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 2010  marzo 12 Venerdì calendario

L’ULTIMO GRANDE MISTERO DELLA HOLDING DEL MALE

E rieccoci in pieno Romanzo criminale. C’è la pupa del Capo, Sabrina Minardi, bellissima e perduta, che il boss aveva rubato al centravanti della Lazio. C’è il Macellaro, Sergio Virtù, che preferiva fare da autista al boss piuttosto che stare al negozio e avrebbe ucciso lui l’ostaggio, indagato per sequestro e omicidio. E ci sono i bravi ragazzi, Giggetto e Ciletto, svelti di mano, abituati alle rapine, ma all’occorrenza pronti anche a un sequestro. Ma soprattutto c’è il Grande Mistero: il rapimento di Emanuela Orlandi, un rompicapo inestricabile da troppi anni. Che ci fosse un collegamento tra il giallo di Emanuela e la Banda della Magliana, in fondo, è una novità recente. Ma se si va a grattare, si scopre che la polizia ha sempre tenuto d’occhio la pista dei malavitosi romani perché all’epoca non c’era delitto che non passasse per questa holding del male e poi perché c’era un movente grosso come una casa.
«Alcuni elementi di questa vicenda - raccontava qualche tempo fa un investigatore di razza come Nicola Cavaliere, ex vicecapo della polizia, oggi vicedirettore dei servizi segreti Aisi - già in passato ci avevano portato sulle tracce della Banda della Magliana e di De Pedis. Anzi, per quel che mi riguarda, non ho mai considerato ipotesi diverse».
C’è da fare un salto sulla sedia: la Banda della Magliana come ipotesi privilegiata delle indagini. Altro che fantomatici terroristi turchi, o Amerikani, o fughe d’amore, o cardinali viziosi. Chi era addentro alle indagini puntava già negli Anni Ottanta su un’ipotesi terribilmente concreta. Cavaliere ne ha parlato con la giornalista Rita Di Giovacchino che un anno fa ha scritto sul caso un libro avvincente («Storie di alti prelati e gangster romani», Fazi Editore). Ha raccontato: «Molte linee convergevano verso quella di un ricatto nei confronti della Santa Sede, perché dopo l’uccisione di Roberto Calvi ai creditori ”illegali” dell’Ambrosiano si poneva un problema non secondario: chi sarà adesso a saldare il debito? Ma era una certezza difficile da dimostrare allora e anche oggi».
Ecco chiarito, dunque, il senso di questa indagine: il movente. Se la Banda della Magliana rapì la figlia quindicenne del messo papale, non fu per salvare Alì Agca, della cui sorte non s’interessavano affatto, ma per recuperare il malloppo. E se il nome del vescovo Paul Marcinkus fu tirato in ballo, attenzione, non era perché fosse il mandante del rapimento, ma semmai il ricattato.
La vita di Emanuela fu messa in palio in cambio dei soldi custoditi allo Ior. Soldi però che lo stesso vescovo non aveva più perché nel frattempo finiti chissà dove. Forse in Polonia a sostenere la lotta di Solidarnosc. Forse in Sudamerica, a sostenere le missioni cattoliche. Forse sperperati in operazioni finanziare sbagliate. Chissà.
Che però il movente fosse molto prosaico, lo pensa anche il giudice Rosario Priore, che non s’è mai occupato direttamente del sequestro, ma di misteri vaticani se ne intende perché ha indagato per tredici anni sull’attentato al Papa. Intanto sbalordisce la cifra in ballo: «Erano - dice Priore - 15 o 20 miliardi di lire, per i quali, diciamo così, c’era una istanza di restituzione della Banda della Magliana» E quella non era gente che accettasse che i suoi soldi potessero volatilizzarsi. «Probabilmente la Banda voleva rientrare in possesso delle somme che non erano state restituite. E’ probabile, quindi, vista la cittadinanza della Orlandi, che il sequestro fosse un ricatto al Vaticano».
Si spiegherebbero così tante cose: gli appelli sempre più accorati del Papa, la linea telefonica riservata presso il cardinale Casaroli, la cortina fumogena delle telefonate a casa Orlandi o al loro avvocato. Il nome di Marcinkus venne fuori, in alcune di quelle telefonate, e probabilmente era un’allusione al vero destinatario di tante «attenzioni». Ma poi la trattativa, se trattativa ci fu, fallì. Il boss Renatino De Pedis capì che non sarebbe riuscito a recuperare i suoi soldi. E da quel momento il destino di Emanuela fu segnato.