Oscar Giannino, Il Messaggero 12/3/2010, 12 marzo 2010
VIA ALLA BANCA DEL MEZZOGIORNO
La nuova Banca del Mezzogiorno è stata presentata ieri al Tesoro da Tremonti e Berlusconi. Con grande entusiasmo, dopo che se ne era tanto parlato mesi fa. E l’entusiasmo ha subito giocato un bello scherzo ai presentatori. Hanno infatti annunciato che, non appena ci sarà il primo sportello della Banca del Sud, si precipiteranno personalmente a diventare primo e secondo correntista dell’istituto, aprendovi un conto. Solo che la Banca del Sud di propri sportelli... non ne avrà. Come è chiaramente scritto nel suo progetto, la Banca del Mezzogiorno sarà una banca di secondo livello. Proprio per non diventare quel carrozzone che molti temono, non avrà sportelli e agenzie proprie sul territorio, ma agirà come istituto che emette garanzie e strumenti finanziari coi propri fondi, realizzando impieghi attraverso gli sportelli già esistenti nel Mezzogiorno delle Poste, e delle banche che aderiranno al progetto.
Bisogna essere realisti. Lo sa per primo Giulio Tremonti, che di tale progetto è stato il più convinto sostenitore. Intorno alla Banca Merdionale c’è un diffuso scetticismo. Non è solo delle forze d’opposizione, che in una campagna per le regionali arroventata come non mai hanno bollato immediatamente l’iniziativa come l’ennesima promessa elettorale. Tremonti lo sa bene, quanto corpose siano le diffidenze.
In primis perchè se n’è parlato già diverse volte. Tremonti lanciò l’idea un mese dopo essere stato allontanato dal ministero, nel 2004. Nell’estate successiva, poco prima del rientro di Tremonti al Tesoro per salvare i conti, fu Antonio Bassolino ad annunciare un simile progetto. Ma allora si pensava all’articolo 117 della Costituzione , e alle competenze affidate alle Regioni in materia di credito. Si pensava cioè a banche regionali pubbliche, come le Landesbanken germaniche. Dopo la grande crisi 2008-09, in cui le banche pubbliche locali tedesche si sono rivelate tra le più scassate d’Europa proprio contando sulla garanzia del contribuente alle loro folli manovre ad alta leva finanziaria, nessuno per fortuna può più pensare a replicarle.
Di qui il nuovo progetto di Tremonti. Ha tre caratteristiche essenziali. Una banca meridionale che non è pubblica ma privata, visto che i 5 milioni di euro dello Stato iniziali sono simbolici e comunque verranno rimborsati entro 5 anni, lasciando una sola azione pubblica ancora più simbolica. Una banca privata costituita sin dall’inizio con la partecipazione attiva delle oltre 100 banche territoriali di credito cooperativo già presenti nel Sud con oltre 600 sportelli, e delle imprese e categorie produttive che operano nel Mezzogiorno. Per questo il comitato promotore è presieduto da Vito Lorenzo dell’Erba, presidente delle BCC di Puglia e Basilicata, e il credito cooperativo conta 7 membri sui 15 iniziali dell’organo, al quale è affiancato un tavolo di consultazione con tutte le associazioni imprenditoriali di industria, commercio e artigianato. Infine, terza caratteristica, la Banca per il Sud conta su un’agevolazione straordinaria, la tassazione abbassata dal 12,5% al 5% sugli strumenti finanziari che emetterà. Per capitalizzare le banche partecipanti, che così potranno fare più impieghi alle piccole imprese, per garantire direttamente il credito a queste ultime, e per finanziare direttamente progetti infrastrutturali di cui il Sud ha fame, poiché non riesce a concentrare su poche priorità i 100 miliardi di euro che ancora restano dei fondi comunitari fino al 2013.
Questi i pregi, sulla carta. Veniamo alle diffidenze. Quelle delle grandi banche del Nord. Se nel 2003 le 658 agenzie del banco di Napoli finirono sotto il peso dei propri incagli al torinese SanPaolo, e il Banco di Sicilia finì a Capitalia prima e a Unicredit poi, gli istituti del Nord hanno sempre respinto l’accusa di essere meno attenti al Sud dopo averlo razziato. Gli impieghi sono saliti più che nel resto d’Italia, dicono, e superano la raccolta locale. Se i clienti meridionali pagano fino a due punti in più di tassi d’interesse che al Nord è colpa del maggior rischio, della legalità che non c’è per via di mafia e camorra, del maggior tasso di mortalità delle aziende meridionali, dei più alti costi per trasporti e logistica. Le banche cooperative replicano che loro però sono rimaste le uniche a conoscere uno per uno direttamente i loro clienti, e che il loro problema semmai è quello di essere ancor meglio patrimonializzate, per prestare ancora di più. A questo dovrebbe servire, la banca tremontiana.
Ma i grandi istituti nazionali hanno due ragioni precise di timore. Il primo è che l’aliquota fiscale di vantaggio serva a far nascere con tale aiuto pubblico un grande concorrente, magari rafforzato se a sostegno accorressero anche banche popolari del Nord. Per questo, Intesa e Unicredit chiedono di poter anch’esse di utilizzare il 5% agevolato, anche senza passare per Banca del Sud. La trattativa col governo è aperta. In più, le banche temono la concorrenza di Poste. Hanno sempre sorvegliato con le armi spianate affinché a Poste non venisse concessa la piena licenza bancaria, visto che la società si avvantaggia della garanzia dello Stato a differenza delle banche private, e può contare sulla rete più capillare di sportelli sul territorio italiano.
Gli imprenditori del Sud sono stanchi di promesse. Aspettano, prima di esultare. Le associazioni non negheranno il loro appoggio. Ma sin dall’inizio sono più calorosi Cisl e Uil, commercianti e artigiani che Confindustria. I medi e grandi imprenditori manifatturieri e di servizi meridionali sanno bene che, se le grandi banche nazionali si mettessero per traverso, il progetto non avrebbe vita facile.
Sarebbe bello pensare che, nel 150° dell’Unità d’Italia e mentre il contribuito del Sud al Pil nazionale è bloccato al 24% esattamente come 50 anni fa, le tante amare lezioni del passato sortissero l’effetto di evitare nuovi errori. Ma, in definitiva, al Sud non è negata la possibilità di dar vita a un Credit Agricole, la grande banca francese nata sulla convergenza di decine e decine di casse rurali e banche cooperative. Dovrà essere il Sud ad aiutare se stesso e a crederci, però. Banchieri del Sud e imprenditori del Sud, a impegnarsi. Lasciando politica e partiti, una volta per tutte, fuori dalla porta. Altrimenti, saranno nuovi guai.