Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  marzo 12 Venerdì calendario

LE RAGIONI DI UN PAESE IN GINOCCHIO (*

per vedere domande e risposte aprire il frammento) - Al ragazzo quasi quarantenne cui
non interessano le linee rette ma i
diagrammi impazziti, al figlio di
Sasà e Tina che avrebbe dovuto
laurearsi in Economia e Commercio
e scelse invece il nomadismo
del set, all’incerto apprendista diventato
regista visionario tra le
strade primaverili di Cannes e le
palme americane è capitato di fermarsi
a riflettere. Archiviate le
glorie andreottiane de ”Il divo”,
nell’attesa di realizzare in compagnia
di Sean Penn ”This must be the
place”, storia in bilico tra profondi
rapporti familiari e nascosti abissi
della storia nazista ”Lo stiamo preparando
con qualche lieve difficoltà”,
Paolo Sorrentino aspetta
sul fiume della rivoluzione possibile
i frutti del proprio lavoro letterario.
’Hanno tutti ragione”, da
ieri in libreria per Feltrinelli, ha ricevuto
l’inattesa ondata di entusiasmo
della critica. Paragoni con
Cèline e Gadda, spifferi che lo
vorrebbero già trionfatore del
prossimo S t re g a , applausi per una
scrittura felice che rielabora fantasiosamente
il personaggio di
Tony Pisapia-Servillo, l’ex cantante
maledetto de L’uomo in più:
’Un’altra cosa mi ricordo io, ho
sempre amato la libertà e voi non
sapete manco che cazzo significa”,
gli cambia cognome in un fascinoso
modello di macchina già
esplorata dalle canzonette, Pagoda,
e ne trasporta la lucida follia
nell’Italia dell’ultimo trentennio.
Cocaina, affaristi, arrampicatori,
esili volontari, ritorni improbabili.
In mezzo, la prosa dadaista che
segnalò il primo Sorrentino fin
dalla sceneggiatura di Polvere di
Napoli: ”Ma in quell’occasione
gran parte del merito era di Antonio
Capuano, uno dei miei maestri,
la persona che più di altre mi
ha insegnato l’importanza di immaginare
un copione come fosse
un romanzo” e gli scorci di orrore
modernista che hanno abbattuto
le residue certezze di un Paese
atrofizzato. La gastronomia prona
alla più stupida delle mode: ”Cosa
abbiamo per cena? Un
puzzle di spigola, signore
”, l’Italia ”terra di lacrime
e mozzarella”, il marciume
’che non scompare
per sempre” e il treno
che quando nell’età
dei bilanci passa definitivamente
lascia attoniti:
’statuar i”.
Chi è davvero il protagonista
del suo libro?
Un vitalista. Il libro all’ini -
zio si sarebbe dovuto int
i t o l a re ”Tony Pagoda e il vitalismo’
perchè tra le pagine
recita un individuo
che aggredisce l’esisten -
za anzichè esserne sovrastato,
una condizione che
ammiro molto.
Conosce molti Pagoda?
Esiste una categoria di persone
che ha l’attitudine di porsi nei
confronti del mondo in costante
attività. Il libro è pieno di cose, il
personaggio principale ha una
sua evoluzione, un cambiamento
epocale, un ripensamento. Ma
senza pregiudizi , o pelose forme
di moralismo, con grande, consapevole
spregiudicatezza.
A p p re z z a ?
Infinitamente. E’ una caratteristica
che quando incontro nelle persone
che ho di fronte, mi rasserena.
Purtroppo in una società come
la nostra, spaccata a metà, certi
comportamenti vengono bollati,
incasellati politicamente. Una
pratica costante del nostro quotidiano
da cui fuggo convinto.
La inquieta la melassa generalizzata?
I buoni mi annoiano ma dei cattivi
posso innamorarmi. Nei miei personaggi,
non si respira l’ansia del
politicamente corretto ad ogni
costo. La vita è anche cadere,
sporcarsi, rischiare. Forse anche
per questo, nel 2000, Tony si ritrova
76enne. E’ un uomo che viene
da un’altra generazione, nella
quale una una maggiore libertà
nei comportamenti era la regola.
Pericolo e nichilismo.
Questa sfera di libertà, naturalmente
comporta che alle volte
vengano commesse ingiustizie,
che qualcuno soffra ed altri non
siano contenti. Però questo è
umano e se non va condiviso, andrebbe
sempre almeno capito.
