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 2010  marzo 12 Venerdì calendario

PEDINAVANO EMANUELA, DUE NUOVI INDAGATI

ROMA - Adesso gli indagati sono tre. E sembra che la procura di Roma sia arrivata a un traguardo nell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Ventisette anni dopo. Sergio Virtù, 49 anni, presunto autista di Enrico De Pedis, ma non solo. Anche Angelo Cassani, detto ”Ciletto”, 49 anni e Gianfranco Cerboni, di 47, ”Giggetto”. Uomini della Magliana, accusati come Virtù di sequestro di persona a scopo di estorsione, aggravato dalla morte dell’ostaggio e dal fatto che fosse minorenne. Ieri dopo avere convocato Cassani e Cerboni come persone informate sui fatti, il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e il pm Simona Maisto hanno deciso. E hanno contestato i reati. Entrambi erano già stati in procura lo scorso 16 febbraio. Solo testimoni.
Parte tutto dalle dichiarazioni di Sabrina Minardi, l’ex compagna del boss, di Renatino, poi le conferme di Antonio Mancini, ”l’Accattone” che nel 2005 aveva accusato Ciletto e Rufetto di essere coinvolti nel sequestro. Infine Fabiola Moretti, l’altra ”pentita” della Magliana.
Per gli inquirenti Cerboni e Cassani, legati al boss Giorgio Paradisi, avrebbero pedinato Emanuela Orlandi per alcune settimane prima del rapimento, ma non solo lei. De Pedis li avrebbe scelti per rimanere nell’ombra. Gli investigatori ipotizzano che i due abbiano seguito anche altre ragazze. E che Emanuela non fosse l’unico obiettivo. E’ nello stesso periodo che scompare nel nulla Mirella Gregori. Alcuni testimoni avrebbero riconosciuto le facce dei due indagati. Elementi che troverebbero riscontro anche nelle parole di Sabrina Minardi. Per la supertestimone, sarebbero stati Giggetto e Ciletto, il 22 giugno dell’83, a caricare Emanuela su una Bmw verde per portarla fino al laghetto dell’Eur, dove l’avrebbero consegnata a De Pedis e a Virtù. Poi la ragazza sarebbe stata portata a Torvaianica. Un mese nascosta. Fino a luglio, quando la famiglia della Minardi doveva trasferirsi nella villetta delle vacanze. E allora sarebbero stati ancora Giggetto e Ciletto ad accompagnare l’ostaggio nell’appartamento romano del Gianicolo di Daniela Mobili, amica di Danilo Abbruciati, altro boss della banda della Magliana. Emanuela Orlandi sarebbe rimasta in casa di Daniela un altro mese. Poi Sergio Virtù, con la sua Bmw, «color cipolla», l’avrebbe accompagnata in un bar del Gianicolo per riconsegnarla a Sabrina Minardi. L’ultimo passaggio è a due passi dal Vaticano, quando la donna di De Pedis lascia Emanuela nelle mani di un «monsignore».
Cassani e Cerboni negano. Durante l’interrogatorio davanti a Capaldo, al pm Maisto e al capo della Mobile, Vittorio Rizzi, hanno solo ammesso di aver conosciuto negli anni Ottanta Paradisi. Ma hanno smentito pure di essere conosciuti come ”Gigetto” e ”Ciletto”. A Cassani, ieri, è stata mostrata una lettera inviata dal carcere e firmata ”Ciletto”, ”il killerino”. Una sola persona per la procura. Due per Cassani che sostiene di essere il ”Killerino”. «Dalla sentenza sulla Magliana emerge con chiarezza che Ciletto non è Cassani», dichiarano gli avvocati Rocco e Marina Condoleo. Ma per gli inquirenti cerboni e cassani sarebbero stati la manovalanza della banda che operava per conto di Paradisi, insieme a un terzo personaggio non ancora identificato.
Anche Sergio Virtù ha negato ogni circostanza. «L’unico contatto con la banda della Magliana è stato il boss Claudio Sicilia», ha spiegato ai pm. «Eravamo fidanzati con due sorelle. L’uomo ha sostenuto di conoscere alcuni componenti dell’organizzazione perché abitava a due passi dal bar di via Chiabrera, frequentato dagli uomini dell’organizzazione». L’ultimo interrogatorio sarà quello di Mario, l’uomo che qualche giorno dopo il sequestro chiamò casa dello zio di Emanuela.
Adesso gli inquirenti dovranno capire perché Emanuela sia stata sequestrata. C’è l’ipotesi che lei, come altre ragazze, potesse essere l’ ”omaggio” per un alto prelato. Ma la pista che prende piede è quella dei soldi: il rapimento come strumento di pressione e ricatto sul Vaticano. Erano gli anni del crack del banco Ambrosiano e degli affari tra Calvi e lo Ior di Marcinkus, che avevano investito i soldi della malavita. E’ questa la pista che indica l’Accattone.