornire acqua ai campi al momento giusto; occorreva anche liberarli dall’umidità eccessiva e ciò si poteva ottenere interrando ad una data profondità un sistema di tubi di terracotta i quali, grazie alla loro porosità, potevano raccogliere ed eliminare l’acqua superflua. Fu ad iniziativa di Cavour che la Banca Nazionale aperse un credito di 16 milioni al 4% onde incoraggiare la pratica del drenaggio. Nella sua successiva relazione il grande Ministro dimostrò che grazie al drenaggio il rendimento dei terreni si era elevato per ettaro dal 20 al 70%; in qualche caso addirittura dl 150% e che in seguito a tale produttività il capitale investito sarebbe stato del tutto ammortizzato in non più di otto anni. Ma la base di ogni reale rinnovamento rimaneva la politica finanziaria e di tesoreria. Quale essa dovesse essere, Cavour l’aveva indicato chiaramente nella sua fondamentale relazione alla Camera del 6 maggio 1851: mobilitare i capitali, accelerandone al massimo la velocità di circolazione, il che avrebbe diminuito il costo del denaro incoraggiando e facilitando gli investimenti. Chiaramente, ciò significava il ricorso audace ad un forma di inflazione controllata, cosa che terrorizzava tutti i conservatori (ed anche gli spiriti angusti di alcuni suoi seguaci, come il Lanza). In primo luogo, pensava Cavour, lo stato doveva puntare su un solo, forte istituto bancario: la Banca Nazionale. Ma essa, con il 15 ottobre 1851, avrebbe visto cessare il privilegio provvisorio del corso forzoso. Disse il grande Ministro in Parlamento: ”...se la Banca deve al 15 ottobre riassumere il pagamento in ispecie (ossia in moneta metallica) senza che il suo capitale sia aumentato, senza che i suoi biglietti abbiano corso legale... è evidente che dovrà restringere eccessivamente la sua circolazione...” Ossia si sarebbe tornati alla deflazione, al denaro raro e caro, alla circolazione ristretta dei capitali: in una parola, alla morte di quel dinamismo economico che solo poteva realizzare la modernizzazione e l’industrializzazione degli stati sabaudi. Si doveva dunque, riteneva Cavour, addirittura raddoppiare il capitale della Banca da 8 a16 milioni e garantire il corso legale ai suoi biglietti. Ciò avrebbe contribuito a fare della Banca Nazionale quel potente istituto di credito indispensabile, disse il Ministro, ad ”...uno stato il quale voglia raggiungere un alto grado di prosperità materiale e vedere svolti con tutta la maggiore attività i suoi mezzi di produzione”. La Banca infine avrebbe dovuto assumersi il servizio di Tesoreria per conto dello stato e il servizio del debito pubblico. Ora, quali dovevano essere i principali campi di investimento della massa di capitali resa così disponibile, oltre, ovviamente alla modernizzazione ed all’industrializzazione dell’agricoltura? Cavour non aveva dubbi: anzitutto alle vie di comunicazione marittime e terrestri ed in testa a queste ultime, le ferrovie. Ad esse sarebbe spettato il compito di eliminare le sperequazioni tra le varie province facendo del Piemonte un mercato omogeneo. Cavour entrando nel governo trovò già in costruzione la linea Torino – Genova. Il Ministro dette subito un vigoroso impulso ai lavori che languivano. Furono necessari grandiosi lavori con numerose opere d’arte, tra cui la galleria dei Giovi lunga più d tre chilometri e costata oltre 10 milioni di lire. Il 6 dicembre 1853 Cavour poté percorrere l’intera linea in viaggio inaugurale. Il 30 marzo 1852 era già stata varata la Società per le strade ferrate da Torino a Cuneo in cui fu investito un capitale (interamente privato) di 10 milioni e cinquecentomila lire. L’8 gennaio 1854 fu possibile annunciare l’avvenuta realizzazione del primo tronco da Torino a Fossano. Nel 1855 fu costruita la linea Savigliano – Saluzzo. Ma il grandioso progetto cui mirava il Cavour era il collegamento ferroviario con la Francia attraverso le Alpi. Ben 20.600.000 lire fece egli stanziare per la sola, imponente galleria del Frejus più altri 21 milioni per il resto dei lavori. Fu grazie alla inflessibile energia del Cavour se lo scavo della grande galleria, che era stato preventivato da farsi a mano ed a forza di mine in 33 anni, fu invece iniziato con le modernissime perforatrici Sommeiller fatte costruire all’estero ed impegnate mediante l’uso di compressori idraulici capaci anche di garantire l’aria respirabile ai lavoratori: fu tragica fatalità che il 6 giugno 1861 in cui Cavour si sarebbe dovuto recare a Bardonecchia per vedere le perforatrici entrare in funzione, fosse anche il giorno della sua immatura morte. Così il Regno sabaudo che nel 1848 si trovava in coda allo sviluppo ferroviario italiano con soli otto chilometri di strade ferrate contro i 112 del Lombardo Vento, 160 della Toscana e 85 delle Due Sicilie, balzò entro il 1860 alla testa con ben 938 chilometri di ferrovie le quali, tra l’altro, non erano come in altri stati disjecta membra: ma formavano una rete organica ed omogenea. Altro strumento fondamentale per il progresso del Paese erano i telegrafi elettrici. All’entrata del Cavour nel governo essi erano, si può dire, del tutto inesistenti. In breve tempo, mediante lo stanziamento di 600.000 lire la rete telegrafica statale salì a 1256 chilometri mentre altri 845 furono realizzati mediante società private; una delle quali (con contributo statale) gettò il cavo sottomarino di 150 chilometri che unì il Piemonte alla Sardegna e che, nel 1853, fu esteso fino alla Tunisia. Né mancò il grande Ministro di incoraggiare gli investimenti nelle costruzioni stradali: entro il 1859 vennero costruiti 414 chilometri di strade nazionali mediante un investimento di 14.530.504 lire nonché altri 700 chilometri di strade provinciali ad un costo di 12.436.670. Quanto al traffico marittimo, il cui incremento era reso necessario dai numerosi Trattati commerciali firmati per impulso di Cavour con paesi di oltremare, esso era, per il momento, monopolizzato dagli ”scagni” genovesi, istituzioni che risalivano alla repubblica medievale; la più lontana destinazione che le ”carrette” liguri raggiungevano era il Mar Nero, per l’importazione di frumento. Cavour portò in Parlamento un suo audace progetto per una convenzione con la Compagnia transatlantica ”Rubattino” la quale avrebbe stabilito una linea tra Genova ed il Rio de la Plata. Alla Camera il Ministro dovette superare violente accuse da parte dell’opposizione che lo accusava addirittura di sprechi; ma egli fece notare come quello sarebbe stato l’unico collegamento marittimo tra il Mediterraneo e le Americhe, attraendo quindi anche le merci di altri paesi del Vecchio Mondo. E veniamo infine a discutere brevemente dello sviluppo industriale piemontese che il Cavour promosse. Basti qui sottolineare che l’industria meccanica degli stati sabaudi era praticamente inesistente prima del 1850, limitandosi alla riparazione di macchinari; ora all’esposizione genovese del 1854 essa poté essere presente con prodotti propri specialmente nel campo delle macchine agricole e di quelle utensili. L’industria chimica nel campo dei concimi arrivò in due stabilimenti torinesi a 8000 quintali ed in un altro sito a Sestri Ponente ad altri 1800. Grande impulso dava, dietro consigli e con la collaborazione dello stesso Cavour, Domenico Schiapparelli la cui azienda oltre ai concimi produceva saponi, ammoniaca fosforo, candele steariche; un’altra azienda della famiglia Schiapparelli produceva 5200 quintali annui di acido solforico, 3199 di solfato di ferro, 2000 di solfato di magnesio, 300 di solfato di rame e, inoltre: acido muriatico, solfato di sodio, ecc. In altre ditte si producevano saponi (800.000 chilogrammi all’anno in quella dei fratelli Lanza); asfalti, inchiostri, profumi, colori e vernici, fiammiferi (che venivano esportati perfino negli Stati Uniti). La Società del Gas che grazie a tecnici inglesi aveva realizzato l’illuminazione pubblica a gas della città di Torino sin dal 1844 si trasformò nel 1855 nella più vasta e meglio capitalizzata ”Società del Gas luce” passando da una produzione di 1.400.000 metri cubi ad una, nel 1857, di 2.058.000 e la sua produzione di coke giunse a 70.694 quintali. Ricevettero l’illuminazione a gas Chambery, Annecy, Pinerolo, Vercelli, Novara, Cuneo, Nizza, Genova, Sampierdarena, Savona. La produzione globale di gas superò ben presto i 4 milioni di metri cubi. Infine, grazie alla politica finanziaria voluta da Cavour, anche le industrie tessili conoscevano un’era di espansione; nel 1857 l’esportazione di tessuti di lana era passata da 35.000 chilogrammi annui ad oltre mezzo milione. possibile così vedere quale fosse la componente essenziale del pensiero economico del conte: che, cioè, la libertà è indissolubilmente legata al benessere, vale a dire al grado di progresso economico e sociale del paese. Con l’attuazione di questa sua grandiosa politica il Cavour pervenne a trasformare il regno sardo in uno stato a larga e rapida circolazione della ricchezza e ad alto livello di vita. Il Piemonte diveniva quindi un modello di stato liberale moderno; ed in base al grandioso sforzo politico di Cavour per realizzare l’unità nazionale italiana, il nuovo stato unitario doveva a sua volta essere il più possibile progredito e civile. Non è qui il luogo per chiedersi se da questo nasceva la sua esitazione ad annettere il Mezzogiorno, forse troppo arretrato per poter compiere un rapido progresso. Diceva Cavour: ”Noi abbiamo adottato una politica di azione, una politica di progresso. Onde arrivare a ristabilire l’equilibrio delle finanze, invece di restringerci e di rinunciare a qualunque idea di miglioramento, a qualunque grande impresa, invece di cercare con ogni maniera di economia di pareggiare le entrate con le spese, noi abbiamo preferito di promuovere tutte le opere di pubblica utilità, di sviluppare tutti gli elementi di progresso che possiede il nostro Stato, di svegliare in tutte le parti del paese tutta l’attività industriale ed economica di cui sia suscettibile”. Questo richiedeva indubbiamente un aumento della pressione fiscale su quei ceti abbienti che tuttavia grazie a ciò avrebbero visto le loro entrate moltiplicarsi in un futuro abbastanza prossimo. Fu qui che la destra in Parlamento attaccò il Cavour definendolo ”spietato tassatore”; ma questo ritornello ignorava i benefici che la politica economica cavouriana arrecava alle classi più modeste, anzitutto grazie alla creazione di numerosi nuovi posti di lavoro. ”Io dico”, sottolineava il Cavour in Parlamento, ”che un buon sistema di imposte debba riunire tre caratteri: il primo è quello di ripartirle per quanto è possibile, equamente e proporzionalmente su tutte le classi di cittadini. Il secondo è quello di non impedire il progresso della ricchezza, cioè di intervenire il meno possibile nel fenomeno della produzione. Il terzo finalmente è di far sì che la tassa non imponga al contribuente un sacrificio molto maggiore del beneficio che la finanza ne ritrae”. Quanto al vecchio sistema fiscale, tanto lodato dai reazionari perché non toccava le loro tasche, Cavour disse senza ambagi: ”... il nostro sistema fiscale era tale che la massima parte delle imposte erano indirette. Su un bilancio di 80 milioni, il sale, il tabacco, le dogane e le altre tasse indirette costituivano oltre la metà dell’entrata. Ora.. io dico, le tasse indirette considerate da sé sole sono assolutamente ingiuste, massime quando colpiscono oggetti di prima necessità. Evidentemente la tassa indiretta sopra un oggetto di prima necessità non è proporzionale; colpisce in una ragione molto più larga le classi meno agiate...” Ed il sistema cavouriano trovava il suo complemento nell’eliminazione dei dazi doganali che colpivano all’entrata i generi di largo consumo, con tale abolizione, stimolando essa la concorrenza, i produttori locali venivano incitati ad aumentare il volume dei prodotti riducendo di conseguenza i prezzi al mercato e ad aumentare gli investimenti così da ridurre i costi. Ad esempio. l’eliminazione del dazio doganale sull’importazione di cuoio aveva avuto come effetto la diminuzione del prezzo delle calzature. Tutto questo aveva come obiettivo la realizzazione di un grande disegno politico: migliorare le condizioni dei ceti popolari cosi da condurli all’accettazione del sistema liberale. In questo entrava anche la sua azione, svoltasi anni addietro, per realizzarne l’istituzione degli asili d’infanzia in Piemonte e Savoia. Cavour aveva studiato attentamente le nascenti ideologie del socialismo e del comunismo; e lungi dall’attribuirne l’origine ad oscuri complotti, riconosceva che gli aderenti a tali idee erano stati mossi ”d’une vive sympatie pour les souffrances”; ma che il loro tallone d’Achille, diceva egli profeticamente, consisteva nell’illusione di poter eliminare la proprietà privata. Così la sua politica fiscale mirava ad avvantaggiare le classi meno abbienti riducendo fortemente i prezzi del vestiario e dell’alimentazione. Naturale che i ceti più ricchi, ora chiamati a pagare in proporzione della loro ricchezza, criticassero Cavour con la leggenda dello ”spietato tassatore”. Cavour criticava duraamente i gruppi reazionari che contro le ideologie del socialismo e del comunismo invocavano la repressione, il che, diceva egli, non faceva che aumentarne il numero degli adepti. Contro tali ideologie a nulla serviva il ricorso alla forza: uniche ed efficaci armi erano la lotta delle idee (e questa si poteva avere solo in un clima di libertà) ed un’azione risoluta per elevare il livello di vita delle classi povere. Ben a ragione poteva quindi il grande statista riassumere così davanti alla Camera l’esito della sua azione sociale ed economica: ”...il sistema politico, economico e finanziario dal Governo introdotto, dal Parlamento approvato e dal paese accettato ha avuto per effetto di aumentare la pubblica prosperità, di far sì che ad onta di nuovi pesi, potesse il paese progredire nella via della libertà”. Ed In queste sue parole, possiamo ben concludere, sta la sintesi dell’opera ammirabile e straordinaria di uno tra i maggiori statisti cui non solo l’Italia, ma l’Europa stessa abbia mai dato i natali.