Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 12/03/2010, 12 marzo 2010
LA SECESSIONE SENZA VITTIME FRA CECHI E SLOVACCHI
Nella risposta «Unità nazionale e federalismo, come evitare la scissione», lei sostiene l’impossibilità della separazione e si chiede che cosa accadrebbe di partiti politici, sindacati, imprese e banche; dei corpi istituzionali-magistratura, forze armate, polizia, diplomazia, prefetti. Può illustrare che è accaduto nel caso della scissione della Cecoslovacchia, con la nascita della Repubblica Ceca e della Slovacchia?
Aurelio Mascheroni
aurmask@alice.it
Caro Mascheroni, il divorzio fu provocato dalla Slovacchia, avvenne nel 1992 e fu consensuale. Vaclav Havel, da poco eletto alla presidenza dell’Assemblea cecoslovacca, cercò di difendere l’integrità dello Stato e si dimise quando non poté impedirlo. Ma chi temette che avremmo assistito a un dramma cecoslovacco simile a quello che si stava recitando in Jugoslavia, fu piacevolmente sorpreso. Vi furono discussioni e bisticci sul modo in cui accollare agli uni e agli altri il debito nazionale, ma la scissione fu, come la rivoluzione del 1989, «di velluto». possibile spiegare perché cechi e slovacchi, a differenza di serbi, croati, bosniaci e albanesi, abbiano dato prova di una tale ragionevolezza?
Possiamo cercare di farlo, anzitutto, ricordando che la Boemia e la Slovacchia avevano avuto per molto tempo storie alquanto diverse. Erano state entrambe province dello Stato asburgico, ma nel 1867 l’impero divenne una duplice monarchia, la Boemia rimase con l’Austria e la Slovacchia, insieme alla Croazia, fu assegnata all’Ungheria. Appartenevano all’impero, ma la prima dipendeva da Vienna e la seconda da Budapest. Erano diverse anche demograficamente. La Boemia comprendeva un territorio abitato da una importante comunità tedesca (il Sudetenland) e la Slovacchia era abitata da una forte minoranza magiara. Furono unite nella Cecoslovacchia, dopo la Grande guerra, perché i demiurghi di Versailles, occupati a smantellare l’impero asburgico e a disegnare una nuova carta geografica europea, pensarono che i due popoli avessero sufficienti affinità. Nella realtà nacque uno Stato ibrido in cui Praga fu subito molto più importante di Bratislava, e molti slovacchi ebbero la sensazione di essere sudditi piuttosto che cittadini.
Alla vigilia della Grande guerra, mentre la Germania di Hitler minacciava l’integrità territoriale della Cecoslovacchia, un grande giurista austriaco, Hans Kelsen, propose ai cechi la riforma federale dello Stato. Ma il presidente Benes non accolse la proposta e Hitler, quando volle cancellare lo Stato di Versailles dalla carta geografica, sfruttò il nazionalismo slovacco. Il regime di Monsignor Tiso, installato a Bratislava dai tedeschi, fu certamente un satellite della Germania nazista, ma fu anche l’espressione di un sentimento nazionale che i boemi avevano trattato con una certa arroganza. Dopo la fine della guerra Tiso fu giustiziato e la Cecoslovacchia venne ricostituita. Il regime comunista riconobbe agli slovacchi un’autonomia apparente, ma le istituzioni federali erano soltanto un fondale di teatro. Il vero potere era a Praga, nella segreteria del partito comunista e nel Comitato centrale. Ogni manifestazione di nazionalismo slovacco sarebbe stata considerata tradimento e duramente punita. Per tutti i cecoslovacchi la caduta del muro di Berlino fu il trionfo della libertà e della democrazia. Per gli slovacchi, in particolare, fu anche l’occasione per chiedere e ottenere quell’autonomia nazionale a cui avevano inutilmente aspirato negli anni precedenti.
Sergio Romano