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 2010  marzo 09 Martedì calendario

LA GUERRA A DISTANZA DEL CAPITANO NELSON

Sam Nelson si alza all’alba, esce dalla sua casa a Las Vegas per andare al lavoro, prende il caffè da Starbucks, si mette in autostrada per un’oretta, timbra il cartellino, e alla fine del suo turno di 12 ore a volte riesce a tornare a casa in tempo per la cena. Un tran tran regolare, tranne che il lavoro di Sam Nelson è ammazzare i talebani in Afghanistan - seduto in poltrona con in mano un joystick che controlla un drone in volo a 12mila chilometri di distanza.
Il capitano dell’aviazione Sam Nelson è uno dei piloti virtuali che telecomandano le operazioni dei Predator e dei Reaper dalla base militare Creech Air Force del Nevada, nel mezzo di un deserto a circa 60 chilometri dalle luci di Las Vegas. La destrezza del capitano nella guerra virtuale è rara e oggi richiestissima negli Stati Uniti, dato il successo di questi potenti armamenti nell’individuare e annientare con precisione gli obiettivi e ridurre al minimo le perdite tra i soldati americani. Il presidente Obama ha deciso in gennaio, con l’appoggio bipartisan di democratici e repubblicani in Parlamento, di espandere ulteriormente l’impiego dei droni nelle missioni militari. La nuova offensiva americana in Afghanistan, a Marjah, ruota proprio attorno allo spiegamento dei cosiddetti UAV (
unmanned aerial vehicles, veicoli aerei senza pilota) e altrettanto vale per le operazioni antiterrorismo gestite dalla Cia in Pakistan, dove una ventina di leader talebani sono stati uccisi di recente da bombe sganciate da droni telecomandati.
Capita quindi che i piloti degli UAV si ritrovino a parlare dei compiti con i figli la sera dopo avere ucciso venti terroristi e magari qualche civile durante il giorno. Una situazione che illustra la disumanizzazione della guerra moderna, combattuta premendo un pulsante in una stanza asettica. Una situazione che spiega perché il crescente uso dei droni stia sollevando sempre più spesso obiezioni legali, politiche e morali negli Stati Uniti e all’estero.«Quando l’atto di uccidere un nemico viene disumanizzato, è più facile premere il grilletto », sostiene per esempio Tom Parker, direttore della divisione antiterrorismo dell’organizzazione umanitaria Amnesty International.
Inizialmente nemmeno la Cia era favorevole a impiegare droni per uccidere terroristi subito dopo gli attentati dell’11 settembre, a detta di un ex-agente citato dal New York Times. Ma il successo delle operazioni telecomandate, l’abilità di seguire a distanza gli spostamenti dei terroristi giorno dopo giorno, la capacità di identificare il momento ideale per far cadere una bomba e minimizzare - pur senza escluderla- la probabilità di colpire la popolazione civile ha convinto sia l’aviazione che i servizi segreti americani a impiegare UAV sempre più spesso. Grazie agli attacchi di droni telecomandati, gli Stati Uniti sono riusciti a uccidere centinaia di terroristi tra cui alcuni dei "most wanted" come l’esperto di esplosivi Abu Khabab al-Masri, il leader di al-Qaeda Rashid Rauf e il capo dei talebani in Pakistan Baitullah Mehsud. Era stato un Predator, oltretutto, a localizzare con precisione la posizione del noto leader di al- Qaeda Abu Musab al- Zarqawi, uccisosuccessivamente da due bombe sganciate da un aereo con pilota in Iraq nel giugno 2006.
Al giorno d’oggi una quarantina di nazioni hanno in dotazione aerei senza pilota impiegati in missioni di ricognizione, ma solo gli Stati Uniti e Israele li usano per bombardare obiettivi a terra. Gli Stati Uniti inoltre li impiegano non solo in azioni militari nei due paesi, Iraq e Afghanistan, in cui sono impegnati in un conflitto armato, ma anche in Pakistan. Le operazioni in Pakistan, nelle aree tribali al confine con l’Afghanistan, oltretutto non sono gestite dall’esercito Usa ma dalla Cia: è questa la prima volta nella storia che un’agenzia civile di controspionaggio impiega armi robotiche in missioni militari per uccidere cittadini di un altro paese. Sulle attività della Cia in Pakistan non ci sono dati ufficiali, in quanto le missioni sono teoricamente " segrete" e il governo americano non ne ammette l’esistenza, ma secondo le stime della New America Foundation, un think tank di Washington, gli attacchi dei droni hanno ucciso almeno 500 militanti e 250 civili tra il 2006 e la fine del 2009.
Fino a dicembre dell’anno scorso gli Stati Uniti non ammettevano nemmeno l’esistenza dell’ultimo esemplare di drone noto come "la bestia di Kandahar", un aereo stealth, ovvero disegnato per evadere le intercettazioni radar, simile al bombardiere B-2. Il drone era stato notato per la prima volta nel 2007 e fotografato in un hangar della base americana di Kandahar, in Afghanistan.L’aviazione ha confermato tre mesi fa che si tratta dell’RQ-170 Sentinel, uno UAV progettato nei laboratori top secret SkunkWorks dalla Lockheed Martin in California, i laboratori da cui sono usciti gli aerei U-2 e i bombardieri F-22 e F-117. La bestia di Kandahar non è dotata di armi ed è impiegata per il supporto delle truppe a terra e per la ricognizione: inizialmente, quindi, molti si sono chiesti che utilità potesse avere un aereo capace di evadere i radar, dato che i ribelli afghani non ne hanno nemmeno uno in dotazione. Gli esperti hanno ipotizzato quindi che il Sentinel sia stato disegnato per compiere missioni di spionaggio in Pakistan e in Iran. Anche i Sentinel sono pilotati dalla base Creech del Nevada, mentre nella vicina base di Fort Huachuca, in Arizona, sorge il più grande centro di addestramento per piloti "remoti". L’addestramento è affidato molto spesso a civili come Bill Hempel, campione nazionale di areonautica acrobatica, esperto di pilotaggio telecomandato e istruttore a Fort Huachuca dal 1993. Il ricorso a istruttori esterni non significa tuttavia che l’esercito non controlli da vicino il metodo di insegnamento, che include non solo l’aspetto tecnico ma anche il training psicologico. L’esercito e l’aviazione sono ben consci del rischio di creare automi capaci di uccidere in modo meccanico, senza provare nulla, nemmeno un filo di rimorso o di ripensamento. Ma questo per il momento sembra solo un rischio: alla base Creech i comandanti hanno riscontrato una maggiore incidenza di casi di disturbo post traumatico da stress tra i piloti remoti che tra quelli tornati dai campi di battaglia dell’Iraq.