Non è un discorso popolare.
Ci vorrebbe uno sforzo di comprensione
che superi l’ipocr isia.
Abbiamo assistito inermi a un’in -
vasione di un buonismo che ha
portato una parte politica (la sinistra
ndr) ad essere molto noiosa
nell’ansia scoperta di mostrarsi
eternamente perfettina.
Di lei incensano la
velocità di pensiero.
’Hanno tutti ragione” è il risultato
di un’estate passata al
computer.
Per arrivare a scrivere il libro mi
sono allenato come se avessi fatto
negli anni precedenti una lunghissima
prova generale. Non è
stato come immaginare un film.
Se legge le sceneggiature, si accorgerà
come a volte possano risultare
come aridi verbali di comportamenti
fitte di dialoghi irreali.
Mi hanno sempre insegnato come
il copione possa e debba diventare,
anche se applicato al cinema,
un fuoco d’artificio letterar
io.
Nel romanzo fa dire: ”Ci sono
certe scoperte che non danno
seconde possibilità”. Sarà il
suo primo e ultimo esperimento?
Non lo so. Per me, l’esper ienza
del romanzo è del tutto nuova.
Un’avventura che mi ha fatto veramente
bene. Nel procedere, ridevo
spesso e per me, il riso ha un
valore terapeutico. Se ripenso a
quanto mi sono divertito, in futuro
mi do sicuramente un’a l t ra
possibilità.
Finalmente lontano dai budget,
dagli orari, dalle rivendicazioni
di una qualsiasi troupe.
Senza la obbligata strumentalità
del film da girare nei tempi previsti,
l’ossessione della finalizzazione,
le domande angosciose: ”Si
potrà fare, non si potrà fare, costerà
troppo?’ i tragici quesiti corollario
inevitabile di chiunque
faccia cinema. In quella stanza invece,
c’ero solo io. La scrittura mi
offerto questa irripetibile possibilità
di pace. In letteratura te ne
freghi, godi di una tale libertà e di
un tale gaudio, che ogni evento
sognato sembra sfiorabile. La calma,
per chi deve inventare, è una
condizione indispensabile. Adesso
magari, prima di rimettermi
all’opera, aspetterò dieci anni.
L’esatta forbice di tempo in
cui l’embrione di ”Hanno tutti
r ag i o n e ” pulsava senza che lei
lo sapesse.
A questa storia, è vero, pensavo
da un decennio. il protagonista
del mio libro è quel Tony Pisapia
che avevo già raccontato ne L’uo -
mo in più, le storie sono diverse, gli
accadimenti più complessi.
Balere, fumo, luci basse, consensi
fioriti.
Era il mondo che vedevo da ragazzino
e che apparteneva a mio padre.
Lui non faceva il cantante ma
il dirigente di banca però, in qualche
modo, apparteneva a
quell’atmosfera. Era nato e viveva
in quel periodo che ancora oggi
rimane per me un’isola di memoria
in cui rifugiarmi.
Si sente il profumo di una nostalgia,
di qualcosa di irrimediabilmente
perduto.
E’ la mia passione, la nostalgia. E’
innegabile. E’ un desiderio di ritornare
a un mondo e al tempo
stesso sentimentale, come mi
sembrava fosse la mia primissima
adolescenza.
E’ un inganno o davvero le cose
andavano meglio?
Avevo otto anni. Ovviamente esiste
una deformazione prospettica
legata al’età. Non so dire come
mi sarebbero sembrati gli anni ”70
se li avessi attraversati nella maturità
ma non ignoro che nell’ar ia
si muovessero pulsioni più interessanti
di oggi. Era un universo
colmo di piacere e dolore vissuti
comunque in maniera più autentica.
Cos’è cambiato nel profondo?
Non c’era l’invasione delle tecnologie
che purtroppo hanno
modificato il ritmo delle giornate.
Era un mondo più pieno sia di
cose piacevoli, sia di eventi dolorosi
vissuti però in maniera più
autentica
Arbasino diceva: in italia prima
sei considerato una giovane
promessa, poi il solito
stronzo, infine un maestro. A
che punto è del cammino, il
venerato Sorrentino?
Penso che adesso, soprattutto dopo
aver scritto un libro, sono pienamente,
assolutamente, immerso
nella fase del solito stronzo. Ho
solo un dubbio.
Dica.
Che mi ci facciano rimanere per
un bel po’. Mi va bene così. E’ in
linea con il protagonista che ho
disegnato. Le assicuro che non
covo nessuna smania di diventare
buono, bravo e bello.
Dietro il peregrinare di Tony
Pagoda, si scorge la feroce metafora
del presente. Voleva
creare quell’e f fe t t o ?
Un po’ sì. Nel romanzo c’è la storia
di un uomo che manca per
venti anni dall’Italia, e che al ritorno
è colto da uno stordimento
senza soluzioni.
E’ in buona compagnia.
E’ lo stesso effetto che avvertiamo
noi, stando qui tutti i giorni.
Indubbiamente il presente italiano
connaturato alla sua evidente
anomalìa è caotico, urlante, confuso.
Con questioni, anche serie,
che finiscono per accavallarsi e
annullarsi in un magma indistinto.
Una realtà impalpabile, molto
difficile da decifrare.
Una volta tornato a Roma, dopo
vent’anni in Brasile, Tony
Pagoda ha difficoltà a orientarsi.
Infatti, nella terza parte del romanzo,
non parla più. Si limita ad
ascoltare gli altri e a raccogliere il
filo di quello che ha sentito. La
complicazione di mettere a fuoco
il presente è una condizione
estremamente diffusa.
E’ difficile riconoscere la verità?
L’unica notizia degli ultimi mesi
in cui ho riconosciuto un soffio di
umanità è stata il suicidio di Vanacore,
tutto il resto, almeno per
me che sono un osservatore comune
è arduo da penetrare.
Lo sgomento riguarda esclusivamente
la cosa pubblica?
No. E’ una chimera anche afferrare
qualcosa del ritmo delle persone
qualsiasi, indipendentemente
dal caos e dal precipizio della politica
e della televisione.
Ogni tanto per lucidare lo
sguardo, cammino per lunghe
ore nelle domeniche sonnolente
.
Come da ragazzo. Il tempo passava
più lentamente perchè mi annoiavo
molto di più. La noia dilata
le ore ma anche le sensazioni più
impercettibili che ti attraversano,
si amplificano.
Adesso?
Il quadro è molto più frenetico e
le emozioni sono un lampo perchè
devi passare già a quella successive.
Le giornate sono frammentate
da questi maledetti telefonini
che squillano in continuazione,
per cui anche fare una conversazione
è diventata un’impre -
sa. Bisogna aspettare le due di
notte per ritrovarsi stravaccati sul
divano e magari, come si faceva in
un’epoca smarrita, concedersi il
lusso di tacere per venti minuti
senza dover per forza dire qualcosa.
Tra le pagine ritroviamo anche
una città che sembra direttamente
estrapolata dalle cronache.
Roma ”E’ un’impres -
sione, una sindone sbiadita e
dentro non c’è nessun dio”: In
’Hanno tutti ragione” la critica
alla vacuità e all’effimero è
feroce .
Roma è così, meravigliosa ma anche
pericolosissima perchè qui
più che altrove puoi avere la percezione
dell’inutilità di ogni cosa.
Chi non ha struttura mentale e
morale, ad abitarci, può avere un
contraccolpo violento. A molti
accade. Le vedo le biografie dei
tanti che dopo dieci anni a Roma
sono emigrati a Sondrio. E’ una lama
a doppio taglio. Tale il livelllo
di vorticosità che se lo attraversi
con i piedi piantati per terra sopravvivi,
ma se non sei saldo rischi
di farti male.
E’ anche per questo pianeta di
arrampicatori in ascesa che
desiderava fare un film che si
occupasse del Cafonal di Dago
s p i a ?
E’ un universo che mi interessa
molto, ma che rispetto alle mie
capacità intellettuali risulta troppo
complicato da decifrare. Ancora
non ho trovato la chiave giusta.
Da un lato sembra semplice
folklore grottesco e ad una lettura
più attenta, scopri che forse, in
quelle feste fotografate da Pizzi, si
annidano le vere leve del potere.
Un ambiente estremamente complesso,
quando riuscirò a decrittarne
il profilo e ad intuire qualcosa
di sensato su quel mondo in
movimento, un film sul tema lo affronterò
volentieri.