Sergio Romano, Panorama 18/03/2010, 18 marzo 2010
NIGERIA, ALTRO CHE GUERRA DI SUCCESSIONE
Il presidente della Nigeria, Umaru Yar’Adua, viene dal nord del paese, dove la popolazione è quasi totalmente musulmana. Il vicepresidente, Good-luck Jonathan, proviene dal sud, dove la popolazione è prevalentemente cristiana. Il primo è tornato in patria dopo una lunga degenza in Arabia Saudita, ma è troppo malato per riprendere le sue funzioni e l’assemblea legislativa ha conferito il potere temporaneamente a Jonathan. Un musulmano e un cristiano possono quindi avvicendarsi pacificamente al vertice dello stato. Ma negli scorsi giorni bande di musulmani provenienti dal nord hanno attaccato il villaggio di Doga Nahawa, nel centro della Nigeria, e hanno ucciso, a due riprese, circa 500 persone.
Non sono episodi isolati. Musulmani e cristiani si combattono sporadicamente da quasi dieci anni e il numero dei morti nei due campi è particolarmente alto: 1.000 nel 2001, 700 nel 2004, 300 nel 2008. Gli scontri del gennaio di quest’anno hanno provocato circa 600 profughi, ora ospitati in accampamenti di fortuna.
Il pensiero corre immediatamente al Sudan, dove il nord musulmano ha fatto per parecchi anni una brutale guerra di sterminio contro il sud cristiano e animista. Stiamo dunque assistendo a nuove guerre di religione, provocate forse dall’islamismo radicale dei seguaci di Al Qaeda e di altre organizzazioni fondamentaliste?
Il portavoce della Santa sede, padre Federico Lombardi, preferisce credere che alle origini di questi conflitti vi siano motivi sociali, non religiosi. E alcuni osservatori di vicende africane ricordano che il centro della Nigeria è una regione mista dove cristiani e musulmani si contendono il possesso delle terre più fertili.
Per capire ciò che sta accadendo occorre fare un passo indietro. La cristianizzazione dell’Africa a sud del Sahara comincia nella prima metà dell’Ottocento e trae vantaggio dall’espansione degli imperi coloniali europei. Ma anche l’Islam, nello stesso periodo, scende lungo le coste del continente, diffonde il verbo del Corano, attrae per la semplicità del suo credo e la purezza delle sue regole. Il risultato è una sorta di pareggio: 400 milioni di cristiani africani, 350 milioni di musulmani. Vi è quindi in Africa, da almeno due secoli, una coabitazione che è stata complessivamente positiva.
Le guerre locali, quando scoppiavano, erano soprattutto tribali e dettate da ragioni d’interesse: agricoltori contro pastori, agricoltori poveri contro agricoltori ricchi o, per meglio dire, meno poveri. Qualcosa tuttavia è cambiato.
Dopo la fine dell’era coloniale, l’appartenenza religiosa ha reso ancora più visibili e distinte le identità etnico-tribali, ha creato nuovi rapporti clientelari con il potere regionale o centrale. Essere cristiano o musulmano, oggi, significa essere legato a qualcuno (un boss politico o economico) che garantisce protezione ma esige obbedienza. E la lotta fra due gruppi religiosamente diversi contribuisce a rafforzare le rispettive appartenenze religiose. Non è un fenomeno nuovo.
Per molti aspetti è ciò che è accaduto in Bosnia, dove Islam e Cristianesimo, vissuti e praticati in passato con un certo distacco, hanno improvvisamente creato frontiere invalicabili. Ma ciò accade generalmente quando la convivenza è resa difficile dal collasso del potere centrale.
Queste guerre pseudoreligiose scoppiano, in altre parole, quando non c’è più al centro un arbitro (nel caso dell’Africa di una volta i governatori coloniali) che possa dirimere le controversie e distribuire, più o meno equamente, le risorse nazionali. ciò che oggi accade in Nigeria dove il governo è sempre meno capace di garantire l’ordine sociale e la sicurezza dei suoi cittadini.