Michele Serra, la Repubblica 12/3/2010, 12 marzo 2010
Tra le libertà delle quali si dovrebbe discutere più spesso c´è anche quella di lasciare le proprie cose, e i propri quattrini, a chi ti è più caro, e ti è stato più vicino, piuttosto che a parenti a volte nemmeno tanto prossimi
Tra le libertà delle quali si dovrebbe discutere più spesso c´è anche quella di lasciare le proprie cose, e i propri quattrini, a chi ti è più caro, e ti è stato più vicino, piuttosto che a parenti a volte nemmeno tanto prossimi. Le due categorie spesso coincidono: i parenti sono coloro che ti sono più cari. Ma a volte no, questo non accade. Ed è allora che la mannaia delle varie "legittime" incombe sulla volontà dell´estinto, che non è nemmeno più in condizione di difendere le sue scelte. Scrivo queste righe dopo avere letto della vicenda di don Gianni Baget Bozzo, del quale non ebbi mai a scrivere affettuosamente in vita. Forse posso rimediare post-mortem. Lasciò i suoi averi, con regolare e tempestivo testamento, ad amici, a un dottore, a una veggente, insomma a chi meglio credeva di dover corrispondere, a chi sentiva suo erede per vicende di vita (le sole che contano). Sono insorti parenti non vicinissimi, sostenendo che quei beni devono rimanere "in famiglia". Don Gianni, che pure era un sacerdote e non di quelli divergenti dal dettato della Chiesa, ebbe evidentemente un´idea di "famiglia", e soprattutto un´esperienza di "famiglia", piuttosto differente. Io spero che le leggi ne difendano la volontà, e con essa la memoria. Qualora le leggi non lo facessero, vanno presto ridiscusse, e cambiate